Nobile Marco ,
Recensione: Elias J. Bickerman, Gli Ebrei in etā greca ,
in
Antonianum, 67/1 (1992) p. 145-147
.
E.J. Bickerman, studioso di storia antica, in particolare greca e romana, ma versato profondamente anche in giudaistica, specialmente del periodo ellenistico, è una di quelle figure che lasciano dietro di sé non solo la fama delle loro ricerche scientifiche, bensì anche le tracce vive della loro personalità. La commossa rievocazione del curatore dell'edizione italiana, L. Troiani, fa capire molto in proposito.
Il B., scomparso nel lontano 1981, ha lasciato degli studi che hanno fatto scalpore e che sono indicativi della sua personalità di studioso. Egli non si è mai schiacciato sulla banalità delle affermazioni o sulle ricerche affrettate. Attento indagatore delle fonti nelle loro lingue originali ha voluto sempre rendersi conto personalmente dello stato delle questioni e i suoi risultati, sempre ben ponderati e aperti alla discussione, hanno la nota dell'originalità non chiassosa.
È famosa la posizione da lui difesa nel libro Der Gott der Makkabàer (Berlin 1937; nuova edizione rimaneggiata in inglese, Leiden 1979), un'opinione controcorrente, certo non pacifica specie nel mondo ebraico del quale egli faceva parte. In sostanza, il B. ridimensionava la brutalità del seleucide Antioco IV Epifane, per farne invece un sovrano molto più liberale di quel che possa essere sembrato nella tradizione. Le persecuzioni antigiudaiche sono state il risultato di lotte interne tra le diverse fazioni giudaiche di Gerusalemme. Gli stessi Maccabei hanno costituito un potere che ha cercato di barcamenarsi e di sfruttare le svariate situazioni del momento.
Nel presentare le sue posizioni, il B. ha saputo sempre ascoltare le critiche, pur continuando a curarne il mantenimento coerente.
Di tale originalità il B. dà prova anche in questo libro, ben curato per le edizioni de II Mulino. Esso è l'unico apporto venuto fuori da quel progetto che negli anni cinquanta L. Finkelstein, Chancelor del Seminario Teologico giudaico d'America, aveva ideato per la presentazione di una storia giudaica, per la quale erano stati distribuiti i compiti a vari tudiosi, a seconda della loro area di competenza. L'opera, rimasta sola, ha avuto una sua lunga storia. Il B. pensava in un primo momento che presto sarebbe stata stampata e per tal fine, egli aveva predisposto abbondanti note ed un sodo apparato bibliografico, ma poi non se ne era fatto niente. In seguito, il B. pensò che l'apparato di note andasse ampiamente rivisto, ma l'impresa gli parve disperata, per cui vi rinunciò, facendo scomparire tutto l'apparato e decidendosi per la pubblicazione del solo testo, quello che fondamentalmente costituisce la presente opera, pubblicata postuma a cura di A.I. Baumgarten nel 1988.
Come già detto, la mancanza di note si fa sentire in questo studio importante ed è il suo limite maggiore. Meno male che almeno è stata approntata una buona bibliografia essenziale per argomenti.
Messo in evidenza all'inizio il limite, rimane il testo che invece è tutto da godere. Gli argomenti del libro, che riguardano l'arco storico che va dal IV secolo al 175 a.C. (si ferma quindi prima dell'ascesa dei Maccabei), sono in buona parte già noti. Quel che caratterizza la presente trattazione è piuttosto lo stile vivace e personale dell'autore, il quale, pur attenendosi all'asciuttezza di dati documentari a disposizione (purtroppo non confrontabili...), sa ridare il tutto con un'ottima capacità narrativa. Ma quel che soprattutto dà tono al merito dello studio, è la reiterata dimostrazione di quanto l'ellenismo sia penetrato nel costume e nella mentalità giudaica di quell'epoca. Tale posizione, come si può notare, è in accordo con quella difesa dal B. negli altri suoi lavori.
Il libro, che si compone di tre parti, consta in realtà di due grandi sezioni. Nella prima, che abbraccia la prima e la seconda parte, la trattazione è prevalentemente storica: si dà un ampio sguardo al IV secolo prima («Prima e dopo Alessandro») e al III secolo poi. Nella seconda sezione o terza Parte, il B. raggiunge la soglia storica del suo studio, l'accesso al trono di Antioco IV (176 a.C), e, pur non abbandonando la disamina storica, dilata tuttavia la trattazione a questioni tematiche: il Tempio, i sacerdoti e i leviti, gli scribi e i saggi (interessante e divertente la messa in chiaro dell'equivoco perpetrato da Lutero di tradurre grammateùs con Schriftgelehrte, cioè con uno versato nelle Scritture, tipo i rabbini, mentre il termine greco faceva riferimento ad estensori di documenti, a giurisperiti, ai solenni), il midrash, la nuova giurisprudenza e la nuova letteratura, altri argomenti.
La visuale che il B. offre con questa sua opera è senza dubbio originale e per due motivi: primo, perché, con perfetta mentalità di storico, sa e sa mettere in chiaro quanto poco si sappia realmente circa la totalità delle componenti storico-culturali di quell'epoca; secondo, perché, proprio alla luce di tali premesse, egli sa essere attento a far parlare le fonti nel giusto modo, situandole in un contesto del quale esse costituiscono solo una parte, quella che ha vinto su altre, pur essendo state queste non meno storiche e importanti.
La lezione che ricaviamo è che l'incontro della cultura greca con il mondo orientale ha creato veramente un fenomeno epocale dalla portata immensa. È nella struttura politico-governativa che le due anime si sono incontrate; questo può non piacere, ma è solo così che è stata possibile la trasfusione reciproca dei valori culturali. La cultura greca ha dato la sua struttura politica ed economico-amministrativa (da non lamentarsene) e i suoi abiti culturali; il mondo orientale ha recepito tale universalizzazione, presentificata nella lingua greca, ed ha universalizzato se stesso ed i suoi valori culturali attraverso la diffusione dell'aramaico, fin nella lontana India. L'oriente non ha rinunciato a se stesso, alla sua storia e al suo retroterra culturale, ma ha ricevuto un'universalizzazione in codice greco, dalle conseguenze incalcolabili. Il cristianesimo ne è una dimostrazione.
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