Herman Z.I. ,
Recensione: H. SCHLIER, Der Ròmerbrief ,
in
Antonianum, 55/3 (1980) p. 489-491
.
H. Schlier, il grande maestro dell'esegesi paolina e « il carismatico del pensiero teologico » (K. Rahner), presenta con questo commentario di uno dei più difficili testi neotestamentari (cf. Vorwort, p. VII) il coronamento di uno sforzo esegetico non comune portato avanti lungo una vita travagliata da decisioni esistenziali altrettanto non comuni per uno degli ex-discepoli di R. Bultmann. Un coronamento non solo sul piano qualitativo, ma anche cronologico, vista la sua improvvisa scomparsa un anno dopo la pubblicazione del Ròmerbrief (+ 26-12-1978). Ogni esegeta è consapevole di quanto la scienza neotestamentaria, e non solo quella cattolica, deve a Schlier, studioso fra i suoi più meritevoli protagonisti di questo secolo. I precedenti commentari di Schlier a Gal ed Ef, la recente introduzione al pensiero paolino (Grundzuge einer paulinischen Theologie, Herder 1978), rimasta purtroppo interrotta al primo volume, e tanti studi esegetici raccolti in tre volumi hanno aperto sentieri insospettati alla fatica esegetica formulando un tipo di esegesi che appunto potrebbe essere chiamata « schlieriana »: non un'esegesi l'art pour l'art, una spiegazione del testo in cui lo scienziato rimane un indifferente anatomista dell'antico manoscritto, ma una ricerca in cui la fides quaerens inteilectum prende il sopravvento e l'esegesi diventa a sua volta testimonianza di fede.
E' l'antico testo che, scaturito dalla fede, ritrova nel suo esegeta una competente voce kerygmatica per poter ancora, dopo tanti secoli, suscitare la fede nel lettore attento e disponibile. Questo era a nostro avviso il compito cui H. Schlier è rimasto fedele fino al suo ultimo scritto, diventando così l'esempio di ogni esegeta che si insigna di questo nome.
Il Ròmerbrief, già alla sua seconda edizione (la prima risale al 1977), risponde sotto tutti i punti di vista alla linea esegetica di Schlier: rinunciando ad un ingombrante apparato scientifico (le note non mancano in quasi nessuna pagina, ma sono ridotte all'essenziale per non distogliere il lettore da un'affascinante e già troppo esigente lettura), ha voluto presentare e scrivere solo quello che gli è sembrato di aver udito personalmente in questa difficile lettera paolina (cf. Vorwort, p. Vili). Codesta scelta, come lui stesso riconosce, potrà a qualcuno sembrare troppo soggettiva, tuttavia tale « soggettività » è solo « die einer jeden Begegnung » (ibid.): ogni lettura, come ogni incontro, è sempre soggettiva perché interpella le forze più personali del lettore e richiede una risposta altrettanto personale.
Il commentario è preceduto da un'introduzione in cui viene discussa la situazione storica della lettera (scritta da Corinto intorno al 57-58), il carattere dello scritto (si tratta della lettera concepita come vangelo: « einfùhrendes und vorbereitendes Evangelium, mit dem sich der Apostel den ròmischen Christen vorstellt », p. 6), l'estensione della lettera (le glosse posteriori potrebbero essere solo 7,25b e la dossologia finale 16,25-27 con la quale, come supponeva Schmithals, si chiudeva probabilmente un'antica raccolta delle lettere paoline in cui Rrn occupava l'ultimo posto) e la progressività del pensiero (il tema generale è indicato in l,16s: il vangelo come rivelazione della « giustizia di Dio », un tema che ritorna in ognuna delle quattro parti della lettera.
Segue il commentario propriamente detto diviso in tre grandi blocchi: introduzione della lettera (1,1-17) in cui si distingue il « Praskript » (1,1-7) e il « Proòmium » (1,8-17), il corpo della lettera (1,18-15,13) diviso a sua volta in quattro temi (1,18-4,25 la necessità della rivelazione della giustizia di Dio; 5,1-8,39 i doni della grazia che scaturiscono dalla giustizia ottenuta mediante la fede; 9,1-11,36 il mistero d'Israele; 12,1-15,13 la paraklesi apostolica) e la conclusione (15,14-16,27) dove, nonostante le difficoltà dipanate, viene accettata l'autenticità paolina per 16,1-23, mentre la si nega per la dossologia finale (16,25-27). Questa divisione concorda quasi perfettamente con quella proposta recentemente da E. Kàsemann nel suo commentario ai Romani.
Dopo 5,21 si trova l'unico excursus dedicato all'« Adamo in Paolo» (pp. 179-189). Peccato che altri temi scottanti di Rm non siano stati affrontati in altrettante parentesi sintetiche fuori commentario. Schlier poteva farne a meno perché aveva probabilmente già dato alla stampa i soprannominati Grundziige apparsi un anno dopo il Romerbrief, dove vengono ampiamente illustrati molteplici temi della teologia paolina che toccano molto da vicino la lettera ai Rm (Dio, il mondo, il peccato, la morte, la legge, la giustizia di Dio, lo Spirito, la fede).
Non è nostro intento entrare nella discussione particolare del commentario che è stata fatta da recensori di prima ora (cf. soprattutto U. Wilckens, Zum Romerbrief von Heinrich Schlier, in ThLZ 103, 1978, 849-856). A parte i punti marginali e alcuni sbagli sfuggiti all'A. (cf. per es. p. 59 dove l'aoristo jrapéSwxev è definito come perfetto e di conseguenza gli viene data l'interpretazione durativa), la competenza e l'impostazione dell'opera di Schlier non vanno messe in discussione.
Il Romerbrief di Schlier non è solo il testamento spirituale di un grande maestro, ma anche una tappa importante per l'esegesi cattolica nei confronti della lettera paolina che per lungo tempo ha rappresentato il campo di ricerca privilegiato degli studiosi protestanti. Anche da quest'ottica il commentario ai Rm di un autore come Schlier, che è nato e si è formato nell'ambiente protestante per maturare poi nel seno della chiesa cattolica, può essere un contributo non trascurabile al dialogo ecumenico tra le due chiese la cui separazione è in gran parte dovuta, non solo ad una lettura diversa della lettera ai Rm, ma soprattutto ad una interpretazione guidata da ben determinate premesse teologiche. Un pericolo questo che oggi, per fortuna, almeno tra gli esegeti, sembra quasi completamente scomparso.
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