Battaglia Vincenzo ,
Recensione: Nicola Cióla, La crisi del teocentrismo trinitario nel Novecento teológico. II tema nel contesto emblemático della secolarizzazione ,
in
Antonianum, 69/4 (1994) p. 555-561
.
Nel saggio che presentiamo l'autore, docente di teología trinitaria presso la Pontificia Universitá Lateranense, rivisita accuratamente una fase cruciale che la storia della teologia trinitaria ha attraversato nel Novecento, precisamente quella determinata dalla nascita e dallo sviluppo della teologia della secolarizzazione, offrendone una ricostruzione ben documentata.
L'opera si fa apprezzare innanzitutto per l'attenzione con la quale è stato analizzato il pensiero elaborato da quei teologi che, direttamente o indirettamente, sono stati, via via, i precursori o i protagonisti della crisi che ha investito il teocentrismo trinitario. Inoltre, si segnala sia per la chiarezza con la quale le posizioni assunte da questi autori sono state inquadrate e discusse entro l'ampio orizzonte dottrinale in cui si è mosso e si muove il dibattito sul mistero di Dio, sia per le aperture prospettiche, coerenti ad uno sviluppo equilibrato della teologia trinitaria, indicate puntualmente nella conclusione. Va preso atto, infine, che mette a disposizione i risultati del confronto prolungato che l'autore ha condotto con tanti teologi che, nei decenni passati come attualmente, hanno contribuito e contribuiscono a fare la storia della teologia trinitaria in questo nostro secolo. Lo si evince, tra l'altro, dalle tante note, a carattere sia informativo che esplicativo, che corredano il testo.
Esaurita la premessa, inizio ad esporre più in dettaglio rilevando per prima cosa che in questa monografia interagiscono sia la ricerca di tipo storico come l'interesse per la teologia sistematica: anzi, a dire il vero, si deve precisare, ricalcando quanto lo stesso Ciola fa osservare nella Premessa (pp. 11-16), che il fenomeno storico preso in esame, - appunto quel periodo critico che ha avuto come protagonisti principali prima Bonhoeffer, e successivamente gli autori che hanno dato vita alla teologia della secolarizzazione ed alla corrente radicale della « morte di Dio » -, viene ripensato dal punto di vista teologico ed in funzione della teologia sistematica, per far comprendere con esattezza le ragioni che stanno alla base dello « status quaestionis » riguardante l'odierna teologia trinitaria.
Pertanto, mirando ad impostare la trattazione in un modo che risulti rigoroso dal punto di vista sistematico, Ciola inizia proprio con il descrivere la situazione in cui si trova oggi la riflessione sul mistero di Dio, e lo fa illustrando nel primo capitolo « la crisi del discorso su Dio » (pp. 19-58). Alla rilevante importanza data oggi alla tematiea trinitaria si è arrivati di recente, e precisamente dopo che, all'indomani del Concilio Vaticano II, si è registrato un grande interesse prima per l'ecclesiologia e poi per la cristologia. « Il discorso su Dio ritorna così ad essere la grammatica dell'intera teologia », rileva giustamente l'autore (p. 12), ed è un fatto sul quale si registra un'ampia convergenza sia in campo cattolico che protestante.
In particolare, va preso atto che l'attuale « recupero della patria trinitaria » (cfr. pp. 11-12) rappresenta l'esito più proficuo cui ha condotto la precedente, massiccia produzione bibliografica concernente il mistero cristico. Il discorso sul Dio cristiano, infatti, è il discorso sul Dio di Gesù Cristo. La teologia trinitaria viene regolata e perciò attinta dal Cristo accolto nella sua funzione di Rivelatore di Dio, alla quale viene riconosciuta ed assegnata una valenza mediatrice dal valore assoluto.
Per cogliere tutti i risvolti inerenti ad una tematica così complessa, è assai proficua, oltre al primo capitolo ed alla Premessa cui sto facendo riferimento, anche la Conclusione (pp. 441-460). Qui leggiamo, per esempio, che « l'autentico teocentrismo cristiano risulta sempre perdente, sia quando si chiude alle determinazioni che gli vengono da Gesù Cristo, sia quando si piega ad una concentrazione cristocen-trica che neghi qualsiasi possibile precomprensione religiosa naturale al discorso rivelato ». (p. 449). Se, quindi, il radicamento nel cristocentrismo va ritenuto come un'acquisizione ormai irrinunciabile cui è giunta la teologia trinitaria, va giudicata altrettanto irrinunciabile l'esigenza, difesa soprattutto in campo cattolico, che questa resti saldamente ancorata anche alla teologia naturale. A quest'ultima, però, va assegnata, ed a ragione, solo una funzione propedeutica e predispositiva alla conoscenza della verità su Dio rivelata da e in Cristo.
