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Recensione: Jean-Hervé Nicolas, Contemplazione e vita contemplativa nel cristianesimo

 
 
 
Foto Battaglia Vincenzo , Recensione: Jean-Hervé Nicolas, Contemplazione e vita contemplativa nel cristianesimo , in Antonianum, 68/1 (1993) p. 124-126 .

Il libro che presentiamo è la traduzione, fatta da Anselmo Bussoni, dell'origi­nale francese «Contemplation et vie contemplative en christianisme» pubblicato nel 1980.

Qual'è il senso, il posto e il valore della forma contemplativa dell'ideale cri­stiano? E' questa la domanda di fondo alla quale l'autore intende rispondere im­pegnandosi in una trattazione, densa di contenuti, distribuita in sei capitoli che spaziano in lungo e in largo nel campo dell'esperienza fruitiva di Dio; un'espe­rienza che definisce il profilo di quella «contemplazione mistica» nella quale va riconosciuta, a giudizio dell'autore, una dimensione essenziale inerente alla vita cristiana.

Fatte queste precisazioni preliminari nel primo capitolo (pp. 19-51), egli pun­tualizza in quello successivo il carattere assolutamente gratuito della contempla­zione mistica: è una grazia infusa dallo Spirito Santo, che viene comunque a valo­rizzare, ad attivare in tutta la sua potenzialità quella «connaturalità» di fondo, stabilita dalla carità, esistente tra l'uomo e Dio, tra lo spirito creato e lo Spirito di Dio. E lo Spirito conduce il credente a penetrare sempre più nel mistero del Verbo Incarnato, il quale è e rimane per sempre il Mediatore che unisce l'uomo a Dio (pp. 53-89).

Il credente, però, non è sempre pronto e capace ad accogliere questo dono: la costatazione, tanto ovvia quanto impreteribile, offre all'autore lo spunto per prospettare nel terzo capitolo l'impegno ascetico atto a predisporre alla contem­plazione. Pertanto il credente è chiamato a liberarsi dall'amore egoistico, disordi­nato di sé — «tutte le difficoltà del processo spirituale, per quanto diverse siano le loro forme concrete, vengono di lì» (p. 92) —, a lottare contro il proprio io per potersi abbandonare interamente all'amore «disinteressato» di Dio, nel quale ri­trova poi l'autentico amore di sé, ormai sottratto ad ogni falsificazione deviante. «Il combattimento spirituale, allora, oltre il bene, mira al meglio. Il principio e il termine di questa lotta, spesso amara, è la dolce e trascinante carità» (p.115). E' una lotta sostenuta — e non potrebbe essere diversamente — dall'azione purifi­catrice, dai risvolti spesso dolorosi, dallo Spirito Santo (pp.91-136).

Subito dopo il lettore viene posto di fronte ad un nodo cruciale dell'intera trattazione: il confronto con la croce del Verbo incarnato che si colloca al centro della contemplazione cristiana (pp. 137-213). Come espressione dolorosa dell'a­more nutrito dal Dio trinitario verso l'uomo, — un amore che, però, non può es­sere doloroso in se stesso, dato che «la sofferenza si ferma alla soglia della vita trinitaria» (p. 148) —, e come avvenimento mediante il quale il Verbo ha procu­rato la Redenzione, essa segna ed orienta in maniera decisiva l'esistenza del cri­stiano. Questi è impegnato a conformarsi al Cristo crocifisso, a partecipare perso­nalmente alla sua sofferenza e alla sua morte, al fine di cooperare alla redenzione propria ed altrui: una finalità, questa, rimarcata anche dal «mistero dell'esclusione dal Regno». E' all'interno di questo ampio orizzonte dottrinale che si può cogliere l'interazione esistente tra l'amore della croce e l'aspirazione alla contemplazione, tra la dolcezza della contemplazione e l'amarezza della croce. Essa comporta il «superamento dell'abbandono da parte di Dio sulla croce nell'abbandono a Dio, in cui la gioia e la pace si uniscono alla sofferenza, senza abolirla, senza neppure addolcirla; ma integrandola nell'amore e nella speranza. Superamento del riposo tranquillo e felice della contemplazione nel sacrificio totale di sé con Cristo. Però anche superamento della distruzione dolorosa di sé che comporta un tale sacrifi­cio, nella pacificazione dell'unione contemaplativa con colui che è e resta "il Dio dell'amore e della pace" (ICor 14,33; 2Cor 13,11)» (p. 186).

Con il capitolo quinto il Nicolas, dopo aver illustrato la preghiera sotto il du­plice aspetto del bisogno e del dovere, affronta la questione del rapporto tra la contemplazione e la preghiera. E spiega, in un primo tempo, come la preghiera conduce alla contemplazione, e, successivamente, come scaturisce da quest'ul­tima, nella quale tocca l'apice venendone assorbita (pp. 215-257).

Nell'ultimo capitolo la vita contemplativa viene esaminata sotto il titolo di genere o stato di vita particolare, con le sue caratteristiche e nelle principali forme assunte lungo i secoli. Messa a confronto con la vita attiva, quella contem­plativa se ne distingue per il fatto di essere un progetto che viene scelto in qualità di obiettivo primario da realizzare: in merito l'autore fa sua la definizione coniata da S. Tommaso: «sono detti "contemplativi" non quelli che contemplano, ma quelli che consacrano la loro vita alla contemplazione» (p. 278). Di conseguenza, quando la si considera in rapporto all'azione, bisogna distinguere tra le opere che introducono e conducono ad essa e quelle che la ostacolano. C'è comunque un tipo di azione che risulta del tutto armonica con la contemplazione, ed è quella di comunicarne agli altri i frutti. In definitiva, i contemplativi, che vivono immersi nel cuore della Chiesa, attuano un servizio indispensabile a favore della Chiesa e degli altri: essi, infatti, sono «segno dell'Assoluto evangelico» (p. 312).

Al saggio di Nicolas va riconosciuto l'indubbio merito di offrire una ricostru­zione sistematica ed esauriente di quanto la Chiesa pratica ed insegna circa la «contemplazione mistica». Sostenuta da una solida struttura dottrinale e resa so­stanziosa dai continui rimandi alle testimonianze desunte dall'esperienza dei mi­stici, la trattazione contenuta in queste pagine si fa apprezzare anche per come l'autore — da buon teologo — cerca di mediare, in più di una circostanza, tra le posizioni dei «teologi» e quelle degli «spirituali» che appaiono a volte in contrasto tra di loro, mostrandone la convergenza. E' emblematico, in questo senso, il sug­gerimento dato ai teologi nel caso della discussione sull' «amore puro»: «Il teo­logo non dovrà eludere la testimonianza degli spirituali, riducendone le espres­sioni, per quanto forti e chiaramente deliberate, a pie esagerazioni, senza valore. Anch'egli nell'analisi della carità scopre il disinteresse assoluto. Ma al centro della stessa carità scopre l'amore persistente di sé, non come una tara da cui bisogne­rebbe disfarsi a poco a poco, ma come una parte integrante che, invece d'impac­ciare, si sviluppa con quella. Il problema per lui non è quello di cercare un com­promesso tra il disinteresse e l'amore di sé, ma di vedere e di mostrare come que­sti si armonizzino, senza ostacolarsi a vicenda» (p. 103).