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Recensione: Rudolph Smend, La formazione dell'Antico Testamento

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Rudolph Smend, La formazione dell'Antico Testamento , in Antonianum, 70/3-4 (1995) p. 685-686 .

Quello dello S. è un libro d'introduzione all'AT, che ha conosciuto già la quar­ta edizione. Senza togliere valore al volume, la cosa però è spiegabile anche in base al fatto che esso è un manuale rapido e sintetico per studenti, quindi di dovuta e prevedibile diffusione, dato del resto anche il calibro dell'autore. Meno spiegabile è invece la proliferazione sul mercato italiano di manuali stranieri, pur ben fatti, che però risultano di seconda mano, con ampia bibliografia che lo studente (ma non solo lui...) difficilmente consulterà. Come se non vi fossero in circolazione or­mai degli ottimi manuali d'introduzione biblica scritti da studiosi italiani di tutto ri­spetto; anche se bisogna lamentare pure per molti di questi il vezzo della dipenden­za ideologico-metodologica e bibliografica dalla letteratura straniera, superflua quando non paralizzante allorché non si tratti di un lavoro accademico di ricerca (nel qual caso, il confronto e i riferimenti sono doverosi), bensì appunto di manuali divulgativi.

In quanto tale, il manuale dello S. può ricevere solo una recensione adeguata al genere letterario nel quale è composto e non si possono approfondire i molti problemi che l'autore sa magistralmente sintetizzare e livellare, per renderli acces­sibili ai suoi destinatari.

Intanto, si può rilevare come gli aggiornamenti bibliografici, rispetto al 1978, anno della prima edizione tedesca, siano stati ridotti al minimo, e, nonostante ne sia stato in qualche modo tenuto conto, l'a. lo ha fatto in modo marginale, così da non farli pesare sull'impianto originale dell'opera, la quale riproduce in modo siste­matico e chiaro quanto di meglio la critica storica e letteraria abbia saputo darci fi­no a qualche tempo fa. E non è poco. Lo S. sa esporre con precisione didattica l'e­normità di problemi che generazioni di studiosi hanno dovuto affrontare negli ul­timi due secoli.

II criterio metodologico d'indagine che l'a. segue per la presentazione degli ar­gomenti, soprattutto per il pentateuco e per i libri storici, è opposto a quello segui­to di solito: egli parte dalla stratificazione ultima dei testi, che costituiscono la parte più sicura e meno carica di questioni, e scava via via negli strati sottostanti fino ad arrivare alle piccole unità, ai motivi o alle singole tradizioni. Il criterio è opportuno e mostra la sensibilità dello S. nei riguardi degli attuali orientamenti esegetici, fa­vorevoli al trattamento preferenziale delle ultime redazioni, anche se poi non ne se­gue gl'intendimenti e, non convinto, li mette da parte. In realtà, il capovolgimento è puramente estrinseco: se ricapovolgessimo la trattazione dei vari strati testuali se­condo l'ordine usuale dei manuali d'introduzione, non cambierebbe niente. Le problematiche, ancora vivacemente dibattute e quindi non risolte, circa le redazioni fi­nali del pentateuco e dei libri deuteronomistici, circa la natura, la datazione e l'e­stensione dello Jahvista (non quello tradizionale) e, infine, circa le connessioni non puramente estrinseche delle due parti del dittico tetra/pentateuco - libri dtr, sono un'altra cosa.

D'altra parte è comprensibile che il genere letterario dell'« introduzione » vo­glia essere mantenuto nella sua forma canonica, cioè non eccessivamente proble­matizzata e capace piuttosto di dare dei risultati che sono venuti a costituire nel tempo, per l'accordo e la collaborazione di tutti gli studiosi, quasi una dogmatica esegetica.

La stessa conclusione si ricava dalle altre due parti della letteratura veterote­stamentaria, quella profetica e quella degli Scritti. Lo S. offre una panoramica sem­pre chiara ed esaustiva, pur nella concisione, della esegesi tradizionale.

Circa la ricerca sui profeti, egli critica quelli che ritiene i due atteggiamenti estremi: il soffermarsi esclusivamente sull'aspetto storico originario riguardante il profeta e, all'opposto, il privilegiare solo la redazione finale del libro. Siamo d'ac­cordo con lo S. Solo che il principio è più enunciato che messo in pratica. Del libro d'Isaia si ha una concezione frammentaria (non semplicemente per la sua triparti­zione) e minimalista: mentre si favorisce l'identificazione delle parole isaiane, di contro, le operazioni redazionali sono ritenute molteplici e senza un piano globale; del personaggio viene stilata una breve biografia, secondo il gusto tradizionale. Lo stesso avviene per Ezechiele, trattato solo in riferimento a questioni storiche più che letterarie; si accenna perfino alla questione ormai irrilevante delle sue « malat­tie », ad indicare le quali in passato era stato preso in considerazione perfino l'in-goiamento del rotolo del e. 3! Certo, lo S. si guarda bene dal dare ancora fonda­mento storico a ciò, ma lo fa in modo circonvoluto e pudico (p. 219), senza dire chiaramente che si tratta di significativi eventi simbolici e per niente reali. Stesso at­teggiamento per la questione delle « due » donne di Osea (p. 223), ove lo S. non se la sente di negare una veridicità storica agli episodi.

Quest'accenno di confronto che abbiamo fatto con le idee del libro, lascia in­tatto il valore didattico di questa bella introduzione: una « summa » dal conserva­torismo illuminato.