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Recensione: PARENTE P., L'IO di Cristo

 
 
 
Foto Betti Umberto , Recensione: PARENTE P., L'IO di Cristo, in Antonianum, 56/2-3 (1981) p. 488-489 .

Il card. Pietro Parente, oggi novantenne, era eminentissimo anche pri­ma di diventar cardinale nel 1967. Lo era per il prestigio dottrinale deri­vante, soprattutto, dai suoi numerosi scritti teologici (cf. M. Di Ruberto, Scritti del card. Pietro Parente, Roma 1976). Tra di essi spicca il volume L'Io di Cristo, pubblicato in prima edizione nel 1951 e in seconda, notevol­mente sviluppata, nel 1955.

La terza edizione « con aggiornamenti », oltre alla integrazione dell'In­dice dei nomi (con qualche nominativo tipograficamente massacrato, come Moltmann divenuto Moltusann, p. 465), contiene una « Postilla di aggiorna­mento » (pp. 409-460), dove è delineato un ventaglio delle varie cristologie dell'ultimo ventennio, allo scopo di offrire una rinnovata chiave di lettura del volume, tutto centrato sulla parte quarta intitolata « Il problema psi­cologico dell'Uomo-Dio » (pp. 309-408). Si tocca qui, infatti, il fondo del mistero cristologico: se e come in Cristo, vero uomo non meno che vero Dio, ci fosse non solo l'Io divino proprio della Persona del Verbo, ma anche un Io umano, seppur non ontologico, costitutivo, cioè, della persona umana, dato che in Lui una soltanto è la Persona, quella divina.

Il P.P. Galtier SI, valorizzando anche non pochi elementi della tradi­zione francescana, aveva dato, nel 1939, ad altissimo livello dottrinale, una risposta affermativa: si deve ammettere in Cristo, a causa della pie­nezza della sua umanità, anche un Io umano, sebbene non ontologico ma soltanto psicologico. L'A. invece, nella linea di S. Tommaso, con non minor vigore e convinzione, opta per una soluzione negativa: in Cristo non poteva esserci un Io umano. La mancanza di autonomia ontologica importa anche l'assenza di autonomia sul piano psicologico. E quindi in Cristo non solo unica è la Persona, quella del Verbo, ma unica è anche la personalità, ugualmente quella divina.

La questione è così ben focalizzata nei suoi aspetti essenziali, senza che questi siano interamente risolti né dall'una né dall'altra parte, poiché in ogni costruzione teologica l'acutezza di intelligenza mai potrà ridurre i margini della fede. Si deve inoltre aggiungere che FA. apre ancora un problema dentro il problema. Non è, infatti, provato che sia del tutto conforme al pensiero di S. Tommaso dire che la percezione del Verbo come unico proprio Io derivi alla coscienza di Cristo dalla pienezza di grazia della sua natura umana, e non piuttosto dalla visione beatifica, come a suo tempo rilevarono esperti in materia (cf. H.-F. Dondaine, in Rev. selene, philos. théol. 41 [1957] 542).

Si tratta, dunque, di una problematica complessa che coinvolge anche la teologia positiva oltre quella speculativa. Una ragione di più per accre­scere l'interesse alla riedizione del volume, e per giustificare a suffi­cienza la convinzione dell'A. che la sua opera « conservi ancora una ragione di attualità» (p. 9).