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Recensione: AA.VV., La théologie à l'épreuve de la verité

 
 
 
Foto Sileo Leonardo , Recensione: AA.VV., La théologie à l'épreuve de la verité , in Antonianum, 60/4 (1985) p. 697-700 .

Anche quest'altra pubblicazione del CERIT (Centre d'Études et des Recherches interdisciplìnaires en theologie - Université de Strasbourg), di­retta da Marc Michel, ha fatto centro. I teologi fondamentalisti non pos­sono ignorarla; il confronto con le idee che vengono messe in campo av­vantaggia sicuramente il loro impegno critico.

Come già in precedenti lavori, ci troviamo dinanzi ad un'opera collet­tiva, intenzionalmente interdisciplinare. Il metodo interdisciplinare acco­muna La theologie a l'épreuve de la vérité ad altri due interventi dello stesso CERIT, ossia Tradition et vérité (Revue des sciences religieuses, 53, n° 3-4, 1979) e Pouvoir et vérité (Cogitatio Mei 108, Cerf, Paris 1981). Rispetto a questi esso ha un legame sorgivo, ne conclude infatti la trilo­gia tematica.

Le prime due opere hanno questionato la verità da due punti di giudizio essenziali e oggettivamente possibili: la concezione storico-ideologica della tradizione e la concezione, pure storico-ideologica, del potere. Questa terza questiona la verità della teologia.

Da quando Nietzsche ha espressamente contrapposto il Cristianesimo alla verità, in quanto il primo è calunniatore della seconda, la diffidenza dichiarata nei confronti della verità teologica ha reclutato folle e folle di teorici ed ipistemologi. Certo, nessun libro, anche interdisciplinare come questo, potrà ricostruire la vicenda teologica ed extra-teologica del rapporto teologia-verità e teologia-fede-verità. Meno ancora vicino appare l'avvento di una formula risolutoria di un dibattito in sé illimitato che per il Cristianesimo ha costituito il banco di prova fin dalla sua comparsa storica.

Per quanto antico e permanente il tema del rapporto Cristianesimo-verità provoca la riflessione teologica nell'attuale « circum-stantia » gra­vida di scientismo, in nome del quale il sapere teologico — come scrive M. Michel — è respinto « dans l'exception et la marge » (Introduction, p. 8).

A fronte della deliberata volontà di « deplacement » che distingue la cultura contemporanea, l'apporto inseguito dagli Autori in questa sede è dunque preciso: non cercare di sapere se ciò che la teologia afferma è vero, ma « ce qui fait vrai en théologie » (ibid.). La dichiarazione non acquieta tuttavia le ansie che sommuove. Concretamente non si vede come da ciò possa scaturire per la teologia la proposta di un'ipotesi di confronto multidisciplinare, meglio diremmo universale, intorno alla no­zione di verità. Quantunque il piano dell'opera e talune isolate afferma­zioni sembra mirino ad altro, vale la constatazione che è la verità pro­dotta « theologice » dalla teologia l'oggetto di studio, e la prova alla quale essa viene sottomessa è in realtà la sua deontologia interna. In questa prospettiva prende corpo il significato dato all'approccio: « Accep-ter cette question revient à s'interdire d'occulter plus longtemps les non-dits de l'énoncé théologique » {ibid.).

Questa precisa impostazione è suggestiva e oltremodo impegnativa. Metaforicamente, impone che la teologia proceda ad occhi spalancati sulla propria ombra per cancellarla sempre e comunque. A nostro avviso è però pure alla base di perplessità. Anzitutto, la condizione del « non-detto » tanto della Rivelazione quanto della fede non corrisponde forse al dici­bile necessario e storicamente affermato — perché affermabile — della verità che produce la teologia, senza essere da questa prodotta, come al contrario appare sottinteso? Ancora, i « référents multiples » mediante i quali la teologia viene qui offerta come oggetto d'analisi, vale a dire quelli di ordine espistemologico, metodologico, storico e culturale, sono abilitati a comporre il quadro analitico e simbolico della condizione della produzione di verità, prescindendo dalla sua « in-ferenza » oggettiva? In­somma, il nostro è un dubbio di prospettiva: nella condizione « post-mo­derna » — nella quale si colloca l'attenzione dei contributi —, segnata dal « cambiamento » e dalla coscienza che di esso si ha, si rende davvero di­stinguibile il cangiante dal permanente a partire da un'operazione tutto sommato prodotta dai medesimi fattori — epistemologici, metodologici storici e culturali — sottesi alla produzione della presente teologia? Non si rischia una nuova unanimità equivalente alla malintesa uniformità che si intende superare?

