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Recensione: VITO ANTONIO SIRAGO, Galla Placidia. La nobilissima; TOMAS SPIDLIK, Melania. La benefattrice

 
 
 
Foto Bartoli Marco , Recensione: VITO ANTONIO SIRAGO, Galla Placidia. La nobilissima; TOMAS SPIDLIK, Melania. La benefattrice , in Antonianum, 72/3 (1997) p. 518-521 .

Non è cosa usuale presentare due libri allo stesso tempo, ma in questo caso ta­le scelta è possibile, non solo perché i due testi sono usciti allo stesso momento e si riferiscono a due donne vissute quasi negli stessi anni, ma anche e soprattutto per­ché vale la pena di leggere i due testi uno di seguito all'altro. I due lavori di cui qui si tratta sono Galla Placidia. La nobilissima, di Vito Antonio Sirago e Melania. La benefattrice, di Tomas Spidlik, usciti per i tipi della Jaka Book, nella collana diretta e voluta da Gaetano Passarelli e da Stefania Colafranceschi. Tale collana, intitolata Donne d'Oriente e d'Occidente, viene a colmare un vuoto. Il desiderio dei curatori in­fatti è quello di ridare un volto a tutta una serie di donne, le quali, in un momento particolarmente significativo della storia e cioè a cavallo tra mondo antico e civiltà medioevale, hanno dato un contributo importante alla vita della Chiesa. Dopo Gal­la Placidia e Melania sarà infatti il turno di Olimpiade, di Giuliana Arrida, di Pul-cheria, di Anna Commena, di Giovanna di Savoia/Anna Paleologina, di Teofano e di diverse altre. Tutte costoro, benché ben conosciute dagli specialisti, erano rima­ste piuttosto in ombra per il più grande pubblico, ed è per questo che la collana, at­traverso queste agili monografie, divulgative, ma solidamente sostenute dalla pre­parazione scientifica degli autori, viene a colmare un vuoto. La ragione di questo vuoto d'altra parte risiede nelle fonti stesse. Come tutti sanno nelle fonti relative al­l'età classica le donne hanno una voce molto flebile, al punto che si può dire che il genere letterario della biografia femminile nasce proprio con le prime grandi figure di donne cristiane, a cominciare da Macrina e per continuare con le protagoniste di cui si occupa questa collana. A partire dal IV secolo invece le fonti diventano sem­pre più ricche, consentendo di delineare i tratti personali di alcune figure di grande rilievo, siano esse delle personalità politiche (come Galla Placidia) ovvero delle eminenti personalità religiose (come è il caso di Melania).

La lettura che qui si vuole suggerire è dunque in successione: prima il libro su Galla Placidia e poi quello su Melania, seguendo in ciò il criterio degli editori, ben­ché cronologicamente forse Melania preceda di qualche tempo Galla Placidia. La ragione è che si tratta di due libri, benché assai vicini per argomento e per segmen­to cronologico trattato, alquanto diversi tra loro. Il testo di Vito Antonio Sirago più che una semplice biografia, finisce per essere una descrizione d'insieme dell'età di Galla Placidia e dunque la sua lettura sarà utilissima per chi si voglia introdurre allo studio di quegli anni difficili e controversi. Il lavoro di Tomas Spidlik invece, venen­do da uno dei massimi conoscitori della storia della spiritualità, è invece un piccolo gioiello di quel genere letterario che è la biografia spirituale, la cui lettura dunque permetterà di entrare nella interiorità di una donna vissuta mille e cinquecento an­ni fa.

Le differenze però non sono soltanto formali. Galla Placidia infatti fu anzitut­to una donna politica: figlia di un imperatore, sorella, moglie, madre di imperatori, e, diremmo quasi soprattutto, imperatrice ella stessa. Melania invece, pur prove­nendo da una delle famiglie più nobili dell'impero ed essendo anzi di natali ancor più illustri di Galla Placidia, fu anzitutto una santa.