Il discorso su Dio, mediato in via assoluta da Gesù Cristo, aperto alla predisposizione verso il mistero di Dio che è naturale nell'uomo: sono questi, in definitiva, i poli tematici attorno ai quali si è svolta la « crisi » studiata da Ciola. A subirla, a farne le spese è stato quindi il « teocentrismo trinitario »: si tratta di quel teocentrismo, elaborato dalla teologia cattolica di stampo manualistico, che ha dominato la scena fino a quando non è stato messo radicalmente in discussione da teologi appartenenti in prevalenza all'area ecclesiale protestante.
Preso atto quindi che il perno attorno al quale ruota tutta la trattazione è costituito dal complesso rapporto che intercorre tra il teismo trinitario classico e il cri-stocentrismo, completo la panoramica sul primo capitolo precisando che qui Ciola ha inteso « esaminare e discernere criticamente le provocazioni che hanno portato la teologia su Dio ad essere pensata più teologicamente » (p. 22). Emerge così in primo piano il processo all'oggettività di Dio intentato negli anni '60 e '70 da diverse correnti di pensiero, filosofiche e teologiche. Ad accusare il teismo cattolico di essere scaduto in una ontoteologia dominata dal pensiero metafisico e di essere troppo carente in quanto a fondazione storico-salvifica, si sono avvicendati, via via, prima la filosofia heideggeriana, poi i teologi protestanti che hanno condiviso le posizioni assunte da Barth e da Bultmann. Ma se l'oggettivismo teistico non appare una via percorribile, non lo sono neppure le teologie esistenziali prodotte in alternativa. Esiste invece una terza via, che, a giudizio di Ciola, porta ad integrare la dimensione metafisica nell'orizzonte dell'economia storico-salvifica incentrata sul Verbo incarnato.
Se questa è la soluzione, si tratta ora di indagare come e perché vi si è arrivati attraverso un periodo di crisi alimentata dall'esplosione di un fenomeno che è e resta assai importante per comprendere il nostro tempo: la « secolarizzazione ».
Molto opportunamente Ciola, dopo averne descritta la fisionomia, che risulta caratterizzata dalla categoria di emancipazione, anticipa fin dall'inizio la sua valutazione, avvertendo che « alla sfida della secolarizzazione, la teologia della secolarizzazione non ha saputo rispondere con una proposta accettabile » (p. 43). Pregiudicata da un rifiuto inderogabile opposto al Dio Trascendente a tutto vantaggio di una cristologia circoscritta entro l'orizzonte mondano, ha finito così per mettere definitivamente in crisi il teocentrismo trinitario. In sostanza, è questa la chiave dottrinale che l'autore fornisce per far leggere e comprendere l'inizio, lo sviluppo e il declino della teologia secolare che ha avuto i suoi precursori in Barth, Bultmann e Tillich. Detto questo, avverte che « tra questi "precursori" e la teologia della secolarizzazione esiste un anello di congiunzione difficilmente catturabile e inquadrabile: Dietrich Bonhoeffer » (p. 55). E poco più oltre aggiunge, precisando ancora meglio: « Personalmente riteniamo che si debba parlare di teologia della secolari-zazione con Gogarten, Robinson, Cox, Vahanian; sosteniamo che Bonhoeffer si ponga in mezzo tra la teologia dialettica e quella della secolarizzazione e che tuttavia proprio con Bonhoeffer si debba parlare di crisi di un certo teismo trinitario » (P- 56).
Tenuto conto di quest'ultima spiegazione, che fa già intravedere chiaramente i tre momenti in cui è stata suddivisa la ricerca storiografica, risulta del tutto logico che proprio a Bonhoeffer sia stato riservato tutto quello spazio coincidente con il capitolo secondo (pp. 59-238). È stato lui, infatti, a « porre per primo come problema teologico il rapporto tra Dio e la realtà del mondo maggiorenne. In questo senso va considerato teologo post-dialettico », e, inoltre, « più che essere considerato l'iniziatore della teologia della secolarizzazione va compreso come teologo della storicità in quanto fedeltà alla terra... » (pp. 63-64). In poche parole, è arrivato a proporre un cristianesimo a-religioso in un mondo diventato adulto.
