Oppes Stéphane ,
Recensione: T. MORETTI-COSTANZI, La filosofia pura ,
in
Antonianum, 75/4 (2000) p. 781-783
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“Filosofia”, parola dalle molteplici suggestioni e dalla non facile comprensione; parola magica invocata a designare interessi altissimi, quanto mai degni dell’uomo in quanto uomo, ed a designare nel contempo interessi che alle volte sono “umani, troppo umani”; parola invocata per aspirazioni del cielo e desideri della terra, per cose, dicendola col Pascal, angeliche e per cose bestiali; parola chiamata ad additare ciò che è “immediatamente inutile” come pure una qualche utilità immediata e volgare — come non pensare, ascoltando l’uso che mass media, politica ed aziende fanno del nostro termine, alla celebre “arte di preservare i capelli secondo i principi della filosofia” di cui già scriveva Hegel nella sua Enciclopedia (§ 7)? Il mistero (mys-terion) della filosofia è tutto racchiuso nel suo nome: non la denotazione di un oggetto, materiale o formale che si voglia, ma un movimento ed una meta, “amore per la sapienza”; la poliedricità della filosofia è anche conseguenza delle proporzioni con cui si combinano tali movimento e meta, l’amore e la sapienza, la ricerca ed i suoi risultati o dottrine o problemi. Sin dalle prime battute della sua La filosofia pura del 1959 Teodorico Moretti–Costanzi invita il lettore a considerare la filosofia come «testimonianza e voce diretta della Realtà», a considerare “la” filosofia per antonomasia come cosa ben diversa dalla «filosofia comune che si costituisce e vive nei problemi»; il ragionare in maniera filosofica — che l’A. chiama pensare e meditare in senso proprio — non deve essere inteso come l’essere in un compiuto status rationis ma essere in uno stato di “accorgimento” della realtà come pure della “fondamentalità” della ragione. Nessun movimento verso la sapienza ci sarebbe, nessuna filo-sofia, se prima non si avesse della sapienza una certa qual conoscenza, questo accorgimento cioè della realtà e del mio pensare: è la ripresentazione morettiana del mito platonico di Eros–Filosofo, figlio di Possesso e Povertà; vi è una “esperienza” (per certi versi assimilabile a quella del Bontadini, di M. Gentile o di E. Berti) fondamentale ad ogni ricercare, che per l’A. diviene autogaranzia di verità, presupposto–base, reminiscenza. Spiega, così, Moretti–Costanzi: «chi riconosce la pregnanza del significato etimologico della parola ‘filosofia’ per aver esperito in sé medesimo quella filia e non aver trovato nulla di meglio che dedicarle l’intera vita; chi avverte insomma, mentre la vive, che la filosofia c’è per davvero, imparagonabile e inconfondibile con ogni altro genere di ricerca, costui sa pure che platonicamente, cristianamente, deve affermare la grandezza della medesima filosofia sulla identica base della sua ‘terrena’ povertà» (p. 147).
“Pura” è la qualifica che il Moretti–Costanzi attribuisce ad una siffatta filosofia: pura perché completamente scevra da quella “bassura” mentale che è invece così essenziale alla ratio comunemente intesa; pura perché al di qua di quella “caduta” gnoseologica che ignora come «il conoscere, con la sua verità formale, sia secondario rispetto a uno stato di immediatezza dove Essere e sapere fanno tutt’uno e la Realtà delle cose coincide perfettamente con la Verità che le presenzia e che anzi, in paragone, il conoscere stesso, in tutto il correlato del suo mondo, sia da considerare nulla di più che un’affezione, un turbamento, una caduta» (p. 83): pura, dunque, come per dire proprio della coscienza immediata; pura perché vuol situarsi sopra quella “diminutio” di coscienza che è lo stato gnoseologico dell’essere uomo o la ragione razionalisticamente intesa. Ed a tale levatura l’esperienza infinitamente più ricca, è ratio superior, è “grazia”, è “sapienza–esperienza”. La ragione ed i sensi stessi devono essere innalzati, in una esperienza “saporitiva”, a quella attestazione diretta e viva della Realtà (Dio), che è la “pura filosofia”; scrive Moretti–Costanzi: «il Dio presente — in cui il Maximum di S. Anselmo venne ravvisato e confermato da Alessandro di Hales e Bonaventura — era quello, soprattutto, del Cantico delle creature; raggiunto dal mondo perché raggiunto ‘tota anima’» (p. 201). Allo “stato filosofico puro” il cosiddetto argomento ontologico è il Cantico di frate sole ed il filosofo è Francesco d’Assisi, di cui il nostro A. dimostra una conoscenza non superficiale — il “tota anima” che il Moretti–Costanzi mette in corsivo e tra le virgole è una eco implicita del XXIII della Regula non bullata di Francesco (e veramente parecchi nell’opera sono i richiami al vocabolario e contenuti ideali sanfrancescani e francescani, come le reminiscenze bibliche e del patrimonio storico–filosofico occidentale). Non può stupire il fatto che san Francesco venga considerato “filosofo allo stato puro”: poiché la conclusione della riflessione morettiana, coerentemente con le premesse poste di una filosofia “testimonianza e voce diretta della realtà”, è che, agostinianamente, «vero filosofo è il cristiano; e lui soltanto» (p. 243).
