1. L'opera di riforma
Taylor inizia la sua narrazione storica con una descrizione dell'orizzonte culturale dominante in Occidente almeno fino al 1500, allorché la vita umana era integrata nell'ambito di una visione religiosa. Quel mondo aveva la sua propria logica, i suoi codici e i suoi modi di armonizzare struttura e anti-struttura, ordine e caos. L'esempio del Carnevale serve a descrivere un tracciato di secolarizzazione, per quanto il vecchio codice — per poter funzionare - aveva bisogno di una siffatta dinamica di "anti-struttura", mentre il nuovo impone un sistema unico che non ha bisogno di alternativa o dialettica, perché si pone come un "codice nuovo e perfetto" (53). Altre linee di analisi dei cambiamenti che hanno segnato quella trasformazione epocale sono il passaggio da un cosmo ordinato e gerarchizzato a un universo dotato di un suo ordine immanente, senza riferimenti a un ordine eterno. Orbene, il cambiamento più importante si situa a livello personale: si tratta del passaggio dall'individuo "poroso", ossia permeabile e in continuità col cosmo e la trascendenza, a un individuo "ammortizzato" {buffered), in discontinuità col resto della realtà, e in grado di definire la propria identità. Tutto ciò può essere descritto con il termine weberiano di "disincanto".
Il libro sottolinea un altro fattore storico in quel periodo cruciale: la volontà di riforma all'interno della Chiesa, nel senso di una riorganizzazione dell'individuo e della società, percepiti come scarsamente idonei agli ideali o alla concezione della fede maturata nel corso del basso Medioevo. Tale ansia di riforma non era solo religiosa, ma si estendeva a tutta la realtà. Tuttavia, alla fine del processo si è affermato maggiormente l'aspetto secolare, che poneva l'accento sulla realizzazione umana a sé stante (human flourishing), indipendentemente dal riferimento religioso. Il processo può essere ora descritto in termini di "razionalizzazione", come ha fatto Weber. In ogni caso, esso appare come la logica continuazione della volontà di riforma manifestatasi nel XVI secolo e che condurrà, nella sua massima espressione, allo "Stato-polizia". Taylor osserva il processo di affermazione della "società disciplinata", che riunisce tuttora la fede religiosa e la ricerca di ordine in uno stesso pacchetto, destinato a combattere caos e ansietà, prospettando un nuovo ideale di "civiltà". Quell'ideale comprende una visione di dominio della natura, il superamento della violenza, nonché nuovi codici di condotta centrati sull'eccellenza personale e il "carattere", guidati da un volontarismo fiducioso. L'ideale dell'ordine assume finalmente un tono nettamente antropologico, e si prefigura spesso in termini antagonistici a tutto quanto ostacola la sua affermazione. L'essere umano si definisce per la sua autonomia e capacità di autocontrollo, non per la sua dipendenza da un ordine superiore. Si tratta del punto di arrivo delfio ammortizzato", dunque separato da un ordine esterno e capace di definire il proprio progetto. Tale definizione passa per un lungo periodo di prove e proposte, in primo luogo nel tentativo di sottrarsi all'influsso dei vecchi ideali e di discostarsi dal precedente ordine morale e sociale, dal cosmo e dalle immagini prevalenti in relazione al bene umano. Inoltre, si mettono alla prova nuovi programmi o "immaginari sociali moderni".
Taylor descrive il nuovo ordine o "immaginario alternativo". Innanzitutto, esso si propone nel campo morale, che emerge quale risultato di un "contratto sociale" che annulla le gerarchie e promuove un'armonia di interessi. Da questo derivano altri immaginari e pratiche sociali, le cui espressioni migliori sono l'oggettivazione dell'economia, la promozione della "sfera pubblica" o di un aperto scambio di informazioni e l'auto-regolazione democratica. Le tre sfere si configurano come altrettante "agenzie collettive", costituendo le basi della società moderna e di un ordine autonomo (181). Tutto ciò contribuisce all'erosione delle idee tradizionali, all'emarginazione dell'ordine divino o delle sue prestazioni fondazionali, dal momento che i tre ambiti si affermano sempre più come capaci di organizzare meglio la società, consumando la tendenza secolarizzante.