Rimane indiscussa la validità reale dell'opera. Gli apporti contenuti­stici sono ciascuno carichi di un valore intrinseco. La loro distribuzione è disegnata entro il progetto tematico-editoriale che prevede quattro par­ti. Nell'ordine, mediante la prima parte sotto il titolo « Modèles analytique de la théologie » è allo studio della psicologia sociale il discorso teologico e la sua morfologia linguistica. Essa comprende tre studi: di J.-P. Decon-chy (« Verité et orthodoxie »), di C. Wackenhein (La théologie comme di-scours idéologique: fonctionnement et contraddictions internes), e di L. Marin (Le discours comme norme de l'instìtution). Nella seconda sotto il titolo « Déplacements contemporains de la vérité » è allo studio la con­dizione filosofica e psicoanalitica in e a fronte della condizione della di­sciplina teologica. Qui intervengono quattro autori: Y. le Gal (Figures du vrai et théologies), R. Sublon (Demande et désìr: l'exemple de l'Euca­ristie), J.-P. Resweber {Déplacement récents de la problématique de la vérité et leurs incidences en théologie), H.-B. Vergote (Théologie et interdisciplinarité). Nella terza parte poi, sotto il titolo «Une vérité historiquement affrontée », viene tracciata la visione teologizzata del­la verità storica del cristianesimo. Consta di tre riscontri: uno offerto da É. Trocmé (Les premiers chrétiens), un secondo da A. Paul (La vérité théologique à l'épreuve de l'Écriture), un terzo da L.-M. Chauvet (Sacra-ments et institution). Infine, la quarta parte con il titolo «Le dogme est-il la vérité de la théologie? », affronta la questione diretta circa la « nor­ma » di verità propria della teologia. Qui abbiamo due studi: il primo di B. Sesboùé (Le dogme est-il la vérité de la théologie catholique con-temporaine?), il secondo di P. Gisel (La théologie protestante est-elle une théologie sans dogme?).

Confluito nell'ultima parte figura il « Postface » affidato a C. Geffré (La question de la vérité dans la théologie contemporaine). Si tratta di una conclusione non riassuntiva dei temi affrontati e svolti dagli altri Autori, ma piuttosto di un epilogo propositivo di una ipotesi di soluzione Vero è che Geffré rivisita i luoghi epistemologici e metodologici ricorsi in singoli studi. L'intento di fondo è però mostrare l'opportunità di una scelta d'orizzonte ormai matura per la teologia contemporanea, la stessa che lo Studioso ha più volte teorizzato, alla quale peraltro è particolar­mente interessato il CERIT. Molto sommariamente, essa concerne da una parte l'abbandono della teologia dogmatica classica che si avvale di una concezione  positivista  della verità,  dall'altra  l'adozione  della   « teologia ermeneutica ». L'opzione in favore di quest'ultima comporterebbe la pro­duzione di una teologia che sappia superare il realismo metafisico tradi­zionale e insegna « une herméneutique prophetique qui part de l'évément mème de la Parole contenu dans l'Écriture »  (p. 283).

Infine, c'è da dire che tutta la materia qui plasmata da più mani, in­telligenze e punti di vista risulta alla fine sicuramente più duttile e pre­ziosa. L'esercizio teologico riflessivo in ogni caso non è mai inutile alla purificazione e rigenerazione della verità alla quale la teologia, con fedel­tà, deve il suo doveroso tributo di pensieri e di parole.