Nobile Marco ,
Recensione: Joachim Theis, Paulus als Weisheitslehrer. Der Gekreuzigte und die Weisheit Gottes in,
in
Antonianum, 70/3-4 (1995) p. 690-691
.
La dissertazione dottorale del T., accolta dalla Facoltà di teologia di Trier nell'anno accademico 1989-90, si situa in quella stimolante ricerca dei nostri giorni, che da un lato cerca d'illuminare sempre più la propria comprensione del NT sullo sfondo del panorama storico-culturale e letterario, soprattutto extra-biblico, dall'altro, e più in particolare, adopera questo taglio metodologico per gli studi su Paolo. Un caposcuola in questo senso è ormai W.D. Davies con il suo libro del 1984 sul confronto tra la teologia di Paolo e quella giudaica. In tal modo, l'apostolo viene sempre più liberato da quelle panie gnostico-ellenistiche nelle quali lo avevano collocato alcuni decenni fa studiosi di fama, come il Bultmann o lo Schlier, e viene legittimamente rimesso nel suo ambiente più autentico, quello appunto giudaico.
II nostro autore sceglie come campione d'indagine 1 Cor 1-4, per dimostrare la sua tesi, che cioè Paolo, attingendo a motivi e a tradizioni prettamente giudaici, e in buona parte reinterpretandoli, abbia risposto alle pretese dei suoi avversari di Corinto, i quali si sarebbero rifatti alla predicazione di stampo ellenistico-alessan-
drino di Apollo. Facendo ciò, Paolo si sarebbe dimostrato un vero « maestro di sapienza », in continuità e in novità rispetto alla tradizione.
Lo sviluppo della tesi viene articolato in quattro capitoli, preceduti da una breve quanto chiara introduzione.
Nel primo capitolo, com'è da aspettarsi, il T. affronta una disamina storica della ricerca sul tema, che parte da F.C. Baur (1831) e giunge fino a J.A. Davis (1985).
Nel secondo, Fa. affronta direttamente la sezione di 1 Cor 1-4, facendone l'esegesi e cercando di ricostruire la concezione di « sapienza » che viene espressa dal testo. L'analisi si dipana in tre punti: l'unitarietà della sezione e la sua struttura, la relazione tra la sapienza di Dio e la predicazione sulla croce e, infine, il rapporto tra il mistero di Dio e la sapienza nascosta.
Il terzo capitolo è dedicato ad un'analisi del lessico e dei temi sapienziali in Paolo e, coerentemente, ad un'analisi contestuale che pesca nell'AT e nel patrimonio giudaico; una trattazione ampia e chiara che, tuttavia, come dichiara l'a. stesso, non vuole né può essere esaustiva sull'argomento. Con questa disamina, si apprendono e comprendono le fonti alle quali attinge il pensiero paolino, ma anche il suo distanziarsi da esse, allorché sostituisce alla figura o al concetto in esse presenti, la persona di Cristo e la predicazione della croce. Alle concezioni veterotestamentarie e giudaiche circa la sapienza e il corredo concettuale che l'arricchiscono, Paolo chiede in prestito la formulazione, non per schierarsi con posizioni protognostiche, quali quelle dei suoi avversari, ma per affermare che è Cristo il centro della rivelazione divina, il mediatore preesistente della potenza di Dio, non nel senso gnostico, ma nell'impotenza e nella follia della croce. Al percorso intellettualistico ed elitario degli avversari, Paolo oppone la debolezza e l'insufficienza dell'uomo, bisognoso del dono di grazia di Dio; un dono offerto a tutti attraverso l'accettazione dello scandalo della croce.
Questi risultati vengono ripresi e sistematizzati nel quarto ed ultimo capitolo, ove Paolo appare veramente un maestro ebreo che, come lo scriba sapiente, tira fuori dalla sua bisaccia l'antico e il nuovo. Anzi, il T. afferma decisamente che in
Paolo si possa parlare di una vera e propria personale « dottrina della sapienza » {paulìnische Weisheitslehre, p. 518).
Vari indici coronano questa dissertazione lineare e ben organizzata.
|