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Recensione: Folker Siegert, Drei hellenistisch-jłdische Predigten. Ps.- Philon, «Uber Jona» (Fragment) und «Uber Simson».

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Folker Siegert, Drei hellenistisch-jłdische Predigten. Ps.- Philon, «Uber Jona» (Fragment) und «Uber Simson». , in Antonianum, 68/2-3 (1993) p. 399-401 .

Il libro è il secondo volume di un'opera il cui primo volume fu pubblicato nel 1980. In esso vi era la traduzione di tre campioni della predicazione giudeo-elleni­stica a cavallo dell'inizio dell'era cristiana. Ma quello che appare ora, non è semplicemente la naturale continuazione di quanto esigeva quel lontano volume, cioè il commentario alle tre composizioni tradotte, bensì un completamento ricco e sorprendente, frutto di anni di maturazione della ricerca. Così che, pur rimanendo uguale il titolo, in realtà il sottotitolo già preannunzia alcuni mutamenti interes­santi. Nel sottotitolo del 1980 ai tre titoli del presente volume, si accompagnava anche un frammento denominato De Deo, ritenuto pseudofiloniano come gli altri tre testi, tutti in traduzione armena. Nel frattempo, però, tale testo si è rivelato come la parte di un'opera autenticamente filoniana, così che dal S. è stato pubbli­cato a parte nel voi. 46 della presente collana. Attualmente, assume il rango di terzo testo il frammento del De Iona, accompagnato da un midrash armeno su «La predicazione di Giona a Ninive». Inoltre, a dimostrazione dell'originalità di questo secondo volume, vi si trova inserito un capitolo sull'esegesi antica di Omero (pp. 55-91), esegesi che ha offerto un modello anche al modo d'interpre­tare la Scrittura da parte di quel giudaismo di lingua greca, di cui le tre opere in questione sono una testimonianza eloquente.

Il volume del S. si apre con una vasta e stimolante introduzione, che ha il compito di spalancare l'universo socio-culturale e religioso racchiuso nelle tre omelie.

Il genere letterario di «predica», applicato ad esse, va giustamente inteso nel quadro delle testimonianze storiche dell'epoca. Non una semplice e piuttosto rozza predica missionaria come quella cristiana degl'inizi, e nemmeno, all'oppo­sto, una ricercata dissertazione di natura retorico-filosofica, scritta a tavolino, come usava a quel tempo e di cui Filone ci offre un'ampia testimonianza. Le no­stre tre omelie si presentano come una via di mezzo. Per poter venire a capo della natura del genere letterario, bisogna fare un'approfondita analisi comparativa con fonti più o meno contemporanee. Il fenomeno letterario che meglio può immet­terci sulla giusta strada, è quello dell' asianismo. Con tale termine s'intende quella composizione omiletica elevata, fondata sulla riproduzione in parole e suoni, ben ritmati e costruiti, in rapida sequenza, dell'empito interiore provocato dal tema. Il primo esempio in ambito cristiano lo si ha con l'omelia De paschate di Melitene da Sardi, attorno al 160/170.

Quel che si può ricavare dallo stato della ricerca del S., è che tale tipo di omelia, che si presentava con una presunzione di improvvisazione e di oralità, in­vero presupponeva una certa preparazione culturale, propria dei ceti medi, ed una elaborazione previa di un certo impegno. Sia la lingua che il livello composi­tivo adoperati, presuppongono sia un omileta colto che un uditorio altrettanto colto. Certo, un uditorio alle cui orecchie avrebbe dato fastidio il greco duro e se-mitizzante della LXX. Eppure, non vi è da dubitare che queste omelie fossero prettamente giudaiche, provenissero cioè da un ambiente giudaico, perfettamente integrato nella cultura greca. Vi è di più. Il luogo della loro presentazione era la liturgia della sinagoga. Per il De Sampsone non è chiara la circostanza cultuale, ma per il De Jona doveva essere senz'altro l'haftara, cioè la seconda lettura presa dai Profeti, fatta nel giorno del Kippur.

Il mondo che si apre con questa disamina del S., è veramente sorprendente, perché finora sommerso e gravido di conseguenze rispetto ad un modo tradizio­nale di guardare al mondo giudaico della fine dell'era antica e dell'inizio dell'era cristiana. Non esisteva soltanto un giudaismo xenofobo o comunque in insanabile tensione con la cultura greca, bensì anche un giudaismo che possiamo definire propriamente greco, anche se di esso nelle testimonianze canoniche e non, che hanno avuto la meglio finora, se ne parla pochissimo e in modo negativo come in 1 Maccabei. Un'eccezione consistente è rappresentata dalla Sapienza di Salo­mone.

Questo mondo finora sommerso emerge in tutto il suo fascino nel commen­tario dettagliato alle tre omelie in questione (correggere a p. 109, 7° rigo: Concor-cance con Concordance) Particolarmente attraenti e curiosi sono i molti excursus che costellano il commento (correggere testatina di p. 121: al posto di § 63 mettere 24): exc. al § 24 del De J.: «Lo scoppio della tempesta in mare. Mito naturistico o iperbole retorica?»; exc. al § 63 del De J. : «Uomini dentro mostri marini. Dubbi e credulità nel mondo antico»; exc. al § 64: «Science-fiction ellenistica e l'influsso della Saga di Alessandro Magno»; exc. al § 13 del De S.: «Nazireo e Nazareno», ecc.

Come già detto più sopra, il volume contiene il «quasi inedito midrash, tra­dotto in tedesco dall' originale armeno, de «La predicazione di Giona a Ninive», che testimonia piuttosto il processo di Wirkungsgeschicnte del De Jona.

Un capitolo conclusivo sulla qualità teologica delle tre omelie corona degna­mente questo studio veramente ben fatto.

Riprendendo motivi dell'introduzione, il S. sviluppa il tipo di teologia pre­sente nei tre testi. Una teologia certo profondamente greca come si è detto, ep­pure anche marcatamente giudaica nel sostituire ad un concetto naturistico di prónoia (= provvidenza), proprio della concezione greca, l'idea del Dio d'Israele che agisce nella storia, a favore di tutti gli uomini. Riguardo poi al concetto di Legge mosaica, al contrario di Filone che ne fa una filosofia e ne fa emergere, al­legorizzando, un'impostazione metafisica, l'autore/i delle nostre omelie vi con­trappongono un concetto realistico di Legge, che però d'altra parte non s'identi­fica neanche con quello pedantemente giuridico dei rabbini. Gli omileti in que­stione si qualificano per il carattere concreto, per niente allegorico, della loro esegesi, che da Alessandria, probabile luogo d'origine dei nostri testi, si è poi spo­stata verso Antiochia. La concezione del mondo da essi presupposta, è, come dice il S., «arcaica ed anticotestamentaria» (p. 297).

L'epoca entro la quale va situato questo giudaismo tutto da scoprire e da uti­lizzare negli studi giudaistici e neotestamentari futuri, va dal I sec. a.C. al II d.C. Un campo d'indagine che il S. ci ha felicemente aperto in qualità di pioniere.