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Recensione: K.H. Peschke, SVD, Etica cristiana. Teologia morale alla luce del Vaticano II, 2 vol.

 
 
 
Foto Pesce Pier Giuseppe , Recensione: K.H. Peschke, SVD, Etica cristiana. Teologia morale alla luce del Vaticano II, 2 vol., in Antonianum, 61/4 (1986) p. 781-784 .

Con la pubblicazione del 1° volume, posteriore di un anno a quella del 2°, si completa la traduzione italiana del trattato-manuale di teologia morale preparato da K.H. Peschke, attuale docente di tale disciplina presso la Pont. Univ. Urbaniana di Roma.

Non è impresa facile rendere conto adeguato, in poche righe, di un'opera che si distende per ben 1.300 pagine complessive.

Scopo dichiarato dell'autore (ricordiamo che la 1" edizione, in inglese, risale agli anni 1975-1978) è di offrire un contributo per colmare quel vuoto innegabile che, nel campo della teologia morale, si era creato quasi repentinamente in seguito al Concilio Vaticano II: i manuali tradizionali erano diventati insoddisfacenti, mentre l'esigenza di un manuale conti­nuava ad esistere per quanti (sacerdoti, laici, studenti di teologia...) «cer­cavano un orientamente generale in teologia morale sulla base degli inse­gnamenti del Vaticano II e che tenesse conto dei recenti sviluppi in teo­logia » (I, p. 7).

E' in questa prospettiva, dunque, che il ponderoso lavoro del Peschke va accolto e valutato. E allora dirò subito che, considerato nel suo com­plesso, esso centra assai bene l'obiettivo prefissato.

Uno sguardo all'indice ci permette di cogliere panoramicamente l'im­pianto generale dell'opera. Ambedue i volumi sono divisi in due parti. Nel 1° volume, la prima parte tratta dei « fondamenti biblici dell'etica cristiana » (pp. 23-94), in tre capitoli (insegnamento morale del V. e del N. Testamento; principali motivi dell'etica neo-testamentaria); la seconda parte, considerevolmente più lunga (pp. 95-491), tratta della « teologia morale generale», in sei capitoli (natura della morale e suo fine ultimo; la legge morale; la coscienza; gli atti umani; il peccato; conversione, virtù e perfezione nella santità). Nel 2° volume, tutto dedicato alla teologia morale speciale, la prima parte tratta della « responsabilità cristiana in campo religioso » (pp. 15-230), in cinque capitoli (le virtù della fede, della speranza e dell'amore divino; natura del culto divino e sue manifesta­zioni specifiche); la seconda parte, essa pure notevolmente più ampia (pp. 231-814), tratta della « responsabilità cristiana nei confronti del mondo creato », in sei capitoli (amore fraterno e giustizia; responsabilità morale nella vita comunitaria: famiglia, stato, chiesa; vita fisica e salute; ses­sualità e matrimonio; lavoro e proprietà; verità, fedeltà e onore).

Il testo, dunque, si presenta con una sua propria e peculiare fisiono­mia. Scorrendone poi le pagine, l'impressione globale che se ne ricava è senz'altro positiva. Personalmente, desidero sottolineare almeno due cose. La prima riguarda il riferimento alla Bibbia, che risulta sostanzialmente soddisfacente: oltre il discorso esplicito e organico fatto nella prima parte del 1° volume, è facile constatare che il messaggio rivelato è tenuto pre­sente un po'  ovunque nella  trattazione  dei  vari  temi,  come  elemento orientatore e vivificatore. La seconda riguarda il contenuto, che risulta sostanzialmente completo: da una parte, vengono conservate tematiche tradizionali, che (se pure non sempre è dato ritrovare nei recenti testi dimorale) conservano..tuttora una loro oggettiva giustificazione; dall'altra parte, vengono inserite questioni nuove (o proposte nuove di soluzione), che conferiscono al discorso una dimensione aperta alla attualità.

