Oppes Stéphane ,
Intorno ad una recente realizzazione di visual art: Beyond lines di Alexandro Ladaga,
in
Antonianum, 76/3 (2001) p. 604-607
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Proiezione di linee sonore e diffusione di suoni lineari: cerulei gli effetti acustici, sussurrati i tratti. L’installazione video Beyond lines[1], come il titolo ci palesa, esplora e fa esplorare al suo fruitore — nel senso etimologico ed estetico di “fruor” — un mondo al di là delle linee; le linee, comunemente chiamate a delimitare, confinare, chiudere dentro, definire, limitare, si danno ora ad essere nuovamente interpretate, vengono ad assumere nuovi sensi, come i ritagli in un collage: esse aprono orizzonti, rompono lo spazio–tempo nel quale lo spettatore si trova, per farlo viaggiare nella memoria dei viaggi già vissuti, per fargli pregustare l’esperienza di tutti quelli possibili e prospettare viaggi impossibili, impensabili fuori dall’arte. Sono dunque vere e proprie “linee di fuga” dalla quotidianità, dal dato, dal banale, dall’ovvio; sono linee che, tagliando fuori ciò che circonda il loro spettatore, fanno dell’attimo presente, vissuto nella videoinstallazione, una apertura su ciò che è senza inizio e senza fine. Il suono (le diverse colonne sonore diffuse tramite altrettante cuffie) traccia anch’esso, con la proiezione video all’angolo della parete, linee interpretative del fluire continuo: storie parallele raccontate da video e suoni, come pezzi componentisi in caleidoscopio; uno scorrere di acque, un interminabile camminare, dei gettiti di gas, un motore di macchina in movimento: campioni di rumori estrapolati da vari ambienti ed ora destinati ad altra e nuova narrazione.
Diffusione di suoni e proiezione di linee, nell’unità dell’opera d’arte, vengono a costituire pura azione in divenire e trasportano la mente in un “perpetuum mobile” realizzato dalle varie esperienze spazio temporali vissute: le veloci linee accompagnate dalle colonne sonore convogliano l’immaginazione sui sentieri del già stato e dell’avverabile, facendoci riscoprire il nostro essenziale essere “viator”, di passaggio, il nostro essere tempo — quel tempo che è soltanto, platonicamente, immagine mobile dell’immobile eterno; una filosofia del gusto, estetizzante, come quella di Nietzsche, per quanto atea possa apparire, non può (proprio in virtù della sua artisticità, del danzare del suo autore) non cogliere lo stesso ritorno dell’uguale come assoluto, eterno, un “eterno ritorno” dell’identico. Nella video art, come in ogni opera che possa dirsi arte — e ciò non possiamo non sperimentare davanti e dentro a Beyond lines —, «è vinto il tempo che non segue più il suo andare senza sbocco, ma è ritorto circolarmente su se stesso a fingere la perennità puntuale dell’istante; è vinto lo spazio che concresce su se stesso per un reciproco compenetrarsi delle parti, invece di accrescersi con la giustapposizione indefinita di parte a parte»[2].
L’arte è via all’assoluto (o all’Assoluto), “itinerarium” verso/in ciò ch’è sciolto–da (ab–solutum) le solite condizioni di spazio e tempo; ma a differenza della filosofia, che vede nel concetto il suo medium, l’arte si realizza come tale solo attraverso il sensibile — primo ed essenziale momento dello spirito assoluto, l’arte in Hegel è lo stesso «spirito in quanto apparente nel sensibile»[3]. Ora in molte videoinstallazione, e Beyond lines è fra queste, ad essere coinvolti nel riconoscimento del bello (l’assoluto nel sensibile) sono contemporaneamente la vista e l’udito: l’assoluto proprio dell’arte è l’assoluto coglibile dallo spirito incarnato, dall’uomo nella sua corporeità; non può essere un semplice per inciso ricordare, a questo punto, che l’autore delle Beyond lines si è licenziato — nella Facoltà di Filosofia del Pontificio Ateneo Antonianum — con una tesi di Antropologia dal titolo molto significativo: “Corporeità in Nietzsche”. In una cultura come la nostra contemporanea, fortemente ancorata ai valori del proprio corpo e della propria immagine, l’arte — lungi dall’essere superata, come prospettava Hegel, da una conoscenza dell’assoluto che prescinda dalla sensibilità — sembra essere una delle poche vie rimaste all’uomo per varcare col pensiero il mondo “fisico”; vista l’attuale debolezza del pensiero nel sostenere la fatica del concetto, oltre la religione, l’arte sembra esser rimasta la sola fra le umane attività e conoscenze a postulare una apertura metafisica del pensiero, ad indicare la vocazione e il destino propri dell’uomo ad andare oltre la “una sola dimensione” entro cui sembra essere stato (ed essersi volontariamente) schiacciato.