C'è qualcosa di weberiano in questa narrazione, giacché l'impulso parte dall'ansia (naturalmente, nel quadro degli ideali cristiani) di raggiungere l'ordine promesso. La razionalizzazione sembra diventare la chiave di un processo che si allontana sempre più dalla sua ispirazione religiosa allorché ci si rende conto che, al fine di raggiungere gli obiettivi desiderati, è opportuno liberarsi del fardello dell'eredità confessionale. Tuttavia, Taylor descrive più dettagliatamente tale evoluzione, narra meglio la storia e accentua molto di più il suo carattere cosciente, ideologico, piuttosto che quello strutturale. In questo caso, l'individuo e la coscienza svolgono un ruolo più rilevante.
2. Il punto di svolta
Nella seconda parte l'autore si chiede perché l'umanesimo esclusivo abbia finito per imporsi e per divenire un'opzione maggioritaria, anziché retaggio di alcune minoranze. La prima risposta punta al deismo e al suo tentativo di configurare una religione naturale, che si accordi meglio con gli ideali di ordine moderno, di mutuo rispetto e armonica collaborazione. Ad ogni modo, l'elemento centrale è la svolta antropologica, percepibile in quattro direzioni: la riduzione del progetto umano alla realizzazione personale dell'individuo, l'eclissi della grazia, la perdita del senso di trascendenza e dell'ideale cristiano di divinizzazione. Da ultimo, l'idea di Dio non è più necessaria per concepire l'ordine umano e sociale. Tale percezione, inizialmente riscontrabile soltanto nelle idee di alcune elite europee del XVII e XVIII secolo, ha finito per diventare maggioritaria. Gli ideali dell'urbanità, dell'ordine morale e della socialità hanno soppiantato quelli dell'onore e dell'eroismo, esautorando il fervore religioso per il suo fanatismo e il pessimismo vincolato al peccato, esaltando nel contempo la tolleranza e la benevolenza.
L'ascetismo ha ceduto il passo a ideali di realizzazione personale, alla morale confessionale è subentrata una morale immanente e razionale.
Quel tempo vede la nascita della "storia di sottrazione", ovvero l'idea che la natura umana possa fiorire meglio se liberata da credenze e pratiche tradizionali che offuscano e bloccano le sue fonti di espressione più genuine: una volta "sottratte" le tradizioni repressive, l'essere umano può raggiungere spontaneamente la sua pienezza (253). L'ideale delL'amor proprio" rinchiude in sé le condizioni di benevolenza e di vita onesta ed è in grado di fondare un ordine morale autonomo, senza necessità di rinforzi trascendenti. Questa percezione, unitamente alla coscienza del progresso cognitivo promosso dalla scienza, determina una ritirata della religione, in un senso molto simile a quello già descritto da Weber. Tuttavia, a differenza del sociologo tedesco, Taylor insiste sul senso di "potenziamento" {empowermeni) individuale che ha propiziato tale dinamica giustificandone il successo, insieme alla sensazione che le cose funzionassero meglio rispetto alle epoche precedenti, allorché ci si basava su criteri tradizionali.
Taylor è deciso a decostruire la "teoria della sottrazione", per mostrare piuttosto l'elaborazione intenzionale degli ideali illuministi descritti. In primo luogo, egli evidenzia i punti di tensione della proposta cristiana riguardo al modello anteriore. Il passo successivo è mostrare come gli ideali deisti abbiano avuto incidenze negative su taluni valori del modello cristiano, come quello di comunione, causando un ritorno al tono impersonale del vecchio ordine pagano. La componente impersonale del nuovo ordine riflette una caratteristica centrale della modernità. Taylor propone una genealogia già assai nota per spiegare tale processo di spersonalizzazione, che sarebbe iniziata con il maestro francescano Duns Scoto e il successivo nominalismo e che alcuni pongono quale base di tutto il processo di secolarizzazione. La narrazione mostra in questo caso scenari che producono una certa insoddisfazione - nonostante tutto — dinanzi ai risultati raggiunti, il che dà adito a sviluppi più complessi.
