Con questo secondo volume si completa il commentario agli Atti dello S., del quale si è già recensito in questa rivista il primo voi. (cf. Anto-nianum 61 [1986] 177-178).
La struttura del commento si mantiene intatta, per cui non si ripeterà quanto già detto nella citata recensione. E' tuttavia da ripetere che l'opera dello S. è notevole come strumento di lavoro esegetico, grazie alla vasta bibliografia e alla minuta analisi del testo.
Argomento del volume è la cosiddetta « parte paolina », cioè Atti 9-28.
Il libro inizia con il seguito della parte seconda, dedicata all'espansione della testimonianza cristiana oltre Gerusalemme (6,1-15,35) e l'avvio è dato proprio dalla vocazione di Saulo (9,1-31). La sezione, dopo aver esaminato il diffondersi della missione tra i pagani, aperta da Pietro, dagli Ellenisti e da Paolo col suo primo viaggio missionario, culmina col concilio apostolico di Gerusalemme.
La terza parte segue l'espandersi del messaggio cristiano fino ai confini della terra (15,36-28,31) ed è proprio qui che campeggia in assoluto la figura di Paolo.
La presenza di due soli excursus, uno dedicato a Paolo, l'altro al concilio apostolico, permettono all'A. di affrontare ampiamente l'analisi del testo, mentre nel primo voi. si era dovuto dare spazio, oltre che alla vasta introduzione, anche a numerosi excursus, trattanti linee di fondo degli Atti.
Lo S. ribadisce in questo secondo volume la sua opzione lucana di fronte al problema insolubile delle fonti: all'opera propria di Luca bisogna guardare, dal momento che ha inteso fare opera di letteratura. Anche noi ribadiamo quanto osservato nella precedente recensione. Proprio l'opzione dell'A. farebbe sperare in una considerazione più consistente di « quel che intese lo scrittore » (lasciando da parte, da un punto di vista linguistico, la discutibilità e il senso di tale espressione). Invece, nello scorrere le pagine del commentario, sembra talvolta di star leggendo una parafrasi del testo, che scivola sulla sua superficie, senza andare in profondità, Si obietterà che non è scopo di un commentario andare al di là della « lettera ». Ma è sempre vero che la lettera letta solo in chiave storico-critica e non anche linguistico-semiotica raggiunga « quel che intese l'autore »?
Si prenda come campione il brano della conversione di Saulo (9,l-19a). Nell'introduzione all'analisi dettagliata, alle pp. 25-30, oggetto formale d'indagine è la pericope. In concreto, si dibatte la questione di critica storica circa quel che hanno detto vari autori a proposito del genere letterario presente qui e in 22,3-21 e 26,4-23 (cf. anche pp. 420ss e 489ss) per discutere poi... un problema di fonti e concludere: « Poiché non è più possibile ricostruire la fonte di Luca o la tradizione su cui si è basato, anche i tentativi di una collocazione storico-formale e storico-religiosa dell'una e dell'altra restano ipotetici» (p. 28). Dopo di che, lo S. descrive rapidamente il lavoro « artigianale » (virgolettatura nostra) di Luca nella composizione del testo, cioè quali « elementi formali » ha usato l'evangelista: il dialogo d'apparizione, la doppia visione, ecc. Segue l'analisi dettagliata dei versetti nel modo sopra rilevato.
Non sarebbe stato più opportuno approfondire linguisticamente sia la pericope in se stessa, sìa questa in relazione alle altre due similari, per un'eventuale lettura dei tre testi nell'economia dell'opera lucana?
Le nostre osservazioni vogliono essere un richiamo ad un problema metodologico più ampio, che va al di là dello studio recensito, al quale niente dev'essere tolto della sua rispondenza adeguata ad un genere letterario ormai canonico qual è il commentario biblico.