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Arti e mestieri della Terra Santa. La committenza francescana. Seminario di studio (Roma, martedì 21 ottobre 2008).

 
 
 
Foto Messa Pietro , Arti e mestieri della Terra Santa. La committenza francescana. Seminario di studio (Roma, martedì 21 ottobre 2008)., in Antonianum, 83/4 (2008) p. 712-720 .

Martedì 21 ottobre 2008 si è svolto presso la Pontifica Università Anto­nianum il seminario di studio Arti e mestieri della Terra Santa. La committen­za francescana in occasione della presentazione del libro di Michele Piccirillo, La nuova Gerusalemme. Artigianato palestinese al servizio dei Luoghi Santi, Edizioni Custodia di Terra Santa, Gerusalemme 2007. Il moderatore p. Vin­cenzo Battaglia, decano della Facoltà di Teologia - che assieme alla Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani e al Centro Culturale Aracoeli ha organizzato tale incontro di studio — ha trasmesso a tutti i saluti di p. Miche­le Piccirillo, assente per motivi di salute.

Il prof. Marco Nobile ha evidenziato che è proprio della sensibilità cul­turale dell'epoca attuale la valorizzazione di quel che tradizionalmente viene trattato, talora con sufficienza, come espressione artistica minore. Questa affermazione vale sia per l'ambito letterario, sia per quello pittorico che per quello della scultura. L'operazione editoriale di M. Piccirillo ha nel senso sopra dichiarato un grande merito, quello di aver scoperto, con fare di buon archeologo, cioè quasi attraverso uno scavo metaforico, un tesoro culturale di grande pregio: le riproduzioni in scala dei luoghi santi di Israele/Palesti­na: la Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme e quella della Natività di Betlemme. La raffinatezza esterna ed interna dell'operazione (materiale cartaceo, fotografico, iconografico; dotta introduzione al contenuto e al sen­so del volume) non è autoreferenziale: essa valorizza l'espressione artistica pluriforme nel tempo e nello spazio di una fede, quella cristiana, concepita per modalità popolari e devozionali. In questo caso, gli aggettivi "popolare" e "devozionale" si liberano dell'impiego semantico deteriore e acquistano a pieno diritto la valenza di caratterizzazioni originali di un'espressione di vita, come richiesto appunto dall'arte. L'opera di padre Michele è anche un atto d'amore verso il suo Ordine francescano e in particolare verso la Custodia di Terra Santa, di cui è membro illustre. Egli ha voluto mettere in risalto alcuni dei frutti più belli (è il caso di dirlo, dato che si tratta d'arte) della plurise­colare azione evangelizzatrice, pedagogica e sociale dei frati minori di Terra Santa, ufficializzata fin dal 1342 con la bolla pontificia Gratias agimus di Clemente VI. L'artigianato locale, palestinese, che esisteva già da lungo tem­po, da quando gli operai residenti nei luoghi santi avevano imparato a creare oggetti di devozione per i pellegrini, con l'avvento dei frati Minori ha subito una svolta, perché la committenza francescana degli oggetti sacri ha dato suggerimenti e incrementato lavoro (talvolta anche con ricambio d'ingrati­tudine). Il punto di partenza, i cui maggiori esponenti furono i pp. Antonino De Angelis e Bernardino Amico della seconda metà del XVI secolo, ebbe una caratterizzazione in certo qual modo scientifica, dato che si voleva riprodurre in schemi perfetti e in precisi modelli in scala rispettivamente la pianta e l'immagine dei santuari di Terra Santa. Da lì poi, il passaggio alla produzione artigianale per motivi di devozione che continuavano un'antica tradizione è stato breve. La precisione scientifica dell'operazione di frati come p. Amico e la fruizione elargita ai fedeli, per il tramite del lavoro di artigiani palestinesi, sono i due elementi caratteristici dell'originalità della presenza francescana in Terra Santa: studio e devozione, intendendo, ormai è chiaro, con questo secondo termine l'opera evangelizzatrice fondata sull'archetipo del divino incarnato. L'operazione editoriale di p. Piccirillo ha infine una significativa ricaduta sul contesto socio-politico e religioso attuale. Egli vuole contribuire a dare consistenza storica e dignità a quel popolo palestinese che da troppo tempo soffre, ma vuole farlo per il tramite di un messaggio cristiano di pace universale (la stupefacente ubicazione diffusa dei modellini), inveterato in un poetico sorriso qual è quello che promana dalla fede e dall'arte dei mo­delli dei centri di una fede che vuole tutti fratelli.