3. L'effetto "nova"
La terza parte espone la graduale espansione dell'umanesimo esclusivo, come una sorta di esplosione stellare che si diversifica in varie tendenze, per poi raggiungere finalmente la massa della popolazione. Questa parte si avvale delle tesi già sviluppate nella sua opera Sources ofthe Self. L'idea centrale è che, dopo la fine del XVIII secolo e durante tutto il XIX secolo, si sia diffuso un senso di stanchezza rispetto agli imperativi moderni di ordine e disciplina. Emergono allora ideali alternativi che mirano all'autenticità, all'espressione dei sentimenti, all'estetismo, tutti motivi che convergono nel movimento romantico. In principio si percepisce un senso di "vulnerabilità", ma anche di insoddisfazione di fronte all'alternativa tra il vecchio ordine e il nuovo umanesimo esclusivo. Si cerca una "terza via" in grado di dare un nuovo significato a un mondo disincantato e fragile, superficiale e vuoto.
Taylor parla del "malessere" dell'immanenza (malaise); un senso di benevolenza pallido e debole, un moralismo scarno, che tuttavia non richiama necessariamente un ritorno alla trascendenza, ma proietta un nuovo orizzonte di senso. Una risposta punta all'ideale romantico di bellezza, benché tinto a volte di motivi tragici, e presieduto da una forte ambiguità. Un'altra via ricorre a un senso sublime che si scopre nelle dimensioni della natura e allo stupore suscitato dalla sua nuova descrizione in chiave scientifica. Una nuova sensazione di mistero si estende al di là di un'antropologia troppo riduttiva e di un'etica troppo impersonale, esprimendosi quale "spazio intermedio" e "spiritualità indefinita", a metà strada tra ateismo e teismo (360). Nella nuova concezione, l'altruismo naturale assume un tono di eccellenza riguardo alla morale cristiana. La dimensione morale punta a svolgere un ruolo centrale, in un senso nuovo: di grandezza nell'accettare la nostra condizione entro i limiti descritti dalla scienza. La vita assume in questo contesto un grande significato: ad essa devono servire tutti gli sforzi.
Il primato appena invocato provoca anche un'altra reazione, questa volta dall'interno dell'umanesimo immanente, una specie di contro-illuminismo che emerge con toni di protesta e rivolta, e che non dissimula un certo fascino per il potere, la violenza e la morte. Da qui risultano traiettorie diversificate durante il XIX secolo e gli inizi del XX: si riprendono, da una parte, forme di umanesimo illuminista (utilitarismo); si celebrano, dall'altra, le emozioni romantiche e si respingono le etiche della disciplina; inoltre, si registrano esaltazioni ambigue che confluiscono nel parossismo della Grande Guerra, nonché tensioni tra ordine e disordine, che trovano espressione nel fascismo.
4. Narrative di secolarizzazione
La quarta parte espone una revisione di alcune teorie disponibili sulla secolarizzazione. In essa si rivela l'insoddisfazione dell'autore dinanzi alla scarsa capacità esplicativa della maggior parte di tali teorie, per mirare a una migliore ricostruzione storica. Secondo Taylor, è fondamentale rendere esplicite le dimensioni latenti del processo (the unthoughi) e decostruire certe assunzioni della teoria classica, che dà per scontati gli effetti negativi della scienza, nonché la cultura del benessere e dell'auto-determinazione. Da questo nuovo modo di narrare i fatti emerge un panorama diverso, nel quale una cultura dominante impone determinati gusti e criteri, con conseguenze disuguali. Il paesaggio storico e sociale diventa molto più complesso, benché non intransitabile, e in questo modo si evidenziano le logiche vincolate alle tendenze della credenza e della non-credenza, come una tensione irrisolvibile nella modernità. In ogni caso, la "storia di trasformazione", la storia cioè del passaggio da una cultura credente a una cultura secolare, non è la migliore versione dei fatti: conviene invece prestare attenzione agli spostamenti nella visione del sacro e ai nuovi orizzonti di trascendenza (437). Nella seconda metà del XIX secolo e all'inizio del XX, alcuni scenari testimoniano tale complessità e una moltitudine di transazioni.
