Gerd Theissen, docente di Nuovo Testamento presso l'Università di Bonn, non è un nome nuovo della teologia tedesca. Dal 1973 infatti appaiono con una regolarità e tenacia teutonica sulle riviste specializzate (ZThK, NZSTh, KuD, NovT, ZNW, Kairos, EvTh, NTS, ThZ) i suoi contributi che riguardano soprattutto l'aspetto sociologico del cristianesimo primitivo. Questo suo libro, che stiamo presentando, in fondo non è altro che una sintesi di precedenti lavori: « Con il presente tentativo di formulare una "sociologia del movimento di Gesù" porto a termine una serie di studi sociologici sul cristianesimo primitivo », precisa l'Autore nella prefazione (p. 7). Il libro « si rivolge a lettori immersi a loro volta nella prassi» (ibid). Nonostante questo aspetto « popolare », il lavoro non perde niente della scientificità degli studi precedenti.
L'Autore è cosciente di non essere il primo a fare un tentativo del genere: lo hanno preceduto alcuni contributi di prevalente ispirazione marxsista (K. Kautsky, 1921; P. Alfaric, 1963; M. Robbe, 1967) ed altri di stampo cristiano (R. Schumacher, 1924; S.J. Case, 1923; E. Lohmeyer, 1921, rist. 1973; F.C. Grant, 1926; Ph. Seidensticker, 1959; G. Baumbach, 1971; M. Hengel, 1973, ecc). Theissen però non precisa, almeno non esplicitamente, in che cosa il suo studio differisce dai lavori degli autori appena nominati. A nostro avviso, il profilo specifico del tentativo di T. sta nel fatto di aver, con la competenza che gli è propria, usufruito del metodo più avanzato della scienza sociologica per poter presentare in modo scientificamente credibile le molteplici tensioni socio-fenomenologiche che accompagnavano il sorgere del cristianesimo primitivo.
Nella parte introduttiva (pp. 13-18) T. precisa subito che « una sociologia del movimento di Gesù ha il compito di descrivere la condotta sociale tipica e di analizzare i reciproci rapporti con l'insieme della società giudaico-palestinese » (pp. 13-14). Per poterlo fare bisogna, secondo l'Autore, distinguere tre tipi di analisi: quella dei ruoli (i modelli tipici del comportamento), quelli dei fattori (il condizionamento di questi modelli da parte della società nel suo complesso) e, infine, l'analisi della ìuniione (l'effetto dei modelli di comportamento sull'insieme della società). T. precisa poi che « la possibilità di realizzare una sociologia del movimento di Gesù dipende dalle fonti e dalle testimonianze di rilevanza sociologica ivi contenute » (p. 15). Per lui le fonti sono costituite dai vangeli sinottici e dalle opere storiografiche di Giuseppe Flavio. Per T. importa poco la questione esegetica tanto discussa sull'autenticità o meno delle tradizioni sinottiche, perché « se supponiamo l'autenticità di una tradizione, possiamo presumere che coloro che l'hanno tramandata abbiano conformato la propria vita alla tradizione », e invece se si presume « che una tradizione sia sorta all'interno del movimento di Gesù nel periodo postpasquale, possiamo presupporre che chi l'ha tramandata abbia conformato la tradizione alla propria vita » e così « in entrambi i casi il risultato è lo stesso: ne risulta una corrispondenza tra i soggetti sociali della tradizione e la tradizione stessa » (p. 16). T. può porsi « al di sopra della controversia intorno all'autenticità ed alla storicità della tradizione» (ibid.) proprio perché l'analisi sociologica è basata sul fattore comportamentale degli individui e non sull'autenticità o meno di una tradizione. Da questo punto di vista la sua scelta metodologica sembra indovinata. La parte prima (analisi dei ruoli: il comportamento sociale tipico del movimento di Gesù) è a sua volta diviso in tre sezioni. La prima indaga sul ruolo dei carismatici (predicatori) itineranti. Secondo T. Gesù non avrebbe fondato delle comunità locali, ma avrebbe « dato vita ad un movimento di carismatici itineranti » (p. 20), costituito da apostoli (inviati), profeti e discepoli itineranti « che si muovevano da una località all'altra e che in tali località potevano contare su piccoli gruppi di simpatizzanti » {ibid.). Le loro caratteristiche furono: mancanza di dimora stabile, mancanza di famiglia (T. esagera quando parla che « persino l'odio verso tutti i parenti poteva diventare un dovere » e che Gesù faceva « lode della castrazione », p. 24), rifiuto del possesso e mancanza di protezione. - La seconda sezione poi di questa prima parte discute il ruolo dei simpatizzanti nelle comunità locali primitive. Si sottolinea anzitutto