Nell'intervento successivo Giuseppe Buffon, professore di storia della Chiesa, ha messo in evidenza che un brano delle costituzioni capestrane, compendio delle normativa minoritica delle controriforma, ben si attaglia ad introdurre questa riflessione che intenderebbe proporre alcune considerazio­ni sulla passione francescana per le misure e le ragioni della sua committenza. «Lo stesso Guardiano non permetta che si facciano misure del Santissimo Sepolcro di seta, o d'oro: né le croci, i sepolcri, i calvari, i presepi, o altro d'ebano, di avorio, di madreperla con istraordinaria scoltura; ma unicamen­te Croci piccole, o mediocri di terebinto, di olivo, di cedro e di altri alberi dello stesso luogo, le quali siano stimate per devozione, non per pregio di lavoro [...]». In effetti, la presente formulazione potrebbe sorprendere per la sua apparente contraddittorietà proprio rispetto al tema proposto. Se consi­deriamo bene il passaggio, mentre nega ai religiosi un qualsiasi coinvolgi­mento nella produzione dei suddetti manufatti, fa intravedere i presupposti della committenza. Nompar de Caumont, pellegrino francese in Terra Santa, già nel 1418 riferisce di certe misure del Santo Sepolcro prese con cinture di seta bianca e fili d'oro. Le stesse misure risultano riprodotte nella tavola con­servata dietro il coro della chiesa di Edington, ossia la lunghezza del Sepol­cro, l'altezza e la larghezza della porta dell'edicola, la lunghezza del piede di nostro Signore, la profondità dell'incavo della croce, ecc. Alla stessa chiesa di Edington vennero lasciati in legato i modellini della Cappella del Calvario e della Chiesa di Betlemme, che il sacerdote inglese William Wey affermò di aver riportato dalla Terra Santa, dove si era recato ben due volte, nel 1458 e nel 1462. In verità una pianta accurata della Basilica del S. Sepolcro era stata realizzata diversi anni prima, verso il 1330 dal francescano Giovanni Fedan-zola da Perugia, superiore della provincia di Siria. La pianta nella sua sche­maticità rimanda a misure prese direttamente sul posto. La passione dei fran­cescani per le misure dei luoghi, che p. Francesco Suriano, custode di Terra Santa, nella sua opera // Trattato di Terra Santa e dell'Oriente, definisce ap­punto santi, ossia oggetto di adorazione come fossero delle reliquie, aumentò sicuramente dopo il 1333, ossia in seguito al raggiungimento dell'accordo tra i reali di Napoli e Malik al Nasir, che conferiva loro ufficialmente il ruolo di custodi dei luoghi delle Redenzione. Se la passione per le misure venne coltivata in seguito solamente con licenza artistica dai diversi pittori che rap­presentarono in varia foggia i luoghi santi, maggiore attenzione esse ottenne­ro da parte dei costruttori di cappelle che essi edificavano in varie parti d'Eu­ropa, allo scopo di rappresentare l'edicola del Sepolcro, avviando tra l'altro la tradizione francescana dei cosiddetti sacri monti. Chi invece di misure se ne intendeva era p. Bonifacio da Ragusa, custode di Terra Santa, che verso la metà del 1500 restaurò la grande cupola della dell'Anastasis e ricostruì l'edi­cola del Sepolcro. La sua impresa sembrò creare una corrente di appassionati dell'architettura e della topografia gerosolimitana. Il capofila fu sicuramente Gianfrancesco Salandra, anch'egli custode di Terra Santa, ma il primo vero realizzatore di una pianta di Gerusalemme con i suoi monumenti fu p. An­tonino de Angelis da Lecce. Sulla scorta dei rilievi effettuati dal De Angelis, si mosse p. Bernardino Amico da Gallipoli, il quale si diede premura di effet­tuare precise misurazioni eseguite sul luogo onde realizzare dei disegni in scala, con pianta e prospettiva di buona parte dei monumenti presenti sui luoghi santi. I suoi grafici vennero pubblicati prima a Roma e poi a Firenze, ottenendo un notevole successo anche grazie all'apporto artistico dell'inciso­re Jacques Callot. Lo scopo politico dell'opera del p. Amico appare chiara­mente nelle dediche ai principi europei Filippo III di Spagna e Cosimo II di Toscana, dai quali si attendeva un appoggio diplomatico in merito alla pre­senza francescana in Terra santa. Egli si indirizza però anche ai pellegrini dell'Occidente europeo, per i quali si augura che i suoi disegni possano di­ventare come «pire di fuochi spirituali per incendiar le menti alla contempla­zione dei misteri operati dal Salvatore del Mondo». Il medesimo religioso non ignora neppure gli architetti intenzionati a riprodurre in Occidente i monumenti delle Terra Santa. Lo stesso poi, come guardiano di Betlemme, non dimentica le esigenze degli artigiani che