Nobile Marco ,
Recensione: Giuseppe Scarpat (a cura di), Libro della Sapienza vol. I ,
in
Antonianum, 66/4 (1991) p. 584-585
.
Il professor Scarpat, noto classicista e fondatore della casa editrice Paideia, ha voluto con questo libro consegnare alla sua creatura un'opera notevole: un commentario filologico al libro della Sapienza.
L'opera può essere intesa come «il lavoro di una vita», con tutto ciò che comporta tale espressione, non solo in riferimento al tempo necessario ad esso, bensì anche alla passione e all'affetto con i quali si danno alla luce queste fatiche. Lo dimostra il fatto che il presente volume, pur ponderoso, offre solo il commento dei primi sei capitoli della Sapienza.
Le caratteristiche del commentario sono espresse dall'autore con chiarezza fin dall'inizio. Egli non intende fare quanto si fa di solito né vuole ripetere quanto abbondantemente è stato fatto da C. Larcher nella sua opera monumentale Le Livre de la Sagesse ou la Sagesse de Salomon (tre volumi, Paris 1983-85), la cui bibliografia è stata curata dal biblista gesuita M. Gilbert, del Pontificio Istituto Biblico. Il lavoro dello S. è fondamentalmente filologico, secondo gli orientamenti scientifici e di competenza che da tale studioso si attendono.
Nella introduzione generale al commentario, egli espone le sue convinzioni, alle quali lavora già da parecchio tempo. Il libro della Sapienza è una composizione poetica complessa, colata nella forma retorica classica del protrettico, cioè dell'encomio o dell'operazione elogiativa, in questo caso della Sapienza. L'autore è un giudeo alessandrino che conosce molto bene la cultura e in particolare la filosofia greca, anche se tale conoscenza non va esagerata e portata al di là di una mera conoscenza scolastica: nonostante la conclamata «grecità» con la quale a tutta prima l'opera si presenta, essa è in realtà una creazione prettamente giudaica, per ispirazione e contenuti.
La finalità del libro rientra in quella vasta operazione culturale, nella quale entrarono persone come Filone e attraverso la quale si voleva accreditare la bontà e il livello delle proprie tradizioni, innanzi tutto dinanzi ai propri correligionari, tentati dal fascino greco, e in secondo luogo davanti agli eventuali pagani che avessero voluto considerare con più attenzione la religione giudaica.
Per il tempo di composizione, lo S. esprime da tempo una posizione originale, filologicamente fondata. Egli è per una datazione molto bassa, a cristianesimo iniziato, e più precisamente durante il regno dell'imperatore Caligola, attorno agli anni 40 d.C. Il «terminus post quem» sarebbe l'inizio del dominio di Ottaviano Augusto, realizzatosi nel 30 a.C. con la sconfitta di Antonio e Cleopatra e con la conseguente conquista dell'Egitto. Di tale dominio, in greco XQatnois vi sarebbe traccia in Sap 6,3. Un altro termine che confermerebbe la datazione tarda è òiàyvwais, un «hapax» trovantesi in Sap 3,18, e che corrisponderebbe al termine giuridico latino cognitio, più precisamente in quella accezione di cognitio extraordi-nana, cioè di procedura giuridica straordinaria, che richiedeva una decisione corrispondente dell'autorità (un esempio è l'appellarsi a Cesare di Paolo, in At 25,21).
Le due ipotesi filologiche sono affascinanti e plausibili, ma certo non definitive, dato il limite di tale approccio metodologico che usa isolare dei termini da ampi contesti, per considerarli come mondi a sé stanti.
Il commento vero e proprio consta di un'ampia introduzione ad ogni capitolo, concepita per titoli monografici, i quali comunque riescono a coprire le esigenze testuali specifiche; seguono il testo greco, affiancato dalla traduzione, e un classico apparato di note esplicative, talora molto sviluppate.
Lo S. perora la causa del ritorno all'edizione greca del Rahlfs, pur adoperando quella più moderna di Gottinga, che egli trova talora cervellotica. Se ne può prendere atto, senza per questo dover rinunciare ai progressi che l'edizione di Gottinga comporta, per quantità e qualità di materiale codicologico.
Una peculiarità da segnalare in quest'opera, è l'aggiunta, alla fine del commento ai sei capitoli, del testo della Vetus Latina, una preziosa testimonianza della latinità africana del II sec. d.C. Il testo è seguito da rapide note esplicative.
Un'opera importante, quindi, quella dello S., che si discosta con una sua originalità dal «genere letterario» corrente del commentario biblico. Lo si dovrebbe tenere come esempio nella vasta panoramica di commentari troppo corrivi verso la teologia, ancor prima di aver perlomeno squadernato i molti problemi che pongono i testi biblici.
Auspichiamo all'autore la felice possibilità di darci presto il seguito della sua preziosa opera.
|