In linea con l'impostazione metodologica spiegata nel primo capitolo, Ciola ha inteso realizzare una lettura teologica del pensiero di Bonhoeffer, seguendone in sostanza « il percorso che da Dio porta a Gesù Cristo » (p. 67). Tale lettura è stata eseguita applicando allo studio delle sue opere una ermeneutica organizzata, sulla scia delle conclusioni cui è giunto lo studioso A. Dumas, secondo un procedimento a ritroso che, a partire da « Widerstang und Ergebung » appartenente al terzo ed ultimo periodo della sua vita, quello che corrisponde agli anni della tragedia (1939-1945) e che ha avuto il suo epilogo mortale il 9 aprile 1945 nel campo di concentramento di Flossenburg, approda successivamente prima al periodo segnato dalla testimonianza militante, che va dall'avvento del nazismo fino all'inizio della guerra (1933-1939), e, da ultimo, al periodo che abbraccia gli inizi della carriera universitaria e dell'attività teologica, - il primo scritto dal titolo « Sanctorum communio » appare nel 1927 -, ed arriva sino al 1933.
Nel motivare la scelta del punto di partenza fa presente che l'opera in oggetto « sintetizza pur nella sua enigmaticità, il tema che a noi sembra centrale, quello cioè di Dio in un mondo diventato adulto che si coniuga col tema del cristocentri-smo, e questo in quello stile autobiografico proprio di una dottrina che scaturisce da una esperienza personale e religiosa così forte quale quella della prigionia.. » (p. 85). Il tema centrale così enucleato viene poi ricostruito in maniera ampia ed esauriente sull'intelaiatura fornita dal contenuto dei tanti scritti bonhoefferiani presi in considerazione. Seguendone in sintesi la traiettoria principale, notiamo innanzitutto che l'insistenza sulla realtà di un mondo diventato adulto ed il conseguente rifiuto opposto ad una religiosità incapace di prenderne atto e di fornire risposte nuove ed adeguate, hanno indotto Bonhoeffer a parlare di Dio in un modo « nonreligioso » alla luce di un accentuato « realismo cristocentrico », in base al quale il pastore e teologo tedesco formula, tra l'altro, la tesi che lo porta a rileggere la Trascendenza con la categoria dell'« essere per gli altri » predominante nella sua riflessione sull'opera salvifica svolta dal Cristo (cfr., per esempio, pp. 140-143). In secondo luogo, procedendo sempre secondo l'orientamento preferito dall'autore, troviamo che il « teocristocentrismo » dominava già il periodo della testimonianza militante: è il tempo in cui vede la luce, tra l'altro, un'opera assai nota quale è « Na-chfolge », dove Bonhoeffer tratta con profondità il tema della « sequela Christi » e, derivatamente, il rapporto tra il Cristo, il discepolo e la comunità ecclesiale. Anche qui il Cristo viene ripensato e presentato con i tratti tipici di una « theologia crucis » che assumono espressamente il nome di kenosi, debolezza, pro-esistenza, amore compassionevole. Infine, i temi prevalenti durante l'attività accademica svolta nel primo periodo sono soprattutto il rapporto tra Cristo e la Chiesa, e, in stretta connessione, una cristologia a sfondo ecclesiale regolata dal principio « dell'uomo-Dio presente pro-me nella Chiesa come umiliato » (p. 221), come si desume, per esempio, dallo scritto che raccoglie le « Lezioni di Cristologia » apparso nel 1933. E già in questo periodo, in cui prevale l'attenzione al radicamento cristocentrico della Chiesa, si trovano le tracce ed i prodromi di quella visione positiva della mondanità, quella fedeltà alla terra,che emergeranno poi in primo piano negli anni successivi (cfr. pp. 236-238).
Valutando i risultati cui è pervenuto, e guardando soprattutto alla teologia della secolarizzazione, Ciola ricorda ancora una volta, all'inizio del terzo ed ultimo capitolo (pp. 239-439), che, anche se Bonhoeffer non va considerato come il primo rappresentante di questa corrente, tuttavia va dato per accertato che « lo sviluppo teologico che ha accompagnato la sua opera o che ne ha fatto seguito, gli è debitore di una problematica che dopo di lui è diventata tipica di un'epoca: il rapporto correlativo Dio-mondo-Cristo al di là dei dualismi, o più specificamente quella della storicità come fedeltà alla terra in nome del Dio di Gesù Cristo » (p. 241). Entrano così dentro il campo di indagine gli esponenti più importanti della teologia della secolarizzazione: « Gogarten che ne è il teorizzatore, Robinson e Cox che ne sono i divulgatori » (p. 241).
