Nobile Marco ,
Recensione: Franz Schnider Der Jakobusbrief ,
in
Antonianum, 65/2-3 (1990) p. 386-387
.
La collana RNT, voluta da A. Wikenhauser ed O. Kuss, si arricchisce con questo nuovo volume di un commentario degno della sua tradizione: essenziale e dignitoso.
L'A. confessa che all'inizio del suo lavoro, si era accostato alla Lettera di Giacomo con la convinzione di trovarsi di fronte ad una « epistola di paglia» (stroherne Epistel), come aveva detto Martin Lutero. Tuttavia, proseguendo nella ricerca, egli si è accorto della peculiarità e della ricchezza del documento.
La Lettera di Giacomo si apre con il prescritto che la rende simile agli altri scritti epistolari. In realtà, in seguito non vi è più niente che ne faccia una lettera; si è, invece, di fronte ad una serie di ammonimenti ed esortazioni che ruotano attorno al concreto vivere cristiano e alla verifica della fede nell'esistenza di ogni giorno. Benché, quindi, il testo faccia parte delle « lettere cattoliche », tuttavia, esso è piuttosto un documento di parenesi cristiana, di sapore omiletico.
Circa le peculiarità letterarie, l'autore della parenesi mostra una buona conoscenza della retorica ellenistica, anche se non fa mancare nel suo discorso dei semitismi; il che conduce a pensare ad un autore giudeo-cristiano di cultura ellenistica. E' per questo che lo S. è del parere che egli sia di Alessandria d'Egitto. A sostegno di questo, però, vi sono altri motivi: la polemica contro un certo paolinismo, adombrata in 2,14-26, e a favore di una teologia giudeo-cristiana ed ellenistica, pensabile solo ad Alessandria; la vicinanza letteraria al Testamento dei XII Patriarchi; diversi punti di contatto con l'opera di Filone; riferimenti a ciò che riguarda il mare (1,6; 3,4; 5,13-17), fatto che lascia pensare ad un cittadino di una località marittima, qual'è appunto Alessandria.
Quanto detto, naturalmente, rende altamente improbabile se non impossibile l'attribuzione della lettera a Giacomo, il fratello del Signore, come vuole una lunga, ma non pacifica tradizione. Non poche difficoltà ha avuto l'opera anche per la sua accettazione nel canone, che è avvenuta solo verso il IV sec. Poche simpatie si è attirate, inoltre, specialmente nella tradizione protestante per il suaccennato presunto contrasto con il paolinismo, o più verosimilmente con una certa interpretazione esagerata e falsa della dottrina di Paolo, dalla problematica della quale, peraltro, l'autore dell'epistola sembra essere storicamente lontano.
Pochi appigli concreti offre il documento per una sua precisa datazione. Bisogna forse situarlo tra l'80 e il 100. E' interessante rilevare in esso la sua destinazione universale, significata dal suo rivolgersi alle « dodici tribù nella diaspora ». Un elemento nuovo, rispetto al resto della letteratura neotestamentaria, che in genere parte da problematiche e da bisogni concreti di ben precise comunità ecclesiali.
Il commento dello S. al testo, come vuole la collana, si snoda in tre tappe: dopo la traduzione, viene un primo paragrafo nel quale si analizza l'unità letteraria nella sua forma e nella sua struttura (al momento opportuno, vengono discussi problemi storico-tradizionali); segue un secondo paragrafo nel quale si fa l'esegesi verso per verso. Una serie di ottimi excursus scaglionati lungo il commentario e gl'indici finali concorrono a fare di quest'opera uno studio pregevole.
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