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Recensione: Rashi di Troyes, Commento all'Esodo (a cura di Sergio J. Sierra)

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Rashi di Troyes, Commento all'Esodo (a cura di Sergio J. Sierra) , in Antonianum, 66/1 (1991) p. 159-161 .

Dopo il bel commento al Genesi del grande studioso medievale Rashì (nome formato dalle iniziali di Rabbi Shelomò ben Itshak) (cf. recens. in Antonianum 61 [1986] 769-771), la casa editrice Marietti ha aggiunto un altro fiore all'occhiello della collana «Ascolta, Israele!»: il commento all'Esodo dello stesso autore. Era auspicabile continuare la serie di commenti di questo sapiente ebreo, proprio per rispondere alla finalità della collana e così è stato reso possibile, specialmente per i lettori non ebrei, un rinnovato accesso al ricco patrimonio della tradizione ebraica.

Rashì (1040-1105) è, difatti, il più grande commentatore ebreo della Bibbia del medioevo, e a lui hanno fatto ricorso le menti cristiane più illustri del tempo: dai Vittorini a Ruggero Bascone, da Nicola di Lira a Martin Lutero. La sua vasta erudizione e la profonda conoscenza del patrimonio tradizionale, sia biblico che postbiblico e talmudico (Toràh shebe 'al pè = «tradizione orale») si sono riversate in una vasta creazione di opere di commento alle Scritture e al Talmud, che hanno fatto scuola e che ancor oggi si leggono con utilità.

I meriti di Rashì sono in particolare due. Nel campo linguistico, egli è stato, proprio perché padrone della lingua ebraica nelle sue diverse espressioni diacro­niche, un vivace maestro e creatore: svariati sono i neologismi da lui prodotti. In secondo luogo, nel campo esegetico, ha affermato l'importanza fondamentale del commento peshat, cioè piano, letterale, di fronte all'interpretazione derash, cioè allegorica ed edificante, da cui viene il genere del Midrash. Questo non vuol dire che egli rifiuti l'interpretazione midrashica, che pure usa; anzi, talvolta, il midrash si sostituisce o si affianca al peshat, quando il testo è difficile oppure quando il senso midrashico è simile a quello letterale. Del resto, tale ambivalenza non può mancare in un'epoca che certo è lontana dalle sofisticate tecniche contempora­nee. E tuttavia, proprio per questo, è da ammirare la puntigliosa precisione con cui il maestro medievale offre le sue spiegazioni grammaticali, spesso sovrabbon­dando sulla sinteticità di altre spiegazioni. In ogni caso, egli rimane sempre il maestro preoccupato d'insegnare le grandi verità teologiche, all'accesso delle quali vuole introdurre i suoi discepoli.

Proprio  questo  commento  all'Esodo  è  un'ottima  testimonianza del metodo del Maestro.

Ecco, ad es., il commento all'espressione allora cantò Mosè (Es 15,1): «Quando vide il miracolo, pensò di elevare un canto. Analogamente fece Giosuè: - "Allora avrebbe parlato Giosuè...." Anche qui l'espressione iashìr vuol dire che il suo cuore gli suggerì che avrebbe dovuto levare un canto, e così fece». Dopo al­cune altre citazioni, con le quali vuole spiegare il senso del futuro verbale ebraico, così prosegue: «Ne deduciamo che la iod, che esprime il futuro di tutti questi verbi nei versi citati, serve ad esprimere l'intenzione di fare una certa cosa. Questa spiegazione ha lo scopo di precisare il valore letterale del verso. Quanto all'interpretazione midrashica che i Maestri attribuiscono a questo testo, si dice che il futuro, nell'espressione az iashìr = «allora canterà», dev'essere intesa come allusione riferita alla risurrezione dei morti presente nella Toràh». Indi, prosegue a distinguere con finezza quando la forma verbale futura va tradotta nel senso di un'azione abituale e, quindi, non al futuro, e quando essa invece indica un'azione puntuale e allora va tradotta con il futuro.

Più in là, così commenta le parole del v. 3 Adonai è il Suo Nome: «Il Signore combatte le sue guerre non con le armi, ma con il Suo Nome... Un'altra interpre­tazione di "Adonai è il Suo Nome": anche nel momento in cui Egli esplica la sua funzione di vindice della giustizia per cui combatte contro i Suoi nemici, Egli esercita i Suoi attributi di pietà verso coloro che Lo invocano, e continua a nutrire gli abitanti della terra». Come si può vedere, qui sul grammatico prevale il profondo teologo e il Maestro preoccupato di non limitare la grandezza di Dio. Que­sti sono solo due esempi di un trattato tutto da gustare.

La traduzione e la cura dell'opera da parte di Sergio J. Sierra sono lodevoli e puntuali. I riferimenti bibliografici numerosi.

Un libro non solo da leggere, ma da meditare.