Con tutto ciò, sarebbe forse troppo aspettarci che, in un lavoro di così ampie dimensioni e dal contenuto così vario, tutto possa trovare uguale accoglienza o pari condivisione. Ed, effettivamente, i rilievi critici che si potrebbero avanzare non mancano. Mi limito ad accennarne qual­cuno.

E' risaputo che oggi nella teologia morale si verifica un accentuato pluralismo di posizioni su non poche questioni; il che, in sé e per sé, è largamente positivo perché il confronto dialettico può contribuire a pre­cisare problemi e a chiarire posizioni. Sarebbe, dunque, fuori luogo (almeno in questa sede) voler contestare all'autore questa o quella presa di posi­zione. Diverso è il discorso quando si tratta dell'insegnamento magiste-riale, soprattutto in opere destinate prevalentemente alla formazione e all'insegnamento. A questo riguardo, l'autore in genere si mostra attento ai pronunciamenti magisteriali, anche recenti, e ne tiene conto nel dare Je sue risposte. Però, non mancano casi (e non sempre di secondaria importanza) in cui egli sembra prendere una certa distanza: mi riferisco, per es., al concetto di aborto, e relative conseguenze pratiche (ef. II, p. 472 ss.; p. 483 s.); così pure, al giudizio sulla possibilità della insemi­nazione omologa nel matrimoino (cf. II, p. 636 ss.).

Passando alla bibliografia, l'autore privilegia largamente gli scritti di lingua inglese e anche tedesca. E su questo, nulla da ridire. Viceversa, mi domando se nella traduzione italiana non sarebbe stato utile usufruire
maggiormente anche della letteratura italiana (in definitiva, l'unico autore italiano che viene ricordato con una certa frequenza è il Chiavacci). In ogni caso, colpisce per es. che nella trattazione della morale biblica nella
prospettiva dell'Alleanza salvifica non venga ricordata un'opera impor­ tante e giustamente nota come quella del l'Hour (La morale de l'AIIiance, Paris 1966).   

Su certi temi, tenuto presente il contesto socio-culturale attuale, sa­rebbe stato forse auspicabile un discorso un po' più articolato e partico­lareggiato (abbreviando, magari, su altre questioni...). Mi riferisco, per es., alla trattazione di alcune problematiche  relative  alla  famiglia   (cf.   II, p. 328 ss.): a mio avviso, i rapporti complessivi tra i coniugi meritavano un po' più di attenzione; così pure, la preparazione dei giovani al ma­trimonio...

A volte, inoltre, sarebbe desiderabile una maggiore precisazione ter­minologica (dal momento che certe parole hanno assunto ormai un loro particolare significato, che contribuisce a dare al discorso un taglio e un contenuto specifico). Per fare solo due esempi: perché si parla ancora di «tolleranza religiosa» (cf. II, p. 409 ss.), quando ormai la Chiesa (a partire almeno dalla dichiarazione conciliare « Dignitatis humanae ») usa correntemente il termine « libertà religiosa », che evidentemente non indica la stessa cosa?...; così pure, fino a che punto oggi rimane ancora legittima l'espressione tradizionale di « guerra giusta » (cf. II, p. 373 ss.), dal momento che il Concilio (cf. GS 79-82) si esprime con ben altri termini e con ben altro spirito in merito a questi drammatici problemi?...

Per finire, mi domando se dopo un discorso così lungo e diffuso nei più disparati settori della morale non ci sarebbe stata bene una qualche parola di conclusione, che viceversa manca del tutto in ambedue i volumi.

Ad ogni modo, pur con questi ed altri consimili rilievi che ancora si potrebbero aggiungere, condivido l'opinione già espressa da altri recensori che questo testo, per le sue molteplici qualità (di metodo, di chiarezza, di contenuto, di orientamento generale, ecc.), può costituire un utile sussidio di aggiornamento per i sacerdoti e i laici e un valido manuale di apprendimento per gli studenti di teologia.