che Gesù trovò spesso accoglienza in case di simpatizzanti (Pietro, Maria e Marta, Simone il lebbroso, alcune donne che lo assistevano materialmente) e in seguito si cerca di rintracciare poche « tradizioni sinottiche che hanno sicuramente il loro Sitz im Leben in tali comunità locali primitive » (p. 32). Queste comunità, secondo T., si mostrano molto meno radicali che non i carismatici itineranti: alcune comunità esigevano infatti che la Legge venisse osservata fin nei minimi particolari (cf. Mt 5,17ss), anziché criticarla (cf. Mt 5,21ss), scribi e farisei erano considerati da loro autorità legittime (cf. Mt 23,lss), riconoscevano il tempio e il suo sacerdozio, offrivano sacrifici (cf. Mt 5,23), ecc. T. non ha dubbi che queste conclusioni possano essere fondate sui testi sinottici. Questo suo ottimismo ci sembra esagerato visto che mancano del tutto le argomentazioni precise: un testo si presta a tante interpretazioni e se all'inizio non viene indicato il metodo con cui lo si avvicina, si corre il rischio di manipolarlo in modo troppo soggettivo. - In seguito T. suppone che « le prime autorità delle comunità locali furono dei carismatici itineranti» (p. 34). Pian piano però, con l'ingrandirsi delle comunità, si formarono « al loro interno posizioni direttive che entravano in concorrenza con i predicatori itineranti » (p. 35). Questo, secondo T., potrebbe spiegare la rivalità tra Giacomo, fratello del Signore, e Pietro, carismatico itinerante, il quale « poteva correre il rischio di scontrarsi con i tabù giudaici relativi al cibo più di quanto non potesse farlo Giacomo, portavoce della comunità locale di Gerusalemme » (ibid.). - La terza sezione della prima parte si occupa in modo abbastanza convincente del titolo « Figlio dell'uomo » e del suo St'fz im Leben nella comunità primitiva.
La seconda parte, più nutrita e più lunga, è dedicata all'analisi dei fattori: influenza della società sul movimento di Gesù (pp. 47-129). T. distingue quattro di questi fattori: socio-economici, socio-ecologici, sociopolitici e socio-culturali. Si sottolinea anzitutto lo sradicamento sociale dei carismatici itineranti (cf. p. 50), la loro rottura con le norme dell'ambiente e si mettono in rilievo le eventuali analogie con la comunità di Qumran. In tutti e due i casi si riscontra una dura critica nei confronti della ricchezza e della proprietà. Sulla scia di H. Braun, T. accetta, in modo un po' precipitoso, una certa « mancanza di principi » del movimento di Gesù vis-à-vis della proprietà e della ricchezza: « da un lato la ricchezza veniva duramente criticata..., dall'altro se ne profittava » (pp. 56-57, citando Le 8,3; Me 15,43; Le 7,35ss; 19,1 ls). In modo categorico e privo di ogni critica T. afferma: « Vigeva la massima: "Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste" (Le 16,9) » (p. 57), mostrando così che, quando gli fa comodo, abbandona senza molti scrupoli il valore simbolico delle parabole « storicizzandole » senza complessi: una « metodologia » a cui ricorre relativamente spesso. - Discutendo poi i fattori socio-ecologici si afferma a ragione che all'inizio il movimento di Gesù era legato alla campagna (pp. 67ss) per poter in seguito spiegare « la sua ambivalenza nei confronti di Gerusalemme » (p. 68) e trovare lo schema del conflitto città-campagna, non privo di analogie nell'ambiente circostante (Giovanni Battista, Esseni, gruppi partigiani). - Analizzando i fattori socio-politici (pp. 82ss) si contrappone la rivendicazione teocratica dell'aristocrazia sacerdotale che pretendeva di essere la rappresentante della sovranità di Dio, e la teocrazia diretta di Jahweh, che « significava la fine di ogni altra sovranità, compresa quella dei romani e dei sacerdoti» (p. 82). In seguito viene discusso il conflitto di Gesù con queste due autorità, culminato nella sua esecuzione capitale, a cui collaborarono entrambi i gruppi. - La quarta sezione, dedicata ai fattori socio-culturali (pp. 106ss), si occupa per intero del problema della Legge come si presentava per il movimento di Gesù. Si sottolinea d'una parte la radicalizzazione della Legge (per es. non solo è vietata la condotta aggressiva, ma anche l'autodifesa dall'aggressione, Mt 5,39ss) e d'altra la sua mitigazione (libertà nei confronti delle norme relative al sabato, della separazione dai gentili e dai peccatori, libertà dalle norme relative alla purezza cultuale, ecc.). Anche nell'ambiente circostante, specie presso i zeloti e i monaci di Qumran, la