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Recensione: Timothy R. Ashley, The Book of Numbers

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Timothy R. Ashley, The Book of Numbers , in Antonianum, 69/2-3 (1994) p. 383-384 .

Nonostante il carattere ostico di un libro come quello dei Numeri, che poco si presta alla facile tendenza odierna di cortocircuitare l'analisi scientifica a favore della corriva meditazione teologica (eppure Numeri è veramente un libro di teolo­gia!), si stanno moltiplicando in questi ultimi anni commenti ad esso. Il presente commentario si situa egregiamente in questa serie.

Nel quadro delle sempre effervescenti ricerche attorno al pentateuco e ai libri storici, si ha bisogno di un lavoro come quello di A., che ritorni alla fonte e la ri­presenti al lettore con un'interpretazione sistematica. Non si può né si deve fare a meno di riflettere nell'esegesi del testo lo stato della problematica, ma questa, nel caso di A, viene messa in secondo piano, di fronte all'esigenza di trattare il libro dei Numeri nella sua configurazione attuale, come parte di un tutto più ampio. Cer­to, l'A, come si può arguire, non è un entusiasta della teoria documentaria e a più riprese ne mostra la debolezza; ma, se possiamo dire che egli condivida in buona parte quelle posizioni conservatrici rappresentate soprattutto da J. Milgrom, secon­do cui molto del materiale P sarebbe di origine preesilica, infrangendo così un do­gma, dobbiamo anche aggiungere che l'A. è un conservatore illuminato col quale bisogna fare i conti.

Quando si è detto che egli predilige l'analisi sul testo finale, non significa che non conosca né tanto meno che voglia prendere sotto gamba gli studi critici corren­ti, per trasvolare verso una lettura teologizzante o precritica. Tutt'altro. Paradossal­mente egli si schiera senza volerlo con quell'orientamento contemporaneo ormai a disagio o insoddisfatto dei dogmi della teoria documentaria. È vero, l'A. giunge ta­lora a risultati opposti a detto orientamento, che predilige la collocazione postesi-lica dei testi pentateucali, mentre egli, senza negare tale possibilità, è più portato a favorire quella opposta. Tuttavia, fa bene sentire qualcuno che smascheri la mecca­nicità nella quale è caduta la metodologia conseguente alla teoria delle fonti (la di­versità dei nomi divini, ecc.), la quale ha buttato sulle spalle dei redattori tardivi il peso di una pia inconsistenza letteraria o di un'inspiegabile incoerenza logica nella ricomposizione dei testi. Certe regole, fornite in passato come bussola per il lavoro storico-critico, allorché sono state applicate meccanicamente, hanno condotto a dei risultati talora ridicoli (anche se ottimi come lavoro formale...).

Oltre a questa peculiarità, il commento dell'A. mostra una cura essenziale e nel contempo rigorosa, espressa nel testo e nelle note, della filologia, seguendo la lezione, com'egli stesso dice nella prefazione, dell'antico commentario di G.B. Gray dell'/CC (1903). La sua analisi non si articola in varie sezioni, come avviene di so­lito in lavori del genere, ma segue monoliticamente ogni unità testuale, chiaramen­te inserita in ciascuna delle cinque grandi ripartizioni del libro: 1. Preparativi per la partenza - 2. Viaggio dal Sinai a Kadesh-Barnea - 3. All'interno e attorno a Kadesh-Barnea - 4. Viaggio da Kadesh-B. alle pianure di Moab - 5. Nelle pianure di Moab. L'analisi vera e propria viene di solito aperta da una più o meno breve introduzione storico-letteraria, alla quale segue immediatamente il commento, come si è detto, compatto, ricolmo d'informazioni e di dati e non privo di riferimenti teologici. Qua e là vi sono delle soste di puntualizzazione, come nel caso dell'excursus sul senso delle cifre dei primi capitoli del libro (pp. 60-66) oppure come nell'introduzione al­la grande sezione della storia di Balaam (22, 22-24, 25) (pp. 432-511).

Quello dell'A. è un commentario non solo per studiosi, che si sia o non si sia pienamente d'accordo con le sue posizioni, ma anche per gente colta non addetta ai lavori, che però desidera avere con le Scritture un approccio serio e aggiornato.