Herman Z.I. ,
Recensione: JOSEF BLANK, Der Jesus des Evangeliums. Entwiirfe zur biblischen Christologie; ID., Vom Urchristentum zur Kirche. Kirchenstrukturen im Ruckblick auf den biblischen Ursprung; ID., Paulus. Von Jesus zum Urchristentum. Aspekte der ,
in
Antonianum, 58/4 (1983) p. 664-667
.
In questi tre volumi, usciti nell'arco di due anni, il noto esegeta di Saarbrùcken ha raccolto i suoi scritti (alcuni inediti) di natura esegetico-teologica, che toccano, come si vede dagli stessi titoli, dei temi fondamentali dell'esegesi neotestamentaria. J. Blank non appartiene a quegli esegeti-archeologisti che vivisezionano il testo biblico nella disperata ricerca del passato. Il Blank ascolta attentamente che cosa « lo Spirito dice alle chiese » (Ap 2,7) di oggi mediante il testo sacro, per cui è quasi sempre in questa prospettiva che, da esegeta, lo scruta.
Nel primo volume l'A. propone degli « abbozzi per una cristologia biblica ». Come introduzione viene premesso l'articolo sull'« Exegese als theologische Basiswissenschaft » (pp. 11-42) in cui è presentato il processo storico che, secondo l'A., avrebbe portato l'esegesi biblica da posizione di semplice « scienza-ancilla » delle discipline sistematiche allo status di un'autonoma disciplina teologica, il cui scopo sarebbe quello di servire da base solida ad altre « consorelle » di viaggio. Secondo il Blank si tratterebbe di un processo praticamente concluso. In teoria forse sì, però non nella prassi, perché questa « indipendenza disciplinare » dell'esegesi sembrerà a molti un'astuta riproposta in termini moderni de] vecchio assioma luterano « sola Scriptura ». - Seguono articoli, pubblicati precedentemente, che hanno a che fare sia con la cristologia sinottico-giovannea sia con il problema cristologico del NT in genere. Da notare soprattutto i primi due (pp. 43-94) che presentano un ottimo status quae-stionis del problema. In particolare vi si discute: la pericope di Me 12,1-12 (pp. 117-156); la concezione escatologica del «Gesù storico» (pp. 157 -166: un tempo i segni della vicinanza del Regno furono « die Heilungen und Damonenaustreibungen..., heute sind andere Zeichen angemessener, wie die Entwicklungshilfe. Die Theologie der "Zeichen des Reiches Gottes" ist noch ziemlich unterentwickelt, ware aber dringend erforderlich », p. 166); il concetto giovanneo della verità (pp. 197-210), dell'» escatologia realizzata» (pp. 211-249) e dell'antropologia (pp. 250-269).
La prima parte del secondo volume, intitolata in maniera indicativa « Das Urchristentum als gegenwàrtige Vergangenheit », raccoglie due studi sui problemi « einer Geschichte des Urchristentums » e sulla relazione tra chiesa e stato nel cristianesimo delle origini (pp. 15-88). La seconda parte, la più ampia, è dedicata invece alle « Amtsstrukturen im Urchristentum» (pp. 89-218): l'ufficio di Pietro nel NT, il sacerdote alla luce della Bibbia e lo stile del servizio ecclesiale nel NT. Nella terza parte, infine, troviamo uno studio sull'eucaristia « als Mitte der chris-tlichen Gemeinde im Urchristentum » (pp. 219-253) e l'altro, di indole piuttosto polemica, scritto nel 1980 in difesa di H. Kung e intitolato « Zur theologischen Begrùndung von "Christenrechten" » (pp. 254-266), un pamphlet che appare del tutto fuori posto in un volume dedicato interamente al cristianesimo primitivo.
