Nobile Marco ,
Recensione: JOHANN MAIER, Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, ed. ita-liana a cura di Mauro Zonta ,
in
Antonianum, 71/4 (1996) p. 730-731
.
Il libro è un compendio divulgativo di due opere pubblicate dalla Wissenschaft-liche Buchgesellschaft di Darmstadt: 1) Gesù di Nazaret nella tradizione talmudica (n. 82); 2) Il confronto del giudaismo con il cristianesimo nell'antichità (n. 177), rispettivamente del 1978 e del 1982.
La tematica affrontata è di estremo interesse, perché sottopone a verifica critica, così come si fa per i testi biblici e come sempre più è richiesto da studi scientifici sistematici, quali YEinleitung in Talmud und Midrasch di G. Stemberger, la letteratura giudaica antica (tradizioni rabbiniche, Mishna, i due Talmudim). La necessita' di tali operazioni non nasce solo dall'amore per la scienza, bensì anche per mettere in crisi e, se possibile, finalmente abbattere certi pregiudizi, reciprocamente alimentati da cristiani e da ebrei, circa l'atteggiamento ebraico nei confronti di Gesù Cristo e del cristianesimo primitivo.
Lo «status quaestionis» è ampiamente trattato nel primo capitolo, che fa da introduzione alla disamina analitica dei gesti giudaici dei capitoli seguenti. Come al solito il M. è stimolante e illuminante in queste sue panoramiche volte a rilevare quanti pregiudizi reggano certe convinzioni secolari, sia nell'ebraismo che nel cristianesimo, convinzioni che non risparmiano gli stessi studiosi. Così, uno dei primi muri da abbattere, specialmente da parte cristiana, è quello di considerare il giudaismo antico e il cristianesimo primitivo, come due grandezze uguali e contrapposte. Vi è tutta una letteratura oggigiorno che cerca di far luce su questo periodo tanto affascinante, quanto ancora da chiarire pienamente, dato che all'inizio, prima che s'imponesse come vincente il rabbinismo, il cristianesimo era semplicemente uno dei tanti movimenti esistenti all'interno della galassia giudaica. Le inimicizie che vi potevano essere, erano al livello di disparità di opinioni; certamente il movimento cristiano non era ancora tale da dover impegnare tutte le attenzioni del giudaismo propriamente detto. La presa di coscienza e la conseguente conoscenza del cristianesimo da parte giudaica, avvenne purtroppo un po' tardi, quando esso si avviava a divenire vincente su base politica: un modo inadeguato di conoscere a fondo le istanze più autenticamente religiose della Chiesa sorella. Il cristianesimo, a sua volta, man mano che si sviluppava come religione autonoma e originale, staccandosi dall'antica matrice giudaica, perse sempre più i contatti con il più autentico ebraismo. Si trapassa al medioevo, in un'atmosfera nella quale lo iato si è istituzionalizzato, sulla base di pregiudizi reciproci, che hanno durato e talora durano a morire, specialmente, da parte ebraica: i pregiudizi riguardanti Jesu ha-nozrì = Gesù il Nazareno, la sua origine ambigua, forse da una donna messa incinta da un soldato dal nome incerto, Pandera/Panther, Patura o Stada (un mamzer quindi, o figlio illegittimo), la sua attività come mago e come mesti, o istigatore all'idolatria, e, infine, la sua probabile morte per lapidazione. Tutti motivi, questi, della tradizione delle cosiddette Toledot Jeshu.
In realtà, attraverso un minuzioso esame dei testi giudaici interessati, il M. mostra come tali «dicerie» vengano messe in crisi da due risultati di fatto: 1) è estremamente difficile e problematico che i testi addotti facciano riferimento a Gesù, alla sua famiglia o talora ad alcuni suoi discepoli, come Giacomo (cf. Qoh R. 1,1.8 e bAZ. 16b-17a); 2) di solito, i testi in questione rompono il contesto entro il quale le più antiche generazioni rabbiniche dei Saggi, i tannaiti e gli amorei (dal II al IV sec), avevano sistemato le loro tradizioni, così che i pezzi «incriminati» si rivelano essere delle interpolazioni tardive e frutto dell'ormai inveterato pregiudizio vicendevole.
Studi come questo del M. vanno non solo moltiplicati, ma anche fatti conoscere ad un largo pubblico.
|