Alexandro Ladaga, nato nel 1973 a Roma, si inserisce nella ormai trentennale tradizione italiana di “visual art”[4]; impegnato in un primo momento nella fotografia, grazie alla sua familiarità con i linguaggi e le tecniche informatiche, ha potuto subito lanciarsi nell’arte della multimedialità (a base, soprattutto di foto, video, computer), collaborando come aiuto regista di Giorgio Barberio Corsetti, direttore del settore Teatro della Biennale di Venezia. Fra le sue opere, presentate in Italia e fuori Italia, va ricordata la sua serie di RE/construzione, fotografie di immagini sacre o ecclesiastiche modificate digitalmente ed impresse su alluminio: si tratta oramai di semplici reminiscenze immaginifiche di santi, madonne e papi, soltanto dei richiami ad una “mitologia”, priva di contenuti nella società laica contemporanea; solo simboli, profondamente irriconoscibili nella loro identità storico personale, parte ormai di un patrimonio collettivo, ma simboli non più della sfera religiosa bensì di quella sentimentale, affettiva e psicologica; il Ladaga ha qui praticato una decontestualizzazione — come farà successivamente nelle videoinstallazioni ma sul fronte di diversi linguaggi: suoni, immagini — affinché vecchie rappresentazioni (o materiali video e sonori) dicano altro, collocandosi così, al limite delle loro possibilità, a rappresentare l’attimo di contatto tra le cose e i pensieri, la realtà e la mente, tra il corpo e l’anima[5].
Varie sono le installazioni che Ladaga ha realizzato, nelle sue molteplici partecipazioni a esposizioni in diverse città italiane ed estere, ma tutte intente ad unire il tradizionale pensiero filosofico con i nuovi linguaggi tecnologici; ricordiamo fra le ultime videoinstallazioni, cioè fra quelle realizzate dopo aver fondato assieme con Silvia Manteiga il gruppo di ricerca “Elastic”, i due video presentati a Roma durante la rassegna “Elettroshock” (21-27 Maggio), celebrativa dei tre decenni di videoarte in Italia; si tratta di A portrait of the artist as states of mind, un video digitale dal ritmo ipnotico che, attraverso associazioni mentali dai toni joyciani ed aforismi oracolari stile Nietzsche, ci porta a viaggiare fra i diversi stati d’animo dell’artista, nel ciclico susseguirsi e collegarsi fra di loro[6]; e del video The Life, suoni spaziali ed immagini elettroniche alleati insieme, in una coerenza linguistica che fanno dell’opera d’arte così sintetizzata un qualcosa che vive una sua vita propria[7].
L’attività del nostro artista è tuttora pienamente in svolgimento, proiettata anche fuori dal continente europeo, quell’Europa che per queste e tante altre sue manifestazioni di cultura e di arte ci appare, nonostante tutto, ancora il meno vecchio dei continenti; tale ricca e promettente attività artistica ha visto solo una sua tappa nella realizzazione Beyond lines: un invito, questa ultima installazione del Ladaga — in coerenza con l’intera sua produzione artistica —, a leggere le esperienze che si vivono e l’intera propria esistenza non sul piano meramente orizzontale dello spazio e del tempo sul quale la vita corre alle volte come sui binari del consuetudinario; per la magica virtù dell’arte, in una troppo umana “redictio supra se et intra se” — forse vocazione umana, questa, troppo autentica per non essere che inattuale ai nostri giorni — un invito ad interpretare lo scorrere della vita fra le righe e, per quanto è possibile, ben “oltre le righe”, … beyond lines.
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