Un altro modo di raccontare quel periodo si concentra sulla cosiddetta "età della mobilitazione": un impulso generalizzato ad adattare masse di popolazione a nuove condizioni sociali e culturali (445), che può essere individuato in diversi contesti nazionali e in certi fenomeni nell'ambito religioso, come il moltiplicarsi delle denominazioni negli Stati Uniti, le frequenti conversioni e le forme di revival. Ad ogni modo, tali processi non segnalano un ritorno a vecchie forme religiose, ma esprimono chiare connessioni con le nuove sensibilità e si situano nel complesso quadro delle tensioni esistenti tra le tre forze già indicate: umanista, espressiva ed eroica. In questa stessa cornice vanno considerate le forme "neo-durkheimiane" che connettono il senso patriottico e di unità nazionale a un fondo religioso comune o che avvicina tra loro confessioni diverse.
Già nel corso del XX secolo, all'epoca della "mobilitazione" fa seguito quella dell'"autenticità": emergono fattori maggiormente centrifughi, come l'egoismo e l'edonismo, che assumono un tono di legittimità culturale. La dimensione religiosa deve piegarsi alle convinzioni e ai gusti di ciascuno. Sorge il modello "post-durkheimiano", nel quale la dimensione religiosa perde il suo collegamento con la società (490) e il suo valore civilizzatore, caratteristico del passato. La situazione attuale della religione configura vari modelli tra i quali spiccano, da una parte, quello autoritario con le sue forti valenze terapeutiche e, dall'altra, quello della libera ricerca col suo carattere più sfumato e più "comodo". In ogni caso, sembra che i modelli precedenti — quello etnico-nazionale e quello morale-mobilizzatore - non funzionino più, e il panorama si fa molto più ambiguo e indefinito. Si va imponendo la cultura dell'autenticità e della ricerca personale, che di solito non danno origine a nuove forme religiose di carattere istituzionale. La situazione sembra favorire un ulteriore declino della religione, dal momento che la nuova cultura si scontra con le forme religiose che vanno in senso opposto. O forse no. L'autore riconosce un limite all'idea di crisi generalizzata quando contempla il caso dell'America del Nord (530). Una possibile risposta può venire dal fatto che la sete di trascendenza continua a essere presente in molti, il che si traduce in forme di "religiosità minima" o "vicaria", ma non si estingue. Taylor è convinto del fatto che la narrazione standard sulla secolarizzazione moderna sia sempre più contestata e che ciò possa aprire nuovi orizzonti di ricerca (535).
5. Condizioni della credenza
L'ultima parte dell'opera si apre con una descrizione della cosiddetta "cornice immanente", ossia il fondo o orizzonte in cui s'inscrive la nostra conoscenza della realtà. Si tratta di una condizione quasi "naturale", prodotto dell'evoluzione moderna, alla quale contribuisce certamente il successo della scienza e che esclude la dimensione trascendente (542). Per Taylor quella cornice rimane aperta e non è così ovvia quando si percepisce, per esempio, la necessità di evadere dalle "strutture chiuse del mondo" (forse la "gabbia di ferro" di Weber). La decostruzione di tali strutture pone in evidenza i valori e le opzioni soggiacenti, lontani da un ideale di neutralità. Non è che il vecchio ordine morale si sia dovuto "piegare ai fatti", ma "una visione morale ha ceduto il passo a un'altra" (563). La visione immanente non è più "naturale" né scientifica, è solo un'opzione possibile che le nuove condizioni storiche e culturali rendono più normale, ma non impongono come l'unica, anche perché è relativamente facile evidenziare i limiti o le insoddisfazioni che essa continua a provocare. L'idea della "morte di Dio" non è una conseguenza dell'evoluzione delle cose, bensì di nuove proposte ed elaborazioni che semplicemente acquistano una certa "aura" di riuscita storica. D'altra parte, l'evoluzione moderna delle forme religiose è molto più complessa di quanto non affermi la versione standard della sua opposizione al progresso e alla realizzazione personale.
