Nobile Marco ,
Recensione: Jerome Murphy-O'Connor, La teologia della seconda Lettera ai Corinti; Judith M. Lieu, La teologia delle Lettere di Giovanni; Barnabas Lindars, La teologia della Lettera agli Ebrei ,
in
Antonianum, 69/2-3 (1994) p. 388-389
.
La casa editrice Paideia ha voluto arricchirsi di una nuova interessante collana biblica, che riprende l'originale iniziativa inglese, curata da J.D.G. Dunn, con la quale si vuole mettere a disposizione di studenti, di addetti a compiti pastorali e comunque di persone colte, ma non addette ai lavori, una serie di rapidi quanto rigorosi commenti a scritti neotestamentari. L'iniziativa si rende necessaria, come spiega il Dunn, specialmente a riguardo di alcuni testi, superficialmente sfiorati nelle introduzioni studiate durante il periodo degli studi seminaristici e difficilmente accostabili per approfondimento, in commentari scientifici che richiedono troppa dedizione. Così, la presente collana offre un sicuro quanto veloce strumento di conoscenza del NT, sicuro per l'autorevolezza degli autori e veloce perché vengono evitate le analisi filologiche ed eccessivamente tecniche, che possono interessare lo specialista, ma non il comune lettore di buona volontà, che rischia di vedersi nascondere il messaggio teologico del testo dietro le dense nuvole della filologia.
La struttura dell'articolazione di lavoro per ciascuna monografia è la stessa. Si comincia con il presentare brevemente i problemi di ordine storico: autore, destinatari, luogo, data, motivazioni dello scritto. Indi, si passa alla sezione che fa la parte del leone, cioè il commento sistematico del testo, seguito passo passo con il solo intendimento di ricostruirne il pensiero e quindi il messaggio teologico. Dopo questa fase ponderosa di lavoro, si esamina prima il rapporto che lo scritto di turno intrattiene con il resto del NT (contributi di sviluppo, dipendenza di temi), poi se ne ricerca la rilevanza teologica per l'oggi.
Una collana utile, quindi, che non vuole semplicemente aggiungersi alla copiosa messe di opere consimili sul mercato odierno, ma desidera anche offrire l'originalità del pensiero del commentatore, il quale, data la sua autorevolezza, ha raggiunto una posizione matura personale.
E veramente personale è il commento che viene fatto ai tre testi del NT. Mur-phy-O'Connor sviluppa la sua spiegazione nel quadro del convincimento che 2 Cor contenga due lettere: la prima, costituita dai ce. 1-9, sarebbe stata scritta da Paolo nella primavera del 55 a Filippi o a Tessalonica, dopo aver sortito un felice effetto con la sua precedente « lettera delle lacrime » (andata perduta); per il momento sembrava averla avuta vinta con i giudaizzanti e con gli « spiritualizzanti » (un gruppo desideroso di maggior approfondimento intellettuale e culturale del messaggio cristiano). La seconda lettera, contenuta nei ce. 10-13, invece, che non sarebbe la lettera della lacrime, come sostengono alcuni, rappresenterebbe un nuovo inasprimento dei rapporti di Paolo con i suddetti gruppi, che addirittura metterebbero in forse la sua autorità. Il dettato dell'Apostolo è in entrambe le lettere personalissimo, dolce e rasserenante nella prima, vigoroso e autoconsapevole nella seconda. Lieu e Lindars, invece, condividono un atteggiamento metodologico pregiudiziale. Entrambi vogliono mettere tra parentesi le eccessive o talvolta eccessivamente fantasiose ipotesi d'identificazione delle due opere da loro commentate, rispettivamente le lettere di Giovanni e la lettera agli Ebrei. Tale atteggiamento è senz'altro raccomandabile, anche se talora rischia di far cadere in ipotesi originali per difetto, specialmente nel caso della Lieu, la quale opera in maniera continuatamente riduttiva, togliendo, ad es., alla 1 Gv qualsiasi slancio di « teologia alta » e facendone quasi un correttivo del vangelo giovanneo. Ma anche il Lindars esclude il motivo della preesistenza di Gesù dalla lettera agli Ebrei (minimizzando 1, lss) e qualsiasi teologia incarnazionista. Gesù è semplicemente colui che con il suo sacrificio ha liberato i suoi dai peccati una volta per sempre e ha svolto in modo pieno e definitivo tutto quello che veniva richiesto dal rituale antico dell'espiazione.
Naturalmente, queste posizioni vanno lette e ricomposte in quel tentativo lodevole di entrambi gli studiosi, di inserire il farsi dei due testi nel dinamismo della storia del Nuovo Testamento, dove non bisogna lasciar entrare pregiudizialmente risultati della teologia posteriore o proveniente da altre opere, come nel caso delle opere gio-vannee. Tuttavia, queste posizioni rimangono tutte da discutere. Ciò non toglie valore al serrato e denso commento teologico, che si legge con molto profitto.
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