Come giudizio generale, si può dire che essa rappresenti il culmine maturo e pur sempre vitale di un lungo processo esegetico che conta tra i padri fondatori H. Gunkel e J. Wellhausen. Tale processo è stato un'ininterrotta ricerca e una costante messa a punto di metodologie che si possono raccogliere sotto tre punti di vista: 1) quello della critica letteraria, che predilige la fase scritta della composizione pentateucale (Wellhausen, Eissfeldt, Fohrer, Eichrodt); 2) quello della critica delle forme e delle tradizioni, che studia in particolare la fase orale (Gunkel, Noth, von Rad, quest'ultimo con forte inclinazione all'interpretazione teologica, al pari del Wolff); 3) infine, quello più recente dell'archeologia (Albright).
Questi argomenti sono sviluppati in modo magistrale dal W., nell'introduzione al secondo volume, alla pp. 12-90.
Nel suo lavoro, l'Autore vuol fare il punto della situazione esegetica storico-critica e tiene conto, perciò anche della discussione più recente circa il pentateuco in generale e il Genesi in particolare. Egli prende in considerazione la contestazione di questi ultimi tempi riguardante la visione tradizionale della teoria delle fonti jahvista, elohista e sacerdotale (Van Seters, Rendtorff, Thompson), secondo cui è da rivedere la loro datazione, in particolare quella della jahvista, che dev'essere postdatata (Van Seters).
Il W., senza prediligere una fase piuttosto che un'altra del processo di formazione dei testi e tenendo invece conto di ciascuna di esse, articola la sua analisi lungo l'arco diacronico che parte dalla fase più antica di formazione fino alla redazione più recente; il che richiede l'uso equilibrato e più realistico, rispetto ai testi, di tutte le metodologie sopra menzionate: è la risposta a tutte le prese di posizione precedenti, compresa l'ultima (Rendtorff, ecc.). Se si accantona l'idea moderna di autore individuale di un'opera scritta, si percepiranno meglio la nascita, lo sviluppo e l'ultima configurazione redazionale di un libro complesso come il Genesi.
Nell'ambito della ricerca storico-critica, certamente il W. si è acquistato un posto originale per l'acribia della sua analisi.
Nel primo volume (la cui terza edizione nulla aggiunge alle precedenti), egli considera con nuovo rispetto, ricco di conseguenze teologiche stimolanti, l'importanza della cosiddetta «preistoria» (Gen 1-11), per la cui analisi vi è l'apporto di un materiale bibliografico enorme (tuttavia da aggiornare) e di parecchi « excursus ».
Il secondo e il terzo volume esaminano rispettivamente Gen 12-36 e Gen 37-50, nel quadro di una triplice ripartizione, le cui componenti suppongono sia una composizione letteraria diversificata, sia un retroterra socioculturale differente. I ce 12-25 hanno come tema il rapporto padre-figlio (Àbramo-Isacco); i ce 26-36 trattano della relazione tra fratello e fratello (Giacobbe-Esaù); i ce. 37-50, infine, trattano di entrambi gli argomenti precedenti, e in più del rapporto di un fratello rispetto agli altri (Giuseppe e gli undici fratelli).
Se si rimane nell'ambito della metodologia storico-critica, poco ormai sarebbe da aggiungere all'opera del W., ma, dato che nelle pp. 32-40 del secondo volume l'Autore imposta una teoria (più filosofica che linguistica) di quel che è la narrazione o il narrare, ci si domanda se non sarebbe stato utile un accenno a quel che dicono oggi in proposito la moderna linguistica e la semiotica, che un non piccolo apporto darebbero alla comprensione di un testo se sottoposto alle regole della scienza del linguaggio e della teoria dei segni.
Ma qui si tocca un territorio pressoché sconosciuto all'esegesi classica.