Il presente si pone come uno scenario nel quale s'incrociano diverse tensioni, che danno origine a una serie di dilemmi. Il fatto che nel nuovo contesto non sia possibile sostenere le vecchie forme religiose (ormai profondamente destabilizzate), oltre a creare una frammentazione religiosa e una notevole instabilità, dà luogo a una ricomposizione e a nuove proposte (594).
A partire da questi dati, Taylor propone la sua riflessione più originale e provocatoria, almeno sotto il profilo teologico. La tesi centrale può essere formulata in questi termini: nella situazione attuale la fede religiosa deve confrontarsi costantemente con opzioni secolari o immanenti, senza poter rivendicare soluzioni sicure. Le proposte cristiane diventano — agli occhi dall'autore — precarie e perfino inefficienti; spesso gli sviluppi secolari apportano maggiori vantaggi per tutti. La fede cristiana viene dunque vissuta come una scissione, in una specie di "conflitto di interessi" o di "né con te né senza te", il che colpisce anche la cultura secolare e le sue pretese.
Come si può intuire, è più agevole descrivere la situazione sulla base dei dilemmi derivanti dalle forze incrociate che presiedono alla coscienza contemporanea. Spesso gli abitanti di questo mondo in tensione si sentono costretti a combinare tendenze che prima sembravano contrapposte, o avevano un proprio ambito particolare. Ora le posizioni diventano più instabili e le combinazioni più probabili; l'austera visione scientifica reclama in molti casi la responsabilità morale o l'espressione artistica e, perché no, la trascendenza o l'aspirazione alla riconciliazione e alla totalità.
Il resto della quinta parte espone i dilemmi centrali che derivano da questa situazione scomoda, in cui nulla è deciso, né per il credente né per l'umanista secolare. Una prima tensione si stabilisce tra la visione terapeutica e quella spirituale, e si esprime in diversi modi: tensione tra il servire le necessità umane più elementari o l'aprirsi alla trascendenza, che è qualcosa di necessario per molti; tra vitalismo e senso tragico; tra auto-affermazione e sacrificio. La presa di coscienza di tali dilemmi e, segnatamente, del problema della violenza e delle sue radici religiose comporta inevitabilmente una revisione delle idee teologiche tradizionali, che spesso costituiscono "versioni chiaramente erronee della fede cristiana" (643). Ne consegue uno statuto di fallibilità nell'elaborazione teologica, la cui condizione è "operare con una certa proporzione di poca chiarezza e confusione" (643). Taylor svaluta consapevolmente - alla luce delle nostre idee più mature — una teologia troppo sicura di sé. Le proposte tradizionali perdono, in buona misura, la loro validità una volta che si evidenzi il loro sfasamento rispetto a esigenze moderne più plausibili. Lo stesso problema della sofferenza e le sue spiegazioni mostrano un lato debole che non può imporsi come la soluzione migliore o come quella più "completa" in senso epistemologico, alla luce di molte ambivalenze e dilemmi ineludibili. Questa situazione lascia ai cristiani, un po' perplessi e limitati, ormai privi di soluzioni definitive (675), una debolezza che non dovrebbe essere soltanto negativa.