Mentre « la svolta epocale della secolarizzazione è per Bonhoeffer un fattore di per sé positivo perché rappresenta il ricupero della storia di fronte a Dio; per Gogarten il mondo non può confondersi con Dio ed è da lui separato ed è solo nell'obbedienza al Vangelo, nella riscoperta da parte dell'uomo della sua creaturalità, che questi può trovare la sua centralità nel mondo » (p. 245). È sullo sfondo di questo ampio orizzonte di senso che va compresa, secondo Ciola, la teoria della secolarizzazione elaborata da Gogarten a partire dal 1948, da quando cioè ha avuto inizio il secondo periodo della sua attività teologica entro il quale si muove l'analisi svolta dall'autore (pp. 241-320). Nell'imbastire la riflessione sulla secolarizzazione, - che è contenuta specialmente nell'opera più importante dal titolo « Der Menschzwischen Gott und Welt », - Gogarten si è sempre più concentrato sulla cristologia dove trovano risposta e la questione teologica e quella antropologica; ne è risultata così una cristologia secolare, esposta in particolare nello scritto « Die Verkundigung Jesu Christi », fondata epistemologicamente sia sull'importanza della cristolo già neotestamentaria, e specialmente del Gesù storico, sia sulla rilevanza che Gesù ha in rapporto al mondo. Dopo averla presentata nelle sue grandi linee, Ciola ne
puntualizza in chiusura i tratti caratteristici individuandoli nel peso assegnato alGesù storico e nella stretta connessione stabilita tra cristologia e antropologia (cfr.pp. 315-320). Senza omettere, logicamente, di sottolineare l'importanza che ha rivestito per il dibattito teologico del Novecento: a suo parere « solamente una cristologia che prenda sul serio l'umanità di Gesù, senza vanificare la sua più profonda autenticità divina, ha potuto portare un contributo significativo nel dibattito contemporaneo. Gogarten è pertanto lontano da quegli esiti orizzontalistici della teologia radicale che si sarebbero di lì a poco verificati. Presentando Gesù Cristo come Colui che è responsabile del mondo ma di fronte a Dio, può ricuperare totalmente sia l'uomo, che il mondo e perciò, Dio » (p. 318).
I teorizzatori degli esiti appena ricordati sono stati soprattutto Robinson e Cox, i quali, si fa osservare, si sono rifatti soprattutto a Bonhoeffer lasciando quasi del tutto in disparte Gogarten, mentre poi hanno trattato una problematica che si è rivelata coerente soprattutto con la dottrina elaborata dal secondo (cfr. pp. 320-321). Con il libro « Honest to God » pubblicato nel 1963 Robinson avvia una revisione radicale del teismo tradizionale allo scopo di dare corpo ad una nuova immagine di Dio omogenea alle esigenze dell'uomo contemporaneo, giungendo così,- sulla scorta della visione filosofico-teologica prospettata da Tillich -,a ripensare la Trascendenza di Dio sulla falsariga di un suo farsi presente nella profondità dell'essere umano. Viene così preparato il passaggio alla definizione di una nuova cristologia da proporre in alternativa alla dottrina tradizionale ipotecata da un pensiero soprannaturalista e metafisico. Ma « l'assenza di una precomprensione umana al discorso su Dio si avverte pesantemente anche sul modo di intendere la figura di Gesù Cristo » (p. 336), con la conseguenza che, alla fine, il mistero di Gesù Cristo viene appiattito riduttivamente in quanto viene collocato troppo dalla parte dell'uomo e troppo poco dalla parte di Dio. La cristologia dell'uomo Gesù emergente soprattutto dall'opera « The Human Face of God », carente sul versante della verità relativa alla identità divino-filiale, fa dire all'autore, assai giustamente, che « proprio questo isolare il discorso su Gesù Cristo dal contesto trinitario diventerà una nota comune della teologia della secolarizzazione e anche uno dei motivi della sua debolezza » (p. 343).
L'osservazione appare del tutto pertinente quando si prendono in esame le posizioni assunte dai teologi appartenenti alla corrente radicale della « morte di Dio » sorta nel Nord-America a metà degli anni '60: così, dopo aver illustrato il discorso su Dio elaborato da Cox in prospettiva ed in funzione politico-secolari (cfr. pp. 360-389), Ciola presenta nella penultima parte del capitolo le teorie formulate da Hamilton, Altizer e Van Buren (pp. 395-426). Vahanian, invece, non va affatto annoverato tra i rappresentanti della corrente teologica in questione, come è stato erroneamente fatto, perché egli, dopo aver studiato la « morte di Dio » come fenomeno culturale, ne è diventato « uno dei suoi più energici oppositori » (cfr. pp. 389-395). Se Hamilton ed Altizer, mossi dall'intento di interpretare e di giustificare P « ateismo cristiano » su base teologica e cristologica, hanno finito per dissolvere sia la teologia che la stessa cristologia nell'antropologia « che dal suo interno interpreta tutto » (p. 403), producendo così un sistema di pensiero tanto estraneo alla verità della fede quanto fragile e, perciò, destinato ad avere un successo di breve durata, dal canto suo Van Buren si distacca dagli altri due perché il suo approccio al tema della assenza di Dio strutturato sul confronto con la nuova linguistica, e, per questo, sul rapporto tra Vangelo e secolarismo, appare senza dubbio più consistente sul versante teoretico (pp. 404-426). Avendone vagliato attentamente il pensiero, Ciola vi individua uno sviluppo in tre fasi che dall'ateismo semantico approda ad una apertura verso il Trascendente; tuttavia, fa notare, « la differenza tra Van Buren e la teologia cattolica è che per quest'ultima le proposizioni teologiche si fondano sulla plurivalenza di senso del discorso analogico e della stessa analogia fidei » (p. 426).
