Nobile Marco ,
Recensione: Paolo Sacchi - Lucio Troiani (a cura), Apocrifi dell'Antico Testamento,
in
Antonianum, 74/1 (1999) p. 155-156
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Della edizione italiana degli Apocrifi dell'Antico Testamento, diretta dal Sacchi, esce ora il quinto dei cinque volumi pianificati all'inizio. La storia di questa serie editoriale è sofferta. Il programma dell'operazione era stato concordato più di venti anni fa con la UTET, presso la quale sono apparsi i primi due volumi (1981 e 1989); traversie varie di percorso hanno condotto al passaggio all'editrice Paideia, la quale ora ci offre l'ultimo dei tre volumi da pubblicare, dei quali rimangono ancora appunto il penultimo e il terzultimo.
Il presente libro, curato con diligenza magistrale da Lucio Troiani, contiene la cosiddetta letteratura giudaico-ellenistica in lingua greca. In altri termini, vi troviamo tutta la gamma di quelle testimonianze perlopiù (ahimé) frammentarie, che aprono uno spaccato su un'epoca della storia del giudaismo sulla quale da molto tempo s'indaga per l'importanza che essa riveste sia nel campo della storia strettamente intesa che in quello della letteratura e della religione del giudaismo pressoché contemporaneo al cristianesimo.
Il libro distribuisce i "testimonia" in tre parti, dopo una congrua ed utile introduzione a tale letteratura. Nella prima parte si riportano i documenti di natura storica, nella seconda si raccoglie la letteratura esegetica, gnomica e tragica e nella terza parte, infine, si riportano la Lettera di Aristea e il Quarto libro dei Maccabei, opere complete che meritano una sezione distinta.
Il curatore ci dà una traduzione basata sulle migliori edizioni originali, senza però un apparato di note (salvo eccezioni). Questa è una sua espressa opzione: «Dopo un periodo di riflessione, ho deciso di abolire le note di commento alla traduzione. Nell'introduzione generale come pure nelle introduzioni particolari ai singoli autori ho provato a delucidare i principali problemi interpretativi. Ritengo che il testo antico sia troppo meritevole di rispetto per essere abbindolato da esegesi spesso tralaticie...Io sono della personale opinione che, per la migliore riuscita dei nostri studi, bisognerebbe abituare il lettore a "rimanere solo" col testo antico; a cercare lui quello che vuole sapere....» (p. 13). Il criterio del T. è commendevole, ma certo lo è più in una fase d'arrivo che di partenza della ricerca; se esso può essere sufficiente per lo spessore spesso esiguo dei "testimonia" in questione, non potrebbe certo valere per opere di altra mole.E allora accontentiamoci di quanto egli esaurientemente ci espone nella diffusa introduzione generale e nelle appendici introduttive a ciascun titolo.
Notevole nella discussione introduttiva generale è quell'idea, che oggi sempre più si fa strada, circa un ellenismo del periodo greco-romano della storia giudaica molto più diffuso e meno etichettabile monoliticamente di quanto si facesse di solito in passato. Opere come quella che presentiamo, aprono una panoramica molto istruttiva sull'atmosfera culturale che dovevano respirare gli ebrei di quel tempo, gente immersa e appartenente a "tutti i popoli" del Mediterraneo e del Vicino Oriente. Il quadro che si ricava è molto più complesso, ma anche più realistico e più fecondo per un'approfondimento dello "status quaestionis" circa il rapporto tra cristianesimo e giudaismo, del quale il primo in origine è solo un'espressione movimentista tra le altre.
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