Il voluminoso commentario al vangelo di Marco di R. Pesch, nell'arco di quattro anni è arivato rispettivamente alla sua terza (voi. I) e alla seconda (voi. II) edizione riveduta e aggiornata. Dopo la prematura scomparsa di J. Blinzler nel 1970, a cui l'editrice Herder aveva affidato all'inizio il compito di redigere per la sua prestigiosa collana HTKNT il commentario al primo vangelo, R. Pesch ha accettato la difficile eredità, riuscendo entro sei anni a terminare l'opera. Appena pubblicata nel 1976-77, fu accolta da più parti come il primo commentario scientifico di Me della esegesi cattolica di questo secolo. Encomio pienamente meritato e per diversi motivi giustificato.
Non intendiamo entrare nei dettagli del lavoro del Pesch, cosa già fatta con meticolosità fiamminga da F. Neirynck in ETL 53 (1977) 153-81 e 55 (1979) 1-41 (i due studi sono stati riuniti dopo in L'évangile de Marc. A propos du Commentaire de R. Pesch, ALBO V/42, 1979). Si vuole rilevare solo alcune peculiarità di fondo che distinguono questa imponente fatica esegetica.
Andando contro l'opinione comune dell'odierna esegesi, per la quale l'evangelista Marco non è un semplice raccoglitore del materiale tradizionale ma un vero scrittore con precisa preoccupazione teologica, il Pesch imposta la sua esegesi innanzitutto sulla concezione di Marco in quanto « konservativer Redaktor », la cui « literarische Leistung » andrebbe valutata « gerade im Horizont eines unliterarisch-konservativen Verfahrens » (1,25). Così tutta la seconda parte del vangelo (8,27-16-8) non sarebbe altro che una « vormarkinische Passionsgeschichte » (cf. II, lss), ritoccata da Marco solo in alcuni punti parenetici (cf. II, 15ss). Questo radicamento « tradizionale » del primo vangelo avrebbe un lato positivo nel senso di permettere un più facile accesso al cosiddetto « Gesù storico », una preoccupazione che come si sa, all'esegeta Pesch sta molto a cuore (cf. soprattutto Id., Das Abendmahl und Jesu Todesver-stdndnis, 1978). Sotto quest'ottica, il primo vangelo sarebbe solo « indirekt Predigt, direkt Geschichtserzàhlung-nicht umgekehrt» (1,59): un'affermazione che incontrerà non pochi avversari, perché sembra mettere in questione una delle « verità » più pacifiche del metodo storico-critico, cioè la prevalente dimensione « kerygmatica » del vangelo, che solo in secondo luogo sarebbe interessato alla « storicità » (nel senso odierno del termine) degli eventi narrati. Di conseguenza, il Pesch mette un forte accento sulla Traditionsgeschichte, sottovalutando e decisamente ridimensionando l'importanza del genio letterario dell'evangelista, ossia la Redaktionsge-schichte. Questa tendenza del Pesch di voler, attraverso il materiale tradizionale (a parte che bisognerebbe con certezza dimostrare che di un tale materiale veramente si tratti; le « prove » di solito rimangono ipotetiche), arrivare direttamente al « Gesù storico », rileva, a nostro parere, nonostante innegabili lati positivi (soprattutto nei confronti dello scetticismo della scuola bultmanniana) un'ambiguità di fondo: sembra dimenticare che anche la cosiddetta Traditionsgeschichte ha a che fare non con dei resoconti « storico-cronologici » allo stato puro, ma con delle formulazioni già condizionate e rielaborate dall'interesse kerygmatico, aventi già dietro di sé una — benché anonima — Redaktiongeschichte. Sarebbe strano, se non improbabile, che Marco si fosse accontentato, nella maggior parte dei casi, di accettare in blocco tale e quale il lavoro « redazionale » dei suoi anonimi predecessori, autori delle primissime tradizioni, sia scritte che orali. Quello che si suppone per la tradizione preevangelica (cioè appunto la Redaktionsgeschichte), lo si dovrebbe fare a fortiori per lo stesso evangelista. Anche Pesch afferma (contraddicendo pure in questo caso l'opinione comune) che lo stesso « Messias-Geheimnis » non sarebbe un accorgimento letterario di Me, ma si troverebbe già nel materiale tradizionale, che acquisterebbe così una forte accentuazione cristologica. In questo modo sembra essere negata al redattore finale del primo vangelo una pur minima personale concezione teologico-interpretativa del mistero di Gesù.