Il capitolo viene chiuso da una breve rassegna dedicata all'influsso che le suddette correnti teologiche protestanti hanno esercitato in campo cattolico: l'autore più direttamente interessato è stato Dewart, il quale, mosso dall'intento di deellenizzare il teismo tradizionale, ha finito per svalutare i dogmi trinitario e cristologia). Qualcosa di simile è rinvenibile anche nella teologia di Schoonenberg (pp. 426-439).
Dopo aver analizzato a fondo e discusso con acume critico la « crisi » del teocentrismo trinitario alimentata dai teologi della secolarizzazione e sfociata nel no radicale opposto a Dio dai teologi della « morte di Dio », dopo aver evidenziato più volte i nodi dottrinali attorno ai quali si svolge e si gioca la vera soluzione del rapporto tra Dio, Gesù Cristo e l'uomo, Ciola prospetta e descrive nella Conclusione i punti fermi di cui si deve tenere conto per impostare una riflessione sul mistero trinitario che risulti rigorosa sia dal punto di vista metodologico come da quello contenutistico. Ci si accorge allora che le pagine finali si fanno apprezzare non solo perché contengono il bilancio teologico dell'indagine storiografica svolta in precedenza, ma anche perché offrono l'opportunità di conoscere lo « status quaestio-nis » della riflessione sulla dottrina trinitaria che viene condotta attualmente sia in campo cattolico che in campo protestante, e che fa registrare oltretutto una reciproca apertura ed un fecondo dialogo tra i due versanti. I punti fermi in parola concernono, innanzitutto, il ruolo mediatore da assegnare alla cristologia in ordine alla elaborazione del discorso su Dio: « il luogo della vera e piena oggettività di Dio è il Cristo come Universale concreto, Egli è l'unico medium della rivelazione che possa giocare un ruolo ermeneutico per tutta la teologia » (p. 443). Si ribadisce poi, e di conseguenza, il principio del teocentrismo trinitario inserito nel contesto epistemologico fornito dal rapporto tra Trinità economica e Trinità immanente e, più in generale, dalla circolarità ermeneutica esistente tra cristologia e teo-logia. Seguono ancora il rimando al valore della teologia naturale, supportato dal rilievo che « l'errore delle teologie della secolarizzazione era quello di soffocare qualsiasi apertura umana al mistero di Dio, per riporre tutta l'attenzione su Gesù » (p. 448); l'insistenza sulla funzione imprescindibile svolta dalla dottrina dell'analogia entis, che va comunque reimpostata anche in chiave cristologica e va quindi ripensata alla luce di una visione dinamica dell'essere concepito in termini di gratuità, responsabilità e dono. Ed è un'istanza più che legittima, che mi trova pienamente d'accordo, come mi trova d'accordo l'accenno fatto in chiusura alla necessità di coniugare la metafisica dell'essere con una « ontologia trinitaria dell'amore » (p. 459): è un'operazione che permetterà, tra l'altro, di mettere sempre più in evidenza la singolarità irriducibile del discorso cristiano su Dio, coincidente con il monoteismo trinitario, sia quando si entra in dialogo con le altre religioni, sia quando si vuole annunciare e far comprendere ad ogni cristiano che il Dio trinitario è il « mistero dal quale è nato, nel quale vive e verso il quale è destinato » (p. 460).
Corredata da un'utile appendice bibliografica suddivisa per temi ed autori, dall'indice dei nomi e dall'indice analitico, la monografia pubblicata da Nicola Gola entra nel panorama della odierna bibliografia trinitaria come un contributo interessante, ehe permette di conoscere ancora meglio la storia che la teologia trinitaria ha già vissuto e quella che sta ancora vivendo e costruendo.
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