abitavano presso il suo conven­to, i quali già si erano esercitati nella riproduzione degli oggetti di pietà della Terra Santa, onde trarne anche una vantaggio economico con la vendita ai pellegrini. Scrive infatti lo stesso: «Pianta et alzata del Santissimo Sepolchro in profilo acio ciascuno si servi de la Sua Scala e farlo di quella materia che più li piace senza troppo travaglio». Lo scopo perseguito dal p. Bernardino Amico era dunque triplice, politico, devozionale, e infine sociale. Mentre però i primi due sono facilmente comprensibili, il terzo richiede forse qual­che chiarificazione. Per quale motivo il frate si sentiva responsabile della pro­sperità professionale ed economica della popolazione, che viveva accanto ai conventi? Quando, nel XIX secolo, giunsero per la prima volta in Terra San­ta i rappresentanti della civilizzazione occidentale, aprendo sedi diplomati­che ed inviando istituti religiosi dediti alla diffusione della cultura nazionale naturalmente europea, i francescani si trovarono d'improvviso costretti a giustificare la modalità di questa loro presenza, che allo sguardo di molti ri­sultava incomprensibile. Al presidente della propagazione delle fede di Lio­ne, organizzazione che soccorreva con aiuti finanziari i missionari e dunque anche i francescani, il Custode dovette spiegare il motivo delle presenza di molti laici apparentemente inutili all'opera missionaria e di evangelizzazione. «Je croirais ne pas vous avoir donne l'état complet du personnel de la Famil-le de la Terre Sainte si je ne vous parais que de nos Pères; ceux-ci ne sont pas inutiles ni trop nombreux quoique en grand nombre, mais les frères lai'ques ne le sont pas moins ; on en a besoin dans ces pays comme des pères. Car comme ces contrées qui ont gémi si long temps sous la domination des mu-sulmans sont dépourvues de tant de choses qui sont d'une première nécessi-té à la vie il a été urgent et nécessaire d'y suppléer par nos religieux les mieux qu'on a pu. C'est pour cette raison qu'on en rencontre ici qui exercent dans nos couvents les métiers de macon des forgeron, de menuisier, de tailleur, de cordonnier, de boulanger etc. et qui ne se bornant pas à pourvoir aux besoins de la custodie et de la mission de Terre sainte s'efforcent encore d'apprendre aux jeunes de notre custodie au sortir des écoles en art ou en métier qui soit de leur goùt et de leur vocation, et ainsi le mettent en état de gagner hon-nètement leur pain, le reste de leurs jours». Fin dai primordi, la custodia di Terra Santa era stata concepita secondo i canoni di un sistema autarchico, chiuso; i suoi conventi come isole in mezzo ad una universo islamico dove­vano essere dotati di una autonomia quasi assoluta. Proprio a garanzia della loro sussistenza, accadeva spesso che alcuni nuclei di famiglie "latine" venis­sero trapiantati da una zona all'atra in modo da costituire attorno ai conven­ti una sorta di microcosmo cattolico. Lo scopo di tutto ciò era naturalmente la salvaguardia delle "testimonianze della fede" nei cosiddetti luoghi santi: un patrimonio non solo da tutelare ma da rendere fruibile ai pellegrini, per le loro esigenze religiose. Ecco allora che sorsero alcune scuole proprio per an­dare incontro alle esigenze del popolo dei pellegrini in gran parte europei, ed erano essenzialmente scuole di lingua italiana. La restrizione del territorio imposta dalla legge coranica non permettendo attività di natura agricola, indusse i religiosi a dare sviluppo all'artigianato, che potevano esprimere in applicazioni differenti. Tra esse si può segnalare inizialmente quella della la­vorazione del legno e in seguito quella della madreperla, che si sviluppò par­ticolarmente nei dintorni di Betlemme. Ne danno notizia già i pellegrini di fine Cinquecento, come ad esempio il belga Giovanni Zuallardo il quale, facendo visita a Betlemme nel 1586, assicurava che «gli abitanti fanno coro­ne e crocette di legno d'oliva, cedro e simili», e dimostrava quindi come l'industria del legno fosse già ben avviata. I prodotti di tale artigianato dove­vano però essere ancora rudimentali, se il canonico Giovanni Francesco Al-carotti di Novara avvisava il pellegrino di portare con sé le corone «se le vorrà belle», perché in Palestina non se ne trovavano che «grossamente lavo­rate». Con l'arrivo a Betlemme di p. Bernadino Amico, come già osservato da p. Bellarmino Bagatti, in un articolo pionieristico sull'industria della ma­dreperla in Terra Santa, i lavori degli artigiani betlemiti sembrano sviluppare una certa raffinatezza di esecuzione. I disegni del p. Bernardino relativi al S. Sepolcro, alla