Il terzo volume, che ci interessa in modo particolare, è una raccolta di studi riguardanti la teologia paolina. L'articolo di apertura presenta un profilo di Paolo-Giudeo e Apostolo delle genti « als Frage an Juden und Christen » (pp. 15-41). Viene poi riproposto l'ormai famoso « Warum sagt Paulus: "Aus Werken des Gesetzes wird niemand gerecht"?» (pp. 42-68). Segue un altro studio di indole polemica, « Evangelium und Gesetz. Zur theologischen Relativierung und Begriindung ethischer Normen » (pp. 69-85), dove, in base ad una, a nostro parere, troppo unilaterale concezione paolina della Legge, si propone di togliere alle norme etiche il « macht-und zwangsbestimmten "Gesetzcharakter" » e di elaborare « eine heute brauch-bare Ethik... in der Form eines "Rates" und eines hilfreichen Angebots » (p. 85). Proposta un po' troppo generosa per i tempi che corrono. Da notare in seguito l'approfondito studio su Rm 7-8 (pp. 86-123), una peri-cope significativa, secondo l'A., anche per la Chiesa di oggi: « ... eine Kirche, die um Romer 7 weiss, wird im rechten Sinne eine Kirche der Sunder sein, die auch die eigene problemtaische Vergangenheit sieht und eingesteht, weil sie deren Uberwindung nìcht als eigene Leistung empfin-det, sondern als jene xoavr) xiLaic,, von der Ròmer 8 verheissungvoll spricht » (p. 123). Nella seconda parte del terzo volume troviamo infine degli studi sulla 1 Cor, sull'eucaristia e l'unione ecclesiale secondo Paolo, su Rm 12,1-2 e l'articolo conclusivo sul concetto paolino della Scrittura.
Questa presentazione sommaria non rende sicuramente piena giustizia a tutta la ricchezza esegetico-teologica contenuta nei tre volumi. Il lettore sarà colpito soprattutto dalla sensibilià dell'A. nell'attualizzare il testo biblico, che nelle sue mani acquista la forza e il vigore della « spada a doppio taglio » che divide gli animi. Nessuna meraviglia che le conclusioni siano spesso scomode e difficilmente accettabili, anche dal punto di vista puramente esegetico. Ci riferiamo in primo luogo alla concezione paolina del vóu.o<;, che in non pochi punti viene presentata unilateralmente (sulla scia dell'esegesi luterana) e altrettanto anacronisticamente applicata all'odierna situazione ecclesiale. La giustificazione dell'empio, nel senso che le dà E. Kàsemann, sembra essere anche per J. Blank « il canone nel canone ». Si ignora la felice intuizione di K. Stendahl che la dottrina paolina sulla giustificazione gratuita viene svolta prevalentemente (per non dire esclusivamente) sul piano storico-salvifico: «... a doctrine of faith was hammered out by for the very specific and limited purpose of defending the rights of Gentile converts to be full and genuine heirs to the promises of God to Israel » (K. Stendahl, Paul among Jews and Gentiles, 2; cf. ora anche J.D.D. Dunn, « The New Perspective on Paul », BJRL 65,
1983, 95-122: « ... Paul's doctrine of justification by faith should not be understood primarily as an exposition of the individual's relation to God, but primarily in the context of Paul the Jew wrestling with the question of how Jews and Gentiles stand in relation to each other within the covenant purpose of God now reached its climax in Jesus Christ », p. 121). E' su questa piattaforma generale, di principio, che Paolo contrappone la fede alle « opere della Legge ».
E' comprensibile che una certa esegesi non potrà mai accettare l'interpretazione storico-salvifica dei testi paolini sulla giustificazione, perché dovrebbe in tal caso rinnegare le proprie radici. Sembra, però, che l'interpretazione « individuale » dei suddetti testi, sia nel campo protestante che cattolico, abbia ormai esaurito le risorse. Lo dimostrano, involontariamente, anche i rispettivi articoli di J. Blank, nonostante tutti gli accorgimenti « attualizzanti ».
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