Nobile Marco ,
Recensione: G. I. Davies, Hosea ,
in
Antonianum, 69/1 (1994) p. 115-117
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La serie di commentari biblici dell' NCBC presenta un nuovo contributo, che si affianca egregiamente ai precedenti, secondo i criteri della collana: stringatezza d'indagine e contemporaneamente rigorosità filologica. Si tratta di uno studio rivolto non solo agli addetti ai lavori, bensì anche a persone culturalmente preparate, di lingua e cultura inglesi, desiderose di un rapido quanto piano commento al testo biblico. In questo caso, oggetto è il libro di Osea, un'opera complessa che pone da sempre problemi di critica testuale e letterari.
Diciamo subito che il commentatore si muove sul piano della più classica metodologia storico-critica, con un atteggiamento piuttosto conservatore, anche se di una conservazione illuminata. Difatti, fin dalla prefazione mostra di essere legato al mondo metodologico di H. W. Wolff, autore del famoso commentario a Osea per la tedesca BKAT, e «inventore» delle kerygmatische Einheiten, cioè di quella teoria secondo la quale la difficoltà di connessione e di comprensione dei vari testi oseani, si spiegherebbe col fatto che si tratterebbe delle risposte (scritte) del profeta a domande (non scritte e quindi non presenti nel libro) fatte da non meglio identificati personaggi, nel quadro di un'azione liturgica. La teoria è perlomeno fantasiosa ed indicativa di una disposizione metodologica che da tempo sta trovando una critica più propensa a favorire l'evento letterario piuttosto che l'ossessione di scoprire lo sfondo/i storico/a dietro ciascun brano. In altri termini, il nuovo orientamento critico è volto meno al problema dell'autenticità e più alla natura della composizione letteraria nella sua autonomia relativa: un problema di linguistica moderna, che certo va integrato dalla componente storica, ma che, proprio per la situazione provocata dalla storia genetica dei testi biblici (la profonda rifusione del periodo esilico-postesilico), non ne deve venire sopraffatta con ipotesi talora gratuite. Bisogna, però, concedere che il D. non si lascia convincere dalla suddetta teoria e che in questo caso, come in altri, quali il problema degl'idioletti oseani, forse un problema di critica testuale, egli assume delle posizioni personali.
Il commento del D. si muove senza dubbio con autonomia e con tocco magistrale, rispetto ad altri studiosi; esso, inoltre, è aggiornato al riguardo di rimaneggiamenti deuteronomistici posteriori, che denoterebbero la lunga gestazione del testo oseano. Aggiungiamo che, nel quadro della metodologia entro la quale si muove, l'opera è un ottimo modello di coerenza ed acribia scientifica. E tuttavia, rimangono tradizionali le opzioni del D.
Egli riconduce all'Osea storico (Vili sec.) buona parte del libro; la predicazione oseana, che ripropone in modo originale le tradizioni del nord, l'Esodo e l'Alleanza, sarebbe diventata il patrimonio al quale avrebbero attinto in seguito Geremia, Ezechiele, il Deuteroisaia e il Deuteronomio. L'evoluzione nell'uso degli oracoli avrebbe comportato nel tempo l'applicazione originaria da Israele (il regno del nord) a Giuda. Il D. non si chiede se non si debba capovolgere la prospettiva tradizionale e, invece d'interpretare come eredità oseana quel che si trova nei libri suddetti, non si debba piuttosto considerarlo come la prova di una redazione tardiva, con ogni probabilità quella deuteronomistica, comune a tutti i testi citati, compreso Osea stesso (vedi a questo proposito le posizioni riportate nel-VIntroduzione all'AT /1987/ di A.J. Soggin; esiste la quasi contemporanea edizione inglese).
In breve, il D. dà il seguente quadro del libro di Osea. Innanzi tutto non vi trova un progetto compositivo d'insieme; si tratta piuttosto di una compilazione condotta nel tempo, fino ad arrivare all'epoca postesilica, di oracoli autenticamente oseani (salvo aggiustamenti redazionali), pronunciati in circostanze diverse; la loro connessione interna è di natura secondaria, talora per unità tematica, talaltra cronologica.
Il commento dettagliato al libro oseano, pur apprezzabile nella sua rapida e informata esegesi, naturalmente non può che essere guidato dalle convinzioni suesposte. Emblematica è l'interpretazione dei ce. 1-3 e la soluzione che il D. dà al problema della moglie «prostituta» del profeta. Egli espone con accuratezza le varie posizioni degli studiosi al riguardo e le discute con autorevole indipendenza di giudizio. Senonché, alla fine, questa è la soluzione che egli offre. Osea sarebbe stato in realtà uno dei clienti della prostituta Gomer, dalla quale avrebbe avuto dei figli, frutto di una relazione extraconiugale e non, quindi, di un matrimonio; da qui la loro denominazione di «figli di prostituzione» (1,2). In seguito, dopo la guerra siro-efraimita, avrebbe comprato e forse sposato una donna di carattere immorale, per simboleggiare l'amore infedele d'Israele nei riguardi di Jahwè; si sarebbe però, in un primo tempo, astenuto da rapporti sessuali, per indicare il periodo di punizione e disciplina, a cui il popolo sarebbe stato sottoposto, prima di ritornare al legame antico con Dio. Così, a detta del Nostro, al livello teologico si può constatare e salvaguardare quella continuità che sembra trasparire dai testi, mentre non vi è certo continuità nella vita reale del profeta, trattandosi di due episodi diversi. La soluzione è perlomeno contorta, volendo salvare ad ogni costo l'autenticità storica dei ce. 1-3 e la loro portata di messaggio simbolico. A questa e ad altre posizioni consimili non passa minimamente per la mente che un'azione simbolica dovrebbe avere, come tale, immediatezza e relativa brevità di durata, se vuole possedere capacità folgorante di comunicazione. Ma l'elaborazione della vita privata di un uomo, seppure profeta, sfugge ai parametri della comunicazione simbolica: troppi ostacoli cronologici ed esistenziali si parano davanti. Perché non si dovrebbe interpretare, invece, il testo oseano come riflessione delle generazioni successive sulla predicazione di Osea, personificata in episodi biografici di puro valore simbolico? Si tratterebbe della stessa valenza semantica dei gesti tanto simbolici quanto improbabili di Ez 4-5, pure richiamati dal D., ma naturalmente con intendimento opposto al nostro.
Tenuto conto di queste premesse metodologiche, il commentario in questione può essere usato con grande utilità e come modello scientifico di autorevole confronto.
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