Nobile Marco ,
Recensione: DJ. Clines, Ezra, Nehemiah, Ester ,
in
Antonianum, 61/4 (1986) p. 773-775
.
Già altre volte ho avuto modo in questa rubrica di sottolineare le buone qualità della collona a cui appartiene il presente commentario: snellezza e accessibilità, unite a una base scientifica seria.
Anche il presente studio conserva tali qualità, analizzando in unico libro tre opere del « periodo persiano » (VI-IV sec. a.C), come afferma l'A. nella prefazione.
Le introduzioni sono delle piccole ma dense monografie.
Al riguardo dei due libri Esdra e Neemia, il C, dopo averne delineato in un primo paragrafo la storia canonica, passa a trattare il problema delle fonti, tra le quali campeggiano il « memoriale di Neemia » e quello di « Esdra »; nel riportare varie opinioni, l'A. non prende posizione circa la finalità di ciascuno di essi. Il terzo e il quarto paragrafo affrontano il problema spinoso rispettivamente del processo di composizione dei due libri e del loro sfondo storico: i due aspetti della questione sono interconnessi.
Per il primo aspetto, l'A. sostiene come principio generale, la posizione ormai comune che è stato il Cronista, l'autore dei due libri delle Cronache, a rielaborare anche le fonti per la composizione di Esdra e Neemia (il C. suppone anche con scarso entusiasmo la presenza di un editore). In questo è in disaccordo con H.G. Williamson, commentatore di l e 2 Cronache nella stessa collana, il quale è per la diversità d'autore, cosa poco probabile come sa dimostrare il Nostro.
Per il secondo aspetto del problema, lo sfondo storico, il discorso è molto più complicato, perché si pone in particolare la questione della priorità o meno di Esdra (458 a.C?) rispetto a Neemia (445 a.C.)- Il Cronista è per la priorità dello scriba sacerdote Esdra, nel momento stesso però in cui ne vuole accreditare la contemporaneità, abbastanza implausibile, con Neemia.
Gran parte della critica attuale è per la posteriorità di Esdra, la cui attività viene preferibilmente collocata nel 398 a.C. (Snaith, Cazelles, Galling, Eissfeldt, Rowley).
Il C. è per la priorità di Esdra e, quindi, per il 458, come data d'inizio della sua attività; segue, perciò, la versione del Cronista. Naturalmente, prima di affermare ciò, egli porta con acume le ragioni prò e contro, anche se non sempre gli argomenti contro la priorità di Esdra « have little weight », come afferma a p. 21.
Un'altra affermazione discutibile è che non si possa sostenere la teoria di più partiti a Gerusalemme, cioè la presenza in lotta di tendenze sacerdotali teocratiche e tendenze messianico-escatologiche (Kellermann). Quanto lasciano trasparire sia l'opera cronistica stessa che altre opere veterotestamentarie (il pentateuco nella sua redazione finale), è invece che vi fosse una forte tensione tra « segregazionisti » (Esdra e leviti) e « assimilazionisti » (sacerdozio gerosolimitano), come spiega nel suo studio Morton Smith, Pàlestinian Parties and Politic that Shaped the Old Testament New York 1971, che nel presente libro avrebbe potuto essere citato, tanto più che condivide con il C. la priorità di Esdra.
A conclusione del problema, l'A. pone la composizione dell'opera cronistica attorno al 400.
Riguardo alla teologia di Esdra e Neemia, egli offre una posizione « realistica » accettabile. Nell'opera cronistica non sembra esservi molto spazio per una tensione escatologica rivolta ad un futuro che compensi del fallimento presente, anche se essa non può essere esclusa; d'altra parte, il Cronista si mostra molto più interessato ad affermare che, nonostante il fallimento della monarchia, l'eredità dell'ideale re David è passata alla comunità dei pii giudei, che vivono il presente secondo le attese di Dio, nell'adorazione al tempio e nell'esecuzione del culto.
Anche l'introduzione ad Ester è accurata, benché talvolta le argomentazioni del C. lascino perplessi, in particolare là dove egli porta gli argomenti prò e contro la storicità del libro.
Nonostante l'A. concluda con « no clear conclusion emerges from this survey of the evidence » (p. 261) e sottolinei l'improbabilità storica della novella, tuttavia pare non saper nascondere (perlomeno egli confonde un po' il lettore) una certa simpatia per una storicità del nucleo di Ester. Ad es., nel paragrafo degli argomenti contro la storicità, l'A. così afferma verso la fine: « Moore appropriately summarises the evidence against the historicity of Esther, when he writes: — Taken individually, few, if any, of these improbabilities and contradictionse are sufficiently serious to undermine the essential historicity of Esther...» (p. 260). Se ciò si può inferire dalle argomentazioni contro, quanto più da quelle a favore! Ma come si è detto, l'A., con equilibrio scientifico, non prende alcuna posizione netta, dato che da una parte l'opera è una chiara invenzione letteraria, dall'altra realmente vi sono dei possibili punti di riferimento storico.
Il libro di Ester ha avuto secondo il C. una triplice fase di composizione, deducibile in particolare dal triplice finale (e. 8; 9,20-32; 10,1-3) da cui si dovrebbe inferire anche una funzione diversificata dell'opera: all'inizio, un racconto d'intrattenimento a sfondo nazionalistico, poi una spiegazione della festa nazionale dei Purim e infine un messaggio di apertura del giudaismo nei riguardi del governo persiano.
Il tutto della composizione dovrebbe comunque situarsi, con ogni verosimiglianza, proprio nel periodo persiano (tra il V e il IV sec. a.C).
A p. 272 è da correggere l'incomprensibile data 31 a.C. in riferimento alla suddetta era.
Per concludere, il commentario si raccomanda non solo per consultazione, ma anche come gradevole lettura per lo studioso.
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