La filosofia pura come tutta l’opera del professore bolognese deve leggersi come reazione sapienziale all’assolutizzazione del grado umano della ragione, al quale si è tentato e si tende ridurre l’intera filosofia. E tale tentativo/tendenza affonda lontano nel tempo le sue radici, a partire da Aristotele che trasformò la platonica “sofia” in sapere epistemico e per conseguenza la filosofia in una «libidine» per esso. A questa opera di riduzione della coscienza alla conoscenza per il Moretti–Costanzi hanno dato un apporto considerevole le filosofie di Tommaso d’Aquino ed Hegel. Ad Hegel, scrive il nostro A., si è tenuti a dar ragione «secondo la logica interna del modo di essere che ci accomuna a lui», pur nel dovere che abbiamo di superarlo «in una più alta ragionevolezza»: come i “metafisici dell’esperienza” sopra menzionati, per i quali dal pensiero o coscienza “non si può uscire”, e come il movimento spiritualista, Moretti–Costanzi affermando una “fondamentalità” della ragione coscienza, oltre la giustapposizione, scolastica e moderna, di soggetto e oggetto, è debitore anche all’idealismo in generale ed al neohegelismo italiano in particolare. Nei riguardi invece di san Tommaso, definito (p. 172) paladino del pareggiamento, scientistico e borghese, tra ratio superior e ratio inferior, l’A. è alquanto ingeneroso; sembra dimenticare la dimensione profondamente religioso–esperienziale attestata in molti scritti del Dottore Angelico — pensiamo, solo esemplificando, all’Adoro Te devote o alle varie preghiere; scrive, molto duramente, il nostro filosofo: «da S. Tommaso in poi, dire mens dire ratio o dire intellectus (dato che di questo termine pregnante è stato smarrito il senso etimologico di intus legere) sarà assolutamente unum et idem» (p. 173); la critica morettiana ha certamente, in tali suoi passaggi, preso di mira, come anche qualche passo palesa, «l’aristotelismo tomistico» dal «tristo e gramo retaggio», il cosiddetto tomismo, a cui il Moretti–Costanzi non avrebbe dovuto assolutamente ri-durre il genio filosofico, teologico e spirituale di Tommaso d’Aquino. È evidente come per poter pensare una “filosofia pura” sia necessaria al Moretti–Costanzi una teoria dei gradi o livelli di coscienza: egli — come scrive accortamente il Mirri nella Introduzione a La filosofia pura — «desumendola dalla tradizione agostiniana e soprattutto bonaventuriana (si pensi al disporsi della ‘mens’ in un ‘itinerarium’ di purificazione che conduce fino al riconoscimento del suo ‘principio’ ed oltre ancora), ha voluto dichiaratamente ‘riabilitarla’, soprattutto nei confronti della riduzione della ‘mens’ a conoscenza, e del conseguente ‘unidimensionalismo’ della coscienza quale, a suo avviso, si è presentato con il tomismo e con Hegel ».
A quaranta anni dalla sua prima edizione oggi è dato ancora a noi leggere le pagine su cui si concentra, ferrea e serrata, la profonda meditazione de La filosofia pura morettiana. Ciò per il lodevole impegno della “Fondazione S. Moretti–Costanzi” e di Eduardo Mirri, discepolo del Moretti–Costanzi, sotto la cui direzione, per i tipi dell’Armando editore, si sta finalmente pubblicando l’Opera omnia dell’ancora poco studiato filosofo teoretico dell’Ateneo bolognese.
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