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Recensione: CONGRESSO NAZIONALE DI DIRITTO CANONICO XXV (1993, sett. 6-9, Belgirate -Stresa), Atti del Congresso: Errore e dolo nel consenso matrimoniale (Studi giuridici, n. 39), a cura dell'Associazione Canonistica Italiana

 
 
 
Foto Schoch Nikolaus , Recensione: CONGRESSO NAZIONALE DI DIRITTO CANONICO XXV (1993, sett. 6-9, Belgirate -Stresa), Atti del Congresso: Errore e dolo nel consenso matrimoniale (Studi giuridici, n. 39), a cura dell'Associazione Canonistica Italiana , in Antonianum, 72/3 (1997) p. 506-519 .

La presente opera contiene tutte le relazioni del XXV incontro annuale del­l'Associazione canonistica italiana, tenutosi a Belgirate (Stresa) dal 6 al 9 settembre 1993.

Nella presentazione, il presidente Mons. Giuseppe Ricciardi con il titolo «Il va­lore relazionale della persona fondamento dei ce. 1097, § 2 - 1098» (pp. 1-4) spiega il passaggio dal personalismo antropologico al personalismo giuridico che fa calare il sistema giuridico nella vita concreta e nella comunione ecclesiale, la cui cellula primigenia è la famiglia e la sua costituzione in fieri il matrimonio. Il personalismo infatti indica un approccio teoretico e metodologico che supera la tradizionale de­finizione strutturale e statica della persona, sviluppata da Boezio e perfezionata dal Tomismo che segnò per secoli il modello contrattualista del matrimonio ora sosti­tuito dalla visione più dinamica ed esistenzialista dell'alleanza coniugale.

In questa ottica l'introduzione dell'art. 2 del can. 1097 e del canone 1098 co­stituisce «più di una evoluzione», si tratta di «rottura, discontinuità» che risponde alla domanda sul perché si è data rilevanza nel Codice del 1983 all'errore sulla per­sona e al dolo. La rivoluzione comportò la liberazione del concetto di persona da­gli stretti binari della fisicità e apre un arco dalla struttura alla relazione (2).

Seguono le relazioni, cominciando con il più lungo contributo, intitolato «Au­tonomia delle diverse fattispecie normative dell'errore e del dolo previste nei cann. 1097-1099 del Codice di Diritto Canonico» (pp. 5-38) di Salvatore Berlingò. Egli parte dalla relazione concettuale tra alleanza e volontà matrimoniale e ribadisce la distinzione fra difetto e vizi del consenso come presupposto per l'autonomia delle diverse fattispecie di errore e di dolo. Partendo dall'essenza del matrimonio spiega l'errore sostanziale e scopre la divergenza tra la terza regola di S. Alfonso e la tenia nodo della famosa sentenza coram Canals del 1970 per passare all'esegesi del can. 1097 §§ 1-2. Conclude con Terrore-motivo qualificato e la sua forza irritante sancita dal can. 1099. L'autore spiega il suo atteggiamento critico ben motivato di fronte ad una visione troppo astratta della qualitas directe et principaliter intenta a fattore identificante della concreta persona del nubente (25) e l'esitazione della giurispru­denza per non avere intuito per molto tempo che un errore-motivo, pur essendo un semplice vizio del consenso, poteva essere considerato capo di nullità purché trasfe­rito sul piano del consenso o, meglio, dell'erro/- circa substantiam (25).

Il noto uditore rotale Mons. Raffaele Funghini presenta nel suo articolo «L'errore sulla qualità della persona direttamente e principalmente intesa» (39-68) l'intrecciata storia giurisprudenziale in materia dal 1910 fino ad oggi. Come vero esperto nel campo forense riesce a presentare lo sviluppo della giurisprudenza ro­tale senza annoiare il lettore già a conoscenza delle idee principali perché mette in rilievo delle sentenze finora poco considerate come una coram Mori del 30 novem­bre 1910 e mette in risalto la conformità dei principi giuridici in queste affermati: «...cum consensus directe et principaliter latus fuerit in determinatam qualitatem, hac deficiente, habetur error substantialis, qui irritat matrimonium». Dalla seconda sentenza coram Sincero del 27 maggio 1913 fino alla sentenza coram Canals del 1970 si riscontra una ben marcata e quasi costante difformità della giurisprudenza improntata da Mori che deve pertanto venir considerato una voce a se stante, ricu­perata solo una volta da una coram Heard del 21 giugno del 1941 (39).