Il primo volume, ora alla terza edizione, è provvisto di abbondante Nachtrag (pp. 422-66), comprendente l'aggiornamento bibliografico (a p. 427 W. Adinolfi, va corretto in M. Ad.), nonché le supplementari precisazioni esegetiche. Da notare a pp. 453-62 la lunga aggiunta all'Excursus « Zur Frage der Briider und Schwestern Jesu » (pp. 322-24), che dopo la prima ed. ha suscitato non poche perplessità tra gli esegeti cattolici, visto che l'A. si pronunciava a favore dell'esistenza di fratelli « carnali » di Gesù. La presente aggiunta, dove Pesch segue fedelmente le conclusioni del libro di L. Oberlinner, nonostante un'esaustiva informazione, risulta insoddisfacente, perché non si vede bene la posizione personale del Pesch stesso. Si ha l'impressione che conservi, benché con diverse attenuazioni, grosso modo la precedente opinione.
Nelle prossime edizioni sarà indispensabile o integrare le attuali aggiunte nel testo o almeno indicarle con un asterisco in margine.
Per il secondo volume (2. ed.), invece, è difficile vedere in che cosa consista questa « durchgesehene Auflage », visto che manca il rispettivo Vorwort. Viene indicato solamente che la terza ed. avrà pure un Nachtrag (cf. voi. I, VI; nel voi. II, XV dopo la sigla Bog Sm deve seguire Bogoslovska S., non Brgoslowska S.).
Il Markiisevangelium di Pesch, nonostante la (o forse a causa della) sua impostazione « conservatrice » (nel senso esegetico del termine, il che, come si vede dal discutibile Excursus sui « fratelli » di Gesù, non deve per forza coincidere con quella « dommatico-teologica »), susciterà ancora a lungo le più disparate, spesso anche viscerali, reazioni da parte dell'esegesi dominante. Ma questo è forse il destino inevitabile di ogni opera, il cui autore cerca di « fare esegesi » addentrandosi nei sentieri poco battutti, rinunciando al facile percorso su strade provviste di ogni tipo di segnaletica « ufficiale ».
Infine, un'osservazione che riguarda l'Editore. Per ogni casa editrice è sicuramente motivo di gioia poter, nell'arco di pochi anni (spesso anche mesi), pubblicare edizioni aggiornate e rivedute di una sua opera. Non per i lettori e soprattutto per gli abbonati ad una collana, come quella di HTKNT, che si vedono costretti, ogni due-tre anni (e anche prima), ad acquistare delle nuove edizioni, spesso completamente rielaborate. Se un volume abbisogna nel poco spazio di tempo di una nuova edizione rifatta, vuol dire che la prima (a parte di essere già esaurita) è stata pubblicata troppo in fretta. Basti ricordare che in quattro anni il Galaterbrief di Mufiner (cf. Antonianum 55, 1980, 491ss) è già alla terza « erweiterte Afulage ». Lo stesso più o meno vale anche per il Johannesevangelium di Schnackenburg, e ora anche il Markusevan-gelium di Pesch, il cui 2. voi., per giunta, non riesce a tener il passo di aggiornamento del primo. Se si tiene conto inoltre che le traduzioni in altre lingue difficilmente possono essere fatte in base all'ultimissima ed. originale, ci si trova in pieno circolo vizioso. Non sarebbe dunque fuori posto che la prima ed. orig. — anche se con un po' di ritardo sul tempo previsto — esca ben fatta e in grande tiratura, di modo che in un ragionevole arco di tempo non abbia bisogno, come si addice ad ogni opera di valore, di aggiunte, ritocchi e frettolosi aggiornamenti. E siamo convinti che il Herder Verlag è in grado di farlo per i rimanenti volumi del HTKNT, senza temere eventuali difficoltà economiche.