Le ultime sezioni del libro danno una chiara impressione di "decostruzione" delle idee cristiane tradizionali, cioè di una critica che mostra motivi nascosti o rimossi e rivela gli aspetti negativi. Taylor applica il suo acido critico alle idee di matrice cristiana nello stesso modo in cui "decostruisce" le visioni e i programmi della "cornice immanente" o secolare. Tutto è ambivalente e cessa di avere valore assoluto. Le diverse esperienze storiche del XX secolo dimostrano le limitazioni intrinseche a tutto il progetto cristiano di riorganizzazione e trasformazione sociale: il senso del tempo presenta dei limiti; l'esperienza di conversione non punta sempre nella giusta direzione; i progetti umanisti cristiani, la necessità di organizzare l'amore di agape... tutto presenta inconvenienti e obiezioni. Il profondo dialogo che l'autore stabilisce con molti dei protagonisti del malessere che affligge il credente moderno riporta casi esemplari. "Quanto più si riflette, le facili certezze di ogni propaganda {spiri), trascendente o immanentista, vengono indebolite" (727). Taylor evoca un futuro nel quale nessuna delle due tendenze predomina e nel quale si apre uno spazio per la trascendenza come aspirazione alla totalità, oppure come fuga dinanzi alle tendenze all'omogeneizzazione.
L'epilogo sorprende il recensore nel rivendicare la ricostruzione storica di Milbank e della sua Radicai Orthodoxy come complementare della propria, e perfino accettandola con "grande simpatia" (772). A mio giudizio ci può essere convergenza per quanto concerne l'analisi storica, ma le conclusioni e le proposte dei due autori non potrebbero essere più diverse e persino escludenti, il che lascia un alone di sospetto attorno a tale pretesa affinità.
Alcune considerazioni a margine
L'opera di Taylor offre una vasta panoramica sull'evoluzione della noncredenza in Occidente, fino al momento in cui essa raggiunge un predominio culturale. L'autore propone una narrazione, seguendo una trama che punta a una conclusione incerta. Nonostante l'immenso sforzo di erudizione e di ricostruzione storica, gli studiosi della secolarizzazione potranno restare insoddisfatti, a motivo del carattere esclusivamente ideologico di questa versione dei fatti, che non è affatto l'unica possibile, né probabilmente la migliore, qualora si tenti di stabilire le cause e lo sviluppo di quel processo. L'altra grande narrazione, qui assente, è quella di tipo strutturale o sistemica, che osserva la secolarizzazione come risultato di processi sociali dotati di una logica interna, non sempre riducibile alle sue "semantiche culturali", alle forme più consapevoli della storia del pensiero o ai casi più paradigmatici.
Inoltre, negli ultimi anni lo studio dei processi di crisi religiosa è stato arricchito dall'apporto di studi sociologici, economici e istituzionali. In alcuni casi, tali studi si avvalgono dell'assioma della "decisione razionale" che apporta un'interessante capacità esplicativa, soprattutto in casi come quello americano, che Taylor osserva con perplessità, come "una scheda che non s'incastra". Gli studi istituzionali hanno rilevato dinamiche di secolarizzazione interna che non dovrebbero essere ignorate qualora si desideri ottenere un quadro più completo. Certamente non facciamo conto su una "teoria unificata e completa" della secolarizzazione, ma su diverse narrazioni che tentano di illuminare aspetti parziali. Ad ogni modo, la procedura seguita da Taylor suscita alcuni dubbi e questioni non trascurabili, allo stesso livello in cui egli opera, ovvero quello ideologico e intenzionale.
Sicuramente la storia che narra ha un precedente chiaro in Max Weber e nella sua ricostruzione del processo di secolarizzazione occidentale come razionalizzazione differenziata, e conseguente disincanto, che è soprattutto un effetto della scienza. Tuttavia, ciò che risulta problematico è la possibilità di ricostruire una genealogia che faccia risalire a cause molto lontane processi che risultano da una grande complessità di fattori. Già Popper metteva in guardia contro i pericoli delle "teorie della cospirazione storica", come quella proposta da Milbank, attribuendo a Scoto e ad altri maestri francescani la responsabilità degli sviluppi più negativi del pensiero moderno. Ci si sarebbe aspettati un atteggiamento più prudente da un filosofo assai più maturo e consapevole dei livelli di contingenza presenti in ogni processo storico, risultato di un gioco di variabili non sempre collegabili ad antecedenti storici o ideologici.
