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Recensione: F. Heiler, Le religioni dell'umanitā. Volume di introduzione generale

 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: F. Heiler, Le religioni dell'umanitā. Volume di introduzione generale , in Antonianum, 61/1 (1986) p. 173-175 .

Pochi giorni fa è scomparso M. Eliade, uno degli ultimi grandi rap­presentanti di quella scuola scientifica di studio delle religioni, che ha raggiunto negli anni '50 il suo apice di maturità e che ha nell'A. della presente opera un altro illustre esponente, deceduto anch'egli già nel lontano 1967.

La scuola è quella della fenomenologia religiosa. Essa si propone d'in­dagare la varietà dei fenomeni religiosi, come appaiono in diversi luoghi e in svariati tempi, per enuclearne al di là di essi quelle strutture d'essere fondamentali che rappresentino l'essenza unica ed universale della re­ligione.

Ma è meglio lasciar parlare lo H.: « La quinta istanza metodologica (per poter applicare il metodo dì storia comparata delle religioni, che l'A. assume) è il metodo fondato sulla fenomenologia; bisogna passare dal phainómenon all'eidos, all'essere. I fenomeni vanno esaminati soltanto a cagione dell'essere che sta al loro fondo e a riguardo di questo. Non si deve mai arrestarsi al guscio esterno, ma si deve sampre scavare fino al nocciolo dell'esperienza religiosa; dalle forme ormai fissate (culto o dogmi), dobbiamo spingerci verso la vita religiosa nella sua immedia­tezza» (p. 24).

Certo, come dice Ugo Bianchi nella sua ottima presentazione (pp. 1-6), la metodologia dello H. e della scuola fenomenologica in genere, va oggi ridimensionata. L'attuale storia delle religioni ha acquisito degli statuti scientifici più corretti e meno vincolati alla temperie culturale e ideologica della fine del secolo scorso e dell'inizio del novecento, nella quale si è sviluppata la fenomenologia religiosa, spesso divenuta più una filosofia della religione che un'obiettiva presentazione del fatto religioso nel suo duplice momento, idiografico (studio di un fatto o complesso di fatti in un contesto concreto) e storico-comparativo (studio analogico e non univoco o equivoco dei fatti religiosi), come vuole la scienza moderna. Del resto, pesanti sono le pregiudiziali ideologiche che gravano sull'opera dello H. e che fanno arricciare il naso dello storico delle religioni contem­poraneo: il suo modello evoluzionistico (i processi religiosi hanno un anda­mento evolutivo, dall'inferiore al superiore), la sua « partìcipatio mystica» di ottiana memoria (lo storico delle religioni deve essere anche un cre­dente intimamente coinvolto nel religioso), la disinvoltura comparatìvi-stica nel collegamento di fatti religiosi affatto diversi.

Tutto questo è vero. E tuttavia, l'opera dello H. ha dei meriti ancora attuali e più profondi di quello pacificamente a lui attribuibile di una grandiosa erudizione e di una conoscenza spesso di prima mano dei fatti religiosi, merito quest'ultimo che lo salvaguarda a sufficienza dal rischio suaccennato della disinvoltura comparativistica.

I meriti dell'A. non sono solo di ordine scientifico, bensì anche di ordine etico, ciò che non guasta anche in una sana pedagogia e deontologia scientifiche moderne; del resto, l'eticità dello H. è illuminata dal « logos » e, appunto per questo, si rivela rilevante anche ai fini di una metodologia scientificamente corretta.

Proprio per garantire la « purezza » del metodo scientifico, non ci si sente forse anche oggi di sottoscrivere alcuni dei criteri etico-scientifici esposti alle pp. 22-25? E d'altra parte, in questa nostra era postscientista e disincantata, non si deve condividere l'affermazione: « Non esiste scienza priva di presupposti, ma l'importante è che questi siano quelli giusti » (p. 22)?

Attuale nel nostro A. non è solo l'uso del metodo induttivo e il ri­goroso uso delle fonti, unito allo studio « sul campo » (p. 23, par. e), ma anche lo spirito universalistico ed ecumenico che deve animare il ricer­catore; così come attuale è l'esigenza del profondo rispetto nei riguardi di qualunque vera religione e, perché no, quella cura della propria inte­riorità che si può chiamare « esperienza religiosa » e che non necessaria­mente deve ottundere l'obiettività: chi non ha pregiudizi contro il « reli-giosum », non può che beneficiare di un atteggiamento illuminatamente religioso.

Forte di tale criteriologia, lo H. dipana la sua erudizione inquadran­dola in una sistematica struttura circolare concentrica, così articolan-tesi: 1) nel primo cerchio, quello più esterno, egli pone e studia il mondo fenomenico materiale, espresso negli elementi istituzionali della religione; 2) nel secondo cerchio egli situa e indaga il mondo concettuale che anima la religione; 3) nel terzo cerchio vengono considerati gli aspetti psichici e spirituali (mistici) dell'esperienza religiosa; 4) il centro della struttura è dato dall'oggetto della ricerca, la realtà divina, appresa dall'uomo come il Deus revelatus (santità, verità, giustizia, amore, misericordia e beatitudine) e nel contempo come il Deus absconditus (la luminosità impenetrabile del mistero divino).

Di fronte a quest'opera oceanica, il lettore già avvertito criticamente in anticipo, può lasciarsi andare ed intraprendere un affascinante viaggio attraverso quel mondo religioso che parla della relazione che l'uomo in­trattiene con una realtà misteriosa che è dentro e sopra di lui.