radicalizzazione della Legge fu molto accentuata, mentre « le tendenze "liberali" sono invece rare» (p. 114). Questa radicalizzazione della Legge si presentava, secondo T., « come la naturale via d'uscita dalla crisi di identità del giudaismo », mentre di fatto contribuì solo « ad approfondirne ulteriormente la crisi », perché « il radicalismo legalistico era infatti destinato a provocare la scissione del giudaismo, dato che più movimenti di rinnovamento entravano in concorrenza l'uno con l'altro » (pp. 126-127). Questo processo scismatico intra-culturale ebbe come conseguenza ultima l'universalizzazione del giudaismo, la quale cominciò « a manifestarsi quando la radicalizzazione della legge si capovolse nella mitigazione della legge, quando si riconobbe che neppure un resto eletto di Israele poteva adempiere la Legge radicalizzata, ma che invece tutti, giudei e gentili, erano orientati verso la grazia di Dio » (p. 127). Il movimento di Gesù vi preparò la strada e Paolo ne trasse tutte le conseguenze. A questo punto T. rimprovera al primitivo cristianesimo « un etnocentrismo trasformato » (p. 127), la pretesa dell'assolutezza della chiesa e consiglia benevolmente che « sarebbe stato molto meglio se la chiesa avesse ripreso dal giudaismo anche un po' di quella inesorabile autocritica che distingue l'etnocentrismo giudaico da tutti quelli altrove esistenti » (ibid.). Peccato solo che T. non precisa dove lui trova le tracce di questa « inesorabile autocritica ». Forse nel fiorente proselitismo guidaico il quale con le sue esigenze rituali dà appunto una prova flagrante dell'etnocentrismo giudaico? La Chiesa, soprattutto quella paolina, non ha mai preteso di essere un popolo eletto a base etnica: tutti i battezzati, a parte la loro condizione etnico-sociale, sono slq èv Xpwttp 'Irpou (Gal 3,28). Su questo argomento T. doveva precisare meglio il suo pensiero.
L'ultima, terza parte del lavoro, si occupa dell'analisi della funzione: effetti del movimento di Gesù sulla società (pp. 131-159). Anche se in modo esagerato T. afferma che il movimento di Gesù è « scaturito da una crisi radicale della società giudaico-palestinese » (p. 131), d'altra parte sottolinea con molta onestà i limiti di una spiegazione puramente sociologica di un tale fenomeno: « Possiamo spiegare perché in quel tempo si diffuse in Palestina il fenomeno dello sradicamento sociale, ma non perché l'uno divenne criminale, l'altro guaritore, l'altro emigrante e l'altro ancora asceta. Una spiegazione sociologica coglie solo l'aspetto tipico dei fenomeni, ma non ne può cogliere l'individualità; traccia solo un determinato schema, ma ciò che avviene all'interno di questo schema sfugge alla sua possibilità di spiegazione » (p. 131). Ci fa piacere che sia T. stesso a rilevare questi limiti del proprio metodo, e tuttavia si rimane perplessi che in molti punti, specie in quest'ultimo capitolo, T. pretende di poter dare delle spiegazioni che escono dalla competenza del suo metodo. Discutendo, ad esempio, il fenomeno del trasferimento dell'aggressione (pp. B5ss), T. mischia il metodo sociologico con la psicanalisi (junghiana?) di modo che ne esce una « ricostruzione » quanto mai inverosimile di alcuni momenti della vitù di Gesù, in modo speciale riguardo all'abbassamento del Figlio dell'uomo (cf. lo schema alla p. 136), che sarebbe diventato « il capro espiatorio » per eccellenza (p. 146ss). In questo caso T. mostra di essere ancora debitore di una certa corrente dell'esegesi protestante da tempo sparita. Oggi nessun esegeta vede in Me 10,45; 14,24 e in 1 Cor 15,3 le tracce di una teologia del « capro espiatorio ». T. invece non mostra in proposito nessun dubbio (cf. p. 146). Ecco un altro lato debole del libro: finché rimane sul campo sociologico, T. convince abbastanza, appena si addentra in questioni esegetico-teologiche con dei metodi impropri (psicanalisi!), l'argomentazione incomincia a zoppicare fino al punto di perdere ogni credibilità. Questo ci sembra essere il caso per gran parte della fase conclusiva del libro.
Malgrado questi lati, a nostro avviso, negativi, lo studio di T. rimane un tentativo coraggioso ed originale che apre alcuni sentieri nuovi per avvicinare il mistero che avvolge l'origine del cristianesimo. Perciò questo studio, nonostante i suoi limiti (quale tentativo del genere ne sarebbe privo vista la complessità dell'argomento?!), rimane, secondo l'auspicio dell'Autore, un valido contributo zur Entstehungsgeschichte des Urchri-stentums.