Il loro diverso itinerario biografico va collocato sullo sfondo dei tragici avve­nimenti che caratterizzarono quei settant'anni, che vanno dalla morte di Teodosio (395 d.C.) alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente (456 d.C.). Sirago descrive bene, pur sottolineando tutti gli elementi di continuità, il naufragio di quegli anni. Nel 395 infatti, pur in mezzo a tante guerre e tante difficoltà interne ed esterne, l'impero romano era uno ed anzi, si poteva anche ritenere che avesse trovato nella religione cristiana recentemente proclamata religione di Stato (380 d.C.) uno dei fattori più importanti di stabilità. Settant'anni dopo invece tutta la parte orientale dell'Impero era caduta e il Mediterraneo aveva perso la sua unità, mentre le nuove formazioni statuali romano barbariche facevano sentire la loro voce. Galla Placidia, nella sua vicenda personale rappresenta l'incarnazione di questi mutamenti. Figlia di Teodosio e dunque sorella di Onorio e di Arcadio fra cui il padre aveva diviso l'impero, fu tra coloro che approvarono la fine di Stilicone, il generale che, durante la minorità di Onorio aveva retto vittoriosamente le sorti dell'Occidente, ma poco dopo, fu travolta da quegli avvenimenti che aveva contribuito a determinare: i vi­sigoti, guidati da Alarico, non trovando più opposizione, arrivarono in Italia e, nel 410 d.C. saccheggiarono Roma. Galla Placidia fu tra le prede più illustri del sac­cheggio e, alla morte di Alarico, passò come bottino di guerra al suo successore Ataulfo. Ma, quando i visigoti si ritirarono nella Gallia meridionale, avvenne quello che Sirago chiama «l'incredibile evento, che la prigioniera, sposando Ataulfo, di­venne regina dei visigoti». Galla Placidia aveva allora circa vent'anni e il re visigoto restò probabilmente l'unico uomo da lei amato nella sua vita, ma meno di due anni più tardi Ataulfo veniva ucciso e il suo successore, Vallia, restituì la fanciulla impe­riale alla corte di Ravenna e qui il fratello la diede in moglie al suo più valente ge­nerale, Costanzo, che nel 421 fu elevato al rango di coreggente dell'impero e cioè coimperatore. Galla, che nel frattempo aveva dato alla luce due bambini: Onoria e Valentiniano, venne nominata Augusta. Ma quello stesso anno, anche Costanzo morì. Galla Placidia fu quindi coinvolta nelle lotte di palazzo, al punto che il fra­tello Onorio firmò un bando contro di lei. Per questo motivo, insieme coi figli fu costretta a rifugiarsi a Costantinopoli, dove aveva ancora palazzi e proprietà, ma poco tempo dopo moriva anche Onorio, senza lasciare figli. Nell'Occidente scoppiò la guerra civile e il trono di Costantinopoli (su cui allora sedeva Teodosio II) so­stenne le rivendicazioni di Galla a favore del figlioletto, che alla fine prevalse e fu proclamato imperatore a Roma con il nome di Valentiniano III. Il ragazzo aveva appena sei anni e dunque a regnare fu la stessa Galla Placidia, che aveva da tempo il titolo di Augusta (425 d.C). Gli anni che seguirono furono particolarmente dif­ficili: tra l'altro l'Occidente fu sconvolto ancora una volta dall'invasione dei Vandali che giunsero prima in Spagna e poi in Africa. In ogni caso Galla giungeva a consegnare l'impero nelle mani del figlio, al compimento del suo diciottesimo anno di età (437 d. C). Da questo punto in poi la vicenda dell'imperatrice prende una piega tragica, giacché si trovò coinvolta in polemiche di non poco conto con il figlio. Ma ancora una volta la sua vicenda personale sembra coincidere con la vicenda di tutto l'impero: sono questi infatti gli anni in cui Genserico, re dei Vandali, conquista de­finitivamente Cartagine e strappa la provincia d'Africa all'impero ed anche gli anni in cui più forte si fece sentire la minaccia degli Unni di Attila. Per ridare la parola a Sirago: «Fra tali timori ed angosce trascorsero gli ultimi mesi di Galla Placidia. Se in passato aveva patito tante sofferenze tra svariate sventure, gli ultimi due anni la segnarono... per il dissolvimento di tutta la sua opera atta a creare una dinastia, tra­volta da uno stato di cose inevitabili ed impreviste. Volle rimanere a Roma, un po' per paura... ma soprattutto per avvilimento: era malata e non aveva la forza di rea­gire. Così il 27 novembre del 450 moriva, mentre Attila si dirigeva verso il Reno puntando sulla Gallia. Sarebbe stata una nuova distruzione come all'inizio del 407? Galla Placidia chiudeva la sua movimentata esistenza, senza neppure curarsi del bel mausoleo che si era fatta costruire con tanta premura, sognando di riposare tran­quillamente a fianco del marito Costanzo. Negli ultimi momenti della vita non badò più a nulla, anelava solo alla liberazione». Raccontata così, la storia di Galla Pla­cidia, pur tragica ed affascinante, è la storia di un naufragio. E d'altra parte sembra si tratti della parabola di un altro, più vasto, naufragio, quello appunto di tutto l'im­pero d'Occidente, che, qualche anno più tardi, avrebbe visto il termine della sua vi­ta giuridica.