Non premeva un'innovazione perché in casi estremi si ricorreva alla figura del­la conditio saltem implicita, alla quale faceva riferimento il can. 104 e conseguente­mente gli Autori e le decisioni rotali, come soluzione pratica di una limitazione di consenso (44). Nonostante il progresso della giurisprudenza, il can. 1097 § 2 rimane di difficile applicazione perché la prova è ostacolata dalla necessita di comprovare l'errore che è un atto interno di falso giudizio (56).

L'articolo tratta dell'intrecciata relazione tra errore e condizione (57ss.). Nien­te vieta che si veda una causa ob errorem et ob condicionem, ma chiarita la presenza ed influenza dell'uno, non si può, nei limiti dello stesso soggetto e dello stesso og­getto e delle stesse circostanze ammettere la presenza di ambedue (68). L'articolo si distingue per grande utilità pratica perché tratta anche della problematica in fa­cto con esempi concreti e coinvolgenti ed è ricco di consigli, frutti della lunga espe­rienza dell'autore. Egli non trascura le opinioni dei vecchi moralisti, cita una enor­me quantità di sentenze, spiega il significato della terza regola di S. Alfonso e tutta la lunga vicenda del suo uso giurisprudenziale.

Velasio De Paolis, nel suo contributo «L'errore che determina la volontà» (69-98), parte dall'error simplex nel Codice del 1917 e segue il cambiamento di mentalità che aveva toccato la giurisprudenza che sempre più frequentemente si trovava di fronte a casi matrimoniali di persone che cullavano concezioni aberranti del matri­monio, specialmente riguardo all'indissolubilità e alla sacramentalità. Il loro errore superava la semplice sfera della speculazione e della privatezza, in quanto nel con­trarre il matrimonio essi non si adeguavano alla dottrina della Chiesa e intendevano realizzare il progetto specifico di matrimonio solubile o non-sacramentale (78). Un errore che penetra talmente l'animo del contraente e che è così profondamente ra­dicato in esso che determina la volontà della persona e l'intenzione nella celebra­zione del suo matrimonio venne considerato errorpervicax al quale si riconobbe l'ef­fetto irritante (79).

Con il nuovo Codice è stato introdotto il can. 1099. De Paolis spiega minuzio­samente i lavori della commissione (80-83) per presentare l'interpretazione dottri­nale delle parole del canone che pongono difficoltà: «dummodo non determinet vo-luntatem» e commenta le sentenze rotali basate su questo canone (83) la cui formu­lazione è frutto dello sviluppo della giurisprudenza rotale che tenne conto del fatto che sempre più frequentemente non si riscontra solo errore-ignoranza, ma una mentalità diffusa, secolarizzata, oggettivistica e perfino atea, che non solo ignora, ma rifiuta il diritto naturale e comprende in modo del tutto distorto il matrimonio negandone le proprietà essenziali, come pure la sacramentalità e determina così la volontà nuziale (90).

Giampaolo Montini sottolinea nell'articolo «La rilevanza del dolo nel matri­monio nella sua evoluzione storica» che il canone 1098 costituisce una novità asso­luta all'interno della normativa matrimoniale canonica e la storia di questo canone è segnata perciò più dalla discontinuità che dalla continuità, più dalla rottura che dalla tradizione (100). Nel diritto canonico medievale non manca l'attenzione ai ca­si concreti di inganno in cui il matrimonio viene contratto. Graziano affronta il caso della sostituzione di persona (101), delle nozze tra persona libera e persona schia­va. Nella storia della giurisprudenza e della dottrina si sviluppano inoltre i concetti del dolus in spiritualibus (106) e del dolo come vizio del consenso già presente nelle opere di Tommaso Sànchez e Ponce de Leon (109).