Come che sia, la sfida principale lanciata da Taylor negli ultimi capitoli ha a che vedere con la pretesa simmetria tra i limiti dell'umanesimo secolare e del modello cristiano. Non sembra una manovra molto leale, specialmente se si applicano certi parametri. Dal mio punto di vista non si dà tale simmetria, bensì un peso maggiore di negatività nei progetti puramente umanisti, o in genere nelle proposte sorte da uno schema interamente secolare; la storia dei disastri del XX secolo è rivelatrice a tale riguardo. E comunque l'autore dovrebbe essere consapevole del fatto che la fede consiste proprio nel rompere tale simmetria o ipotetico equilibrio, per concedere più plausibilità, capacità euristica ed efficacia antropologica e sociale alla proposta cristiana. Ciò non implica un annullamento della dimensione del dubbio e della ricerca.
Certamente è salutare rivelare i limiti dei programmi cristiani moderni e rendere conto dell'intrinseca debolezza di ogni teologia, ma non ritengo giusta una critica che sovente traspone il tema religioso in altre dimensioni; sarebbe come giudicare un medico per la sua capacità di suonare il violino o di pronunciare un'arringa politica. Taylor dà l'impressione di non aver chiare le conseguenze dei processi di differenziazione: ogni sottosistema sociale si specializza in un settore e opera all'interno di un codice limitato. Quello della religione è la comunicazione di trascendenza, e non la trasformazione politica o la gestione economica. Taylor ha invece ragione allorché evidenzia i limiti del programma cristiano quando questo tenta di applicarsi a campi che esulano dalla sua competenza, quali quello politico, o di organizzare la vita comune e personale. Tuttavia ritengo che l'autore faccia ancora riferimento all'ambito di uno schema mentale tipico del "cattolicesimo organico", che egli definisce giustamente come inadeguato e che presenta lacune insormontabili in un contesto di modernità. Non credo che questo sia l'unico modo possibile di capire il cristianesimo e neppure il cattolicesimo: tra i due estremi di un cristianesimo liberale e secolarizzante e dei progetti organici di ripresa globale della rilevanza cristiana (Milbank) si danno alternative e vie intermedie che mirano piuttosto a far leva sulla propria competenza fondamentale: la comunicazione di trascendenza e di salvezza in senso definitivo. Sicuramente, se si osservano le cose in modo diverso e si narra la storia in un'altra prospettiva, si potrà imparare da Scoto e da altri maestri francescani, lontani degli ideali tomistici, che esistono alternative per la fede anche quando la ragione assume la sua legittima autonomia e la prospettiva di un ordine trascendente va sfumando.
Nel fondo dell'opera di Taylor si percepisce un hegelismo troncato, che si esprime nei diversi scenari di una dialettica non riconciliata tra la tesi cristiana e l'antitesi umanista secolare, proiettandosi in una storia della ragione in costante tensione e ancora incompiuta. Si tratta di un modello possibile che mostra la fecondità dell'eredità del maestro tedesco. Ma forse questo è il massimo che si può offrire: una serie di modelli ipotetici per organizzare una storia che spesso sfugge alle costruzioni razionali.
Per il resto, il libro di Taylor dovrebbe costituire una preziosa occasione per approfondire il tema della secolarizzazione, le sue cause e conseguenze, e per esporre strategie realistiche in grado di fargli fronte. In tal senso, è ormai tempo di abbandonare diagnosi semplicistiche sulla crisi religiosa attuale e i suoi possibili colpevoli, per avviare una riflessione più serena ed efficace, in grado di fornire alla Chiesa idee pertinenti e la mobilitazione necessaria in un periodo assai difficile.