Betti Umberto ,
Libri nostri: Adriano Garuti, II Papa Patriarca d'Occidente? Studio storico dottrinale ,
in
Antonianum, 65/2-3 (1990) p. 404-406
.
Ha fatto bene il P. Adriano Garuti a raccogliere in volume la serie di articoli da lui pubblicati nella Rivista Antonianum negli anni 1985-1990. Dobbiamo essergliene grati, perché lo studio di un argomento delicato e complesso, qual è quello del titolo di Patriarca d'Occidente attribuito al Papa, rivela tutta la sua rilevanza storica e dottrinale in una visione d'insieme dei vari punti allora via via trattati.
La lettura del volume è resa gradevole anche dalla limpida presentazione tipografica. E non è di certo scoraggiata da qualche scorrettezza che è dato qua e là di incontrare (cf. per es. a p. 19 n. 19 Pasttum, a p. 29 n. 27 Tittle, a p. 83 artefici, a p. 147 Halifa), che peraltro la stessa evidenza ne suggerisce la rettifica immediata. Del resto la correttezza materiale vale ben poco a confronto della validità dei contenuti del volume stesso. Non è fuori luogo, al riguardo, ricordare la soddisfazione espressa nel mese di luglio 1962 dal P. S. Tromp SI nelle sue Annotazioni di Segretario della Commissione teologica preparatoria del Concilio Vaticano II, in omaggio ai suoi collaboratori, dei quali scriveva che « indefessis suis laboribus ac diligentia in corrigendis multiplicibus textibus et revidendis innumeris notis, id obtinuerunt ut Reverendissimus Pater Augustinus Sepinski, in venandis erroribus typographicis praeda non nisi mediocri potitus sit ». La sorte toccata in seguito a quei testi dimostrò quanto effimero fosse quel compiacimento. Né deve far ombra il fatto che il titolo del volume sia contrassegnato da un interrogativo, che generalmente sta ad indicare che la risposta, e negativa, è già scontata. Sarebbe, questo, un espediente per niente affidabile, se si fosse in presenza di una presa di posizione talmente precostituta da essere poi ripetuta in ogni pagina e in tutte le salse, in dispregio di ogni verifica seria, come nel caso del notissimo libello di Hans Kiing Unfehlbar? del 1970. Non è questo il significato dell'interrogativo che il P. Garuti ha apposto al titolo del suo libro. Egli dice espressamente di non avere la pretesa di dire la parola definitiva sull'argomento trattato, e di proporre le conclusioni raggiunte come spazio aperto ad ulteriore confronto (p. 5).
La trattazione, effettivamente, si dispiega in cinque densi capitoli corredati di documentazione abbondante e rigorosamente vagliata, che salta agli occhi anche da un semplice sguardo alla bibliografia (pp. 7-14) e all'indice degli autori (pp. 271-276), ed è quindi una buona credenziale di credibilità su quanto sarà esposto circa l'origine e gli sviluppi del titolo di Patriarca d'Occidente fino, praticamente, al suo tramonto.
L'A. mette anzitutto in rilievo come l'istituto patriarcale si sia instaurato in Oriente, quale espressione di una concezione teologica incentrata sulla sostanziale uguaglianza ed autonomia delle Chiese particolari, raggruppate però intorno ad una sede episcopale principale, chiamata appunto patriarcale. Il ruolo patriarcale del Vescovo di Roma è, invece, un prodotto d'esportazione, nel senso che la struttura che l'Oriente si era data sul modello dell'organizzazione civile viene da esso applicata anche all'Occidente, circoscritto però all'unica sede apostolica occidentale, cioè alla sede romana.