A Ponce de Leon è attribuita la posizione secondo cui il matrimonio contratto per dolo causam dans è nullo iure naturae (111).

Da questa impostazione sgorgano naturalmente tutte le conseguenti afferma­zioni di Ponce, che però vanno interpretate alla luce dell'identificazione fra dolus causam dans e dolus in circumstantiam subiective substantialem (117). L'autore con­clude il percorso della storia del dolo con il dolo come impedimento (118).

Paolo Moneta chiarisce il concetto di qualità sotto il titolo «La qualità che per sua natura può gravemente turbare il consorzio della vita coniugale » (123-143). L'autore approfondisce il nesso tra qualità e sostanza personale del matrimonio. La qualità dev'essere atta ad incidere sulla stessa sostanza personale del matrimonio e, conseguentemente, ad alterare l'oggetto specifico a cui si dirige la volontà del nu­trente (123).

È indispensabile il riferimento alla sostanza personale del matrimonio che non si deve limitare all'apparenza della qualitas ma sforzarsi di penetrare e comprende­re la realtà umana nel caso concreto. Solo in questo modo si riesce a rivelare l'ef­fettiva natura di questo specifico vizio di consenso che il legislatore ha inteso rica­vare dalla dottrina personalistica del Concilio (126). La qualità va definita in rife­rimento al consorzio di tutta la vita e alla sua attitudine a turbare gravemente il ma­trimonio in facto esse (132). La qualità deve essere di per se stessa e per le sue in­trinseche connotazioni tale da presentarsi come elemento di disgregazione coniuga­le. Bisogna prendere come misura la concreta vicenda matrimoniale per appurare se questa attitudine si sviluppa in un effettivo turbamento della vita matrimoniale, se la potenzialità insita nella qualitas viene concretamente a dispiegarsi. Essa costi­tuisce un importantissimo e decisivo elemento di prova, ma non potrà mai, da sola, venir considerata come fattore determinante la nullità del matrimonio (133-134).

Mauro Bardi si occupa nel suo breve contributo intitolato «Brevi note sulla re­troattività del can. 1098 CIC» (144-148) di una questione che lascia perplessi per­ché manca l'unità della finora scarsa giurisprudenza sia rotale che dei tribunali re­gionali nonché di quelli d'appello. La soluzione proposta dall'autore è quella di considerare il dolo come una condizione contraria, astrattamente apposta ed ope­rante esclusivamente in presenza di inganni oggettivamente gravi. La nullità si con­cepirebbe come radicale vizio della volontà senza limiti temporali (148).

II volume si conclude con un articolo dell'anziano maestro professo Pio Fedele sotto il titolo «L'error qualitatis e il dolo nel matrimonio in diritto canonico». L'au­tore ha, come egli stesso ammette, riprodotto le ultime pagine del suo ampio arti­colo pubblicato già nel 1967 e, per la seconda volta, nel 1968. Non sembra oppor­tuno riproporre gli articoli pubblicati quasi trent'anni prima senza tener conto degli enormi cambiamenti della giurisprudenza e legislazione in materia.

Eccetto i, purtroppo, molto numerosi errori tipografici da attribuire piuttosto alla redazione che agli autori, il volume costituisce senz'altro uno studio molto at­tuale e valido su due capi di nullità di travagliata storia e approfondisce le varie suddivisioni concettuali per precisare meglio la terminologia e contribuire all'unità nell'interpretazione dei canoni 1097-1098. Anche se non manca la letteratura in un campo tanto discusso non è da dubitare che i vari contributi del presente volume costituiscano un vero apporto nuovo sia alla scienza che alla giurisprudenza. Par­tendo dalla storia della dottrina e della giurisprudenza presentata con dettagli fre­quentemente trascurati, gli autori riescono a trovare i cardini per soluzioni non solo praticabili ma anche giuridicamente precise e concordi con la legislazione attuale.