Nobile Marco ,
Recensione: Pierre Prigent, Le Judaėsme et l'image ,
in
Antonianum, 67/4 (1992) p. 536-538
.
L'opera di P. Prigent è tutta tesa a mostrare come sia da rivedere profondamente una certa convinzione tradizionale secondo cui l'attaccamento giudaico alla proibizione delle immagini * del secondo comandamento della Legge mosaica, abbia impedito al giudaismo di esprimere valori artistici figurativi.
Lo studio è il frutto di una ricerca partita da lontano, come accade talvolta nel lavoro scientifico. Il P. voleva vedere quando il cristianesimo ha cominciato ad adoperare le immagini e se e fino a che punto avesse subito un'influenza dal giudaismo. Il pregiudizio sopra accennato faceva pensare che questo secondo aspetto della ricerca potesse risolversi in una breve introduzione. Invece, essa è stata così doviziosa di risultati, che l'a. ha dovuto pensare ad una vera e propria monografia autonoma. Quella che presentiamo.
La fascia cronologica entro la quale si esercita l'indagine va dalla seconda guerra giudaica (132-135 d.C.) al VI sec. Qui essa si ferma, perché vi è l'onda montante dell'iconoclastia nel mondo cristiano, che esercita le sue pressioni anche sul mondo giudaico e causa una fase di oscuramento nelle arti figurative.
Campo d'indagine sono i cimiteri e le sinagoghe giudaiche con le loro pitture, sculture e mosaici. La trattazione consta di otto capitoli più la conclusione; l'introduzione è una breve prefazione illuminante, posta propria all'inizio (pp. VII-IX).
I primi tre capitoli hanno una funzione propedeutica al tema. Il primo fa una rapida e convenzionale panoramica storica circa i precedenti di un'attività arti stica figurativa d'Israele, prima della seconda guerra giudaica (ad es., il tempio di Salomone). Il secondo capitolo esamina l'atteggiamento che i rabbini, autorità ri conosciute del giudaismo in questione, hanno nutrito nei riguardi delle arti figurative. Il risultato dell'indagine, è che tutto sommato essi, che tra l'altro costituivano un'elite colta, fossero disponibili all'uso di rappresentazioni simboliche,
anche prese dal mondo pagano, purché naturalmente le immagini non avessero la stessa funzione che attribuivano loro i pagani.
II terzo capitolo comincia a predisporre il campo d'indagine con una breve storia delle sinagoghe, con la descrizione dell'evoluzione teologico-simbolica nell'immaginario giudaico e con la trattazione dei simboli cultuali, specialmente nei monumenti funerari: Yaron = l'arca o repositorio dei volumi sacri; la menorà = il
candelabro a sette bracci; il lulab e Yetrog = i rami, rispettivamente, di palma e di cedro; lo shofar = la tromba liturgica.
La trattazione tecnica e diretta del tema si sviluppa a partire dal capitolo quarto, nel quale il P. fa una disamina del materiale monumentale, epigrafico e numismatico che metta in rilievo la rappresentazione di motivi biblici: David e Goliath, Adamo ed Eva, Abramo e Sara ed altri; particolarmente interessante il motivo del sacrificio d'Isacco nelle sinagoghe di Dura-Europos e di Bet Alpha, che sottolinea la rilevanza del tema teologico delYAqedà. L'autore, qui ed altrove, procede sempre con molta prudenza prima di fare delle affermazioni circa il carattere giudaico dei reperti, specialmente nel caso di David e Goliath.
Il capitolo quinto è dedicato all'influsso che ha esercitato l'immaginario pagano sulle rappresentazioni giudaiche. Naturalmente, il prestito è dovuto a sensibilità intellettuale dei commissionatori e degli artisti e non a lassismo o sincretismo religioso.
Viene poi il bel capitolo sesto, dedicato alla descrizione analitica della famosa sinagoga di Dura-Europos, una località dell'alta Siria. Gli scavi e gli studi condotti in loco, hanno mostrato come nella sinagoga vi sia la presenza di più stratificazioni, almeno tre, e quindi di apporti risalenti a varie epoche.
I vari pannelli, il centrale e i laterali, vengono minuziosamente descritti e commentati, in modo da farne apparire una teologia affascinante, che vuole predicare ai frequentatori i contenuti in voga di un messianismo escatologico, con connotazioni profetiche e sacerdotali. Gli affreschi della sinagoga sono, in altre parole, un vero e proprio trattato di teologia e nel contempo un'omelia d'alto livello, che più che narrare, vuole staticamente far contemplare delle verità espresse in simboli.
Gli ultimi due capitoli sono piuttosto due «excursus» che affrontano una questione collaterale. A detta di alcuni, l'arte figurativa cristiana presente in manoscritti medievali ed in altre composizioni, si sarebbe ispirata a modelli giudàici precedenti.
Il P. analizza prima alcuni manoscritti (il Pentateuco di Tours, la Genesi di Vienna e quella di Cotton), insieme ad altre espressioni iconografiche (S. Maria Maggiore e S. Sabina a Roma) (cap. 7); poi, passa ad analizzare gli affreschi delle catacombe di Via Latina, sempre a Roma.
Il risultato delle analisi è in pratica negativo. Del resto, riguardo ai manoscritti, non ci sono rimasti testimoni giudaici antichi precedenti a quelli cristiani in questione.
La trattazione del P. è condotta con cura e valentia esegetica, accompagnate da una buona dose di prudenza scientifica. L'opera è arricchita da illustrazioni, necessarie in uno studio di questo tipo, e da otto tavole fotografiche. Una bibliografia e una serie d'indici coronano questa valida monografia, che continua degnamente la tradizione della casa editrice J.C.B. Mohr.
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