Questa trasposizione venne recepita anche nella Chiesa d'Occidente soltanto a partire dal sec. VI, e in una prospettiva ben diversa da quella originaria, poiché il ruolo del Vescovo di Roma è considerato distinto e superiore a quello dei Patriarchi orientali, in ragione del primato universale che è soltanto suo. E anche quando, nel secondo millennio, si ebbero fenomeni limitativi, in varia intensità e maniera, del primato del Papa nella Chiesa universale, l'insistenza sulla sua funzione patriarcale non si tradusse, da parte cattolica, in una equiparazione con quella degli altri Patriarchi, poiché egli era ritenuto Patriarca, si, ma Patriarca « sommo, universale ». A questa funzione patriarcale, peraltro, non fu attribuita una valenza teologica ben definita o che fosse, comunque, riduttiva del primato nella Chiesa universale.
Giustamente un più largo spazio, gli ultimi tre capitoli, è dedicato alle indicazioni attinenti al Papa come Patriarca d'Occidente offerte dalla celebrazione dei Concili Vaticano I e Vaticano II, nonché ad opportune considerazioni dottrinali alla luce del primato del Vescovo di Roma allora definito o riaffermato. Questa doppia fatica porta l'A. ad esprimere due convinzioni seriamente fondate. La prima è che l'istituto patriarcale è proprio delle Chiese d'Oriente, e che lì va conservato ed anche incrementato per il bene della Chiesa. L'altra è che il Vescovo di Roma ha una collocazione ecclesiologica di tutt'altro genere e peso rispetto a quella dei Patriarchi d'Oriente, non solo in virtù della funzione primaziale nella Chiesa universale, ma anche perché non sono a lui attribuibili poteri nelle Chiese d'Occidente analoghi a quelli che i Patriarchi orientali hanno nelle Chiese del proprio patriarcato. Egli infatti, oltre alla potestà episcopale nella sua Chiesa particolare di Roma e alla potestà primaziale nella Chiesa universale, non possiede una potestà « sovraepiscopale intermedia », assimilabile a quella patriarcale.
I risultati della ricerca, ora appena delineata nei suoi momenti salienti, trovano proporzionata espressione sintetica nella conclusione che « il titolo e il ruolo di Patriarca d'Occidente attribuiti al Vescovo di Roma sembrano destituiti di fondamento, dal punto di vista sia storico che dottrinale » (p. 269).
Questa conclusione basta da sola a sconsigliare che della considerazione del Papa come Patriarca d'Occidente si tenga conto nel dialogo ecumenico in atto. Si può anzi aggiungere che una futura riconsiderazione dell'istituto patriarcale, di primaria importanza per le Chiese Orientali, rimandata dal Concilio Vaticano II ai tempi della ristabilita piena comunione di tutte le Chiese (cf. Acta synodalia III 8, n. 100 p. 579s), non potrà disattendere il principio affermato dal Concilio stesso a proposito dei rapporti tra la Chiesa di Roma e le attuali Chiese patriarcali cattoliche, cioè « salvo restando il primato del Romano Pontefice » (Decr. Orientalium Ecclesiarum n. 7). Questo principio, del resto, riflette fedelmente l'affermazione generale della Lumen gentium n. 13 che dice: « nella comunione ecclesiastica vi sono legittimamente le Chiese particolari con proprie tradizioni, rimanendo però integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità, tutela le varietà legittime, e insieme vigila affinché ciò che è particolare non solo non nuoccia, ma piuttosto serva all'unità ».
Come si vede, il rapporto tra il Vescovo di Roma e i Patriarchi di oggi e di domani si ispira unicamente al primato che gli compete in quanto successore di Pietro. Le legittime autonomie dei Patriarchi, quindi, si fondano sulle modalità d'esercizio di tale primato, non sulla contropartita dell'attribuzione del titolo e di un ruolo patriarcale anche al Vescovo di Roma, che dalla documentata indagine del P. Garuti risultano destituiti di fondamento.
Se dunque (lo voglia Iddio!) il terzo millennio cristiano, ormai alle porte, non sarà un millennio di divisioni come lo sono stati i primi due, è da pensare che al momento della ritrovata unità di tutti i cristiani, il libro del P. Garuti offrirà appropriati elementi di riflessione.
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