Ben diversa la storia di Melania, conosciuta forse meglio anche dai non addet­ti ai lavori grazie ad un capitolo di Michel Clevenot nel terzo volume di quella for­tunata serie intitolata Gli uomini della penitenza. La gens Valeria, dalla quale pro­veniva Melania, era una delle stirpi più importanti dell'impero: un suo avo, Valerio Publicola, collega di Bruto, era stato stimato come uno dei difensori della Repub­blica romana. La loro casa sorgeva sul colle Celio, nel quartiere delle più nobili fa­miglie romane. La giovane Melania, all'età di quattordici anni, venne data in sposa dai genitori ad un cugino di nome Valerio Piniano, figlio di Valerio Severo, prefet­to di Roma nel 386. Lo sposo aveva diciassette anni. Melania voleva convincere il marito a vivere una vita di tipo monastico e dunque in castità, ma il marito pre­tese l'adempimento dei loro doveri familiari. Melania acconsentì ad avere dei figli: dapprima nacque una bambina e poi un maschietto che, però, morì subito dopo il parto. Anche Melania corse in quest'occasione un grave pericolo di vita. Il marito pregava per la sua salvezza, ma lei gli fece sapere: «Ditegli che se vuole che io resti viva deve promettere al Signore che passeremo il resto della nostra vita in castità e così vedrà la potenza di Cristo». E così avvenne: da quel giorno Melania e Piniano continuarono a vivere insieme, ma scegliendo definitivamente una vita casta e po­vera. La scelta di povertà era però cosa ben più difficile per i due eredi di una for­tuna di tale rilevanza: essi avevano possessi in Numidia, Mauritania, Campania, nel­le Puglie, in Cispadania, Transpadania, in Spagna; in Africa i loro possedimenti comprendevano centri per la lavorazione di oggetti d'oro. La rendita annuale di Pi­niano, secondo quanto lui stesso avrebbe detto in seguito, ammontava a «dodici mi­riadi d'oro» (centum viginti milia). Non è facile disfarsi di una simile fortuna. I pri­mi problemi li ebbero con gli schiavi della loro casa sul Celio, i quali, avendo udito la notizia di una prossima vendita, si ribellarono nel timore di finire sotto un padro­ne ben più severo. Per giungere a disfarsi dei loro beni Melania e Piniano dovettero chiedere un permesso speciale a Stilicone, il generale che aveva la reggenza dell'Im­pero nel periodo della minorità di Onorio. In ogni caso riuscirono a liquidare gran parte dei beni in Italia prima del 410 e poterono lasciare Roma poco prima dell'ar­rivo dei visigoti. Quindi si trasferirono in Sicilia e poi in Africa, dove si ripeterono gli stessi problemi. Alla fine arrivarono in Palestina, dopo aver beneficato migliaia di poveri in tutto il mondo, aver ridato la libertà a migliaia di schiavi ed aver aiutato a nascere numerosissime esperienze monastiche. A Gerusalemme Melania diede vita ad una comunità mista di monaci e di monache sul Monte degli Ulivi. In tutto il suo peregrinare ella aveva fatto la conoscenza delle più alte personalità del mon­do cristiano occidentale: Paolino di Nola, Rufino, Agostino, il suo amico Alipio, e Girolamo. Da Gerusalemme si diede da fare per fare entrare in relazione Girolamo ed Agostino. Alla fine Melania era veramente povera. La sua fine però fu molto di­versa da quella di Galla Placidia. Le sue ultime preoccupazioni furono per i suoi monaci e le sue monache, quindi la notizia si sparse per tutta Gerusalemme e giun­sero curiosi e pellegrini. Tra loro vennero anche i parenti di Melania, tra cui Paola, colei che in seguito verrà venerata come S. Paola romana. Infine il vescovo e gli anacoreti di Eleutheropoli che manifestavano dolore per la sua dipartita. «Melania rispose con le parole di Giobbe: "Come è piaciuto al Signore, così tutto è arrivato". Il suo volto si illuminò di una grande gioia e pace, quindi spirò».

Dal confronto tra queste due fini, si vede bene anche il confronto tra le due vite: quella di Melania, a differenza di Galla, non fu un naufragio, fu piuttosto un approdo. La sua biografia, scritta dal sacerdote cui aveva affidato la sua comunità, venne redatta in latino ed in greco e Melania venne subito venerata nella chiesa d'Oriente, in seguito anche in quella di Occidente.

C'è un episodio, nella vita di Melania, che dà un po' il senso di tutto questo. Si tratta del passaggio dalla Sicilia all'Africa. È il 411 e Alarico, dopo aver saccheg­giato Roma, minaccia di arrivare sull'isola. Melania e Piniano partono in tutta fret­ta. «Un forte vento contrario li portò nella direzione opposta. La nave era piena di gente, mancava l'acqua, i marinai erano disperati: "Ci perseguita la collera di Dio", pensavano. Ma Melania, con ferma serenità, acquistò autorità fra i disperati. Or­dinò ai marinai: "Lasciate la vela al vento, non combattete contro di lui: non è vo­lontà di Dio che noi arriviamo là dove avevamo stabilito di andare". I marinai le ob­bedirono. Del resto non si poteva far altro. E il vento portò presto la nave verso un'isola». Laddove Melania e Piniano ebbero occasione di fare qualcosa d'altro di bene.

Pur avendo vissuto nello stesso contesto storico e pur provenendo dallo stesso contesto sociale, Galla e Melania ebbero due itinerari umani del tutto diversi. La prima cercò di opporsi al naufragio del suo tempo, affermando con tutte le sue for­ze il potere suo e della sua famiglia. La seconda rinunziò ad ogni potere, scelse di non combattere contro il naufragio, ma di ricercare la volontà di Dio in ogni circo­stanza. La prima naufragò con il suo tempo, la seconda trovò, nel naufragio di quel­l'epoca, un approdo di fede.