chiesa della Natività, alla tomba della Vergine, forniscono ai fabbricatori di corone nuove tecniche atte alla raffinazione dei materiali da utilizzare e alla rifinitura artistica degli oggetti. L'oggettistica religiosa arric­chisce e varia la propria riproduzione, che dalla sola edicola del Sepolcro si impegna ora a rappresentare anche altri monumenti della fede, quali soprat­tutto la Basilica dell'Anastasis. La complessità di esecuzione di questi nuovi soggetti, inoltre, stimola ad un crescente sviluppo e perfezionamento delle tecnologie nonché all'uso di nuovi materiali. Ne sono testimoni diversi scrit­ti di pellegrini illustri, dal fiammingo Johann Kootwyck, a don Rocchetta Aquilante il quale, nello scorcio del 1500, afferma che «alcuni Christiani nostrani, detti Soriani, lavorano crocette, corone, Sepochri e Presepi) met­tendovi delle Reliquie di que' Santissimi luoghi, e le vendono a' Peregrini, ma i Sepolchri e Presepij li fanno di pietra molto bella». A dar conto però dell'al­to sviluppo artistico raggiunto dai prodotti sono in particolare i viaggiatori del XVII secolo, tra i quali citeremo di passaggio il gesuita p. Michel Nau e Cornelio Magni: «gli abitanti sono Cristiani e maomettani. Essi vivono tra di loro in buon accordo per mantenersi nei loro diritti e sono in amicizia con gli Arabi [...]. Il loro mestiere e quello degli altri cristiani e anche dei mao­mettani è di fare rosari che vengono benedetti sui Luoghi santi e inviati in Europa e di cui i pellegrini si caricano per distribuirli agli amici. I più abili fanno delle belle croci e delle rappresentazioni di tutta la Chiesa del S. Sepol­cro e di tutta quella di Betlemme, della S. Grotta e del S. Sepolcro, ma con tanta precisione che non ci manca un pilastro né la minima colonna». Men­tre i religiosi, per statuto interno, ossia per mantenersi ligi alle esigenze della povertà, si ritirano dall'esecuzione di lavori esigenti per qualità e ricchezza di materiali, fuori del convento fiorisce l'artigianato: «si impiegano di più a la­vorare Santuari, cioè corone, croci, modelli del S. Sepolcro e molti sono ar­rivati a fabbricare quello dell'intera chiesa con grande maestria e nobiltà di ornamento, di madreperla, avorio ed altre misture, tirandone molti profitti, vendendo queste opere, comprate anche a caro prezzo e trasmesse in cristia­nità». Nel corso del XVIII secolo, con il cambiamento della politica europea in senso anti-confessionale, si verifica anche un calo nell'affluenza di pellegri­ni in Terra Santa, e con esso anche la diminuzione degli acquirenti dei pro­dotti dell'artigianato locale. Per sopperire a questa crisi economica, i religiosi si improvvisano "agenti di commercio". La loro legislazione così ligia in fatto di amministrazione del denaro, per venire incontro a tale impellenza sociale sembrò concedersi qualche deroga, affermando in un articolo relativo all'uso delle elemosine destinate ai luoghi santi: «si eccettuano i motivi di comperar Santuarij da donarsi per divozione». A tal proposito, il pellegrino livornese Giovanni Mariti (1767) riferisce quanto segue: «i Padri di Terra Santa per aiutare talvolta quei poveri lavoranti, comprano ancor essi quantità grande di detti lavori, de i quali appena fattone sborsare il danaro per l'importare, li fanno benedire in Gerusalemme, nella Chiesa del Santo Sepolcro, e servono poi questi per essere dispensati a i religiosi, e a i Pellegrini, e per mandarli in dono ne i paesi, di cristianità». Interessante, sempre a tale proposito la testi­monianza di Friedrich Hasselquist di Uppsala: «il Procuratore m'ha detto di averne [di santi sepolcri] per il valore di 15mila piastre nel convento di Ge­rusalemme, ciò che sembra quasi incredibile. Si inviano in tutti i paesi catto­lici dell'Europa, ma soprattutto in Spagna e Portogallo. I Turchi ne acquista­no una gran parte per rivenderli. I Religiosi di Gerusalemme li inviano, tutti gli anni, ai benefattori del loro Ordine, che per la riconoscenza spediscono loro dei presenti considerevoli. Non vi è pellegrino che, partendo, non ne acquisti cosicché, come si vede questo commercio è per gli abitanti di Geru­salemme e di Betlemme, quello che è della moscata e della cannella per gli Olandesi». E di questo periodo il modellino della Basilica del Sepolcro che i francescani di Terra Santa donarono agli imperatori d'Austria Maria Teresa, Francesco I e il principe ereditario Giuseppe. L'opera, che rappresenta il pun­to massimo del virtuosismo decorativo, ritrae, oltre a scene bibliche e all'ef­fige dei reali della casa imperiale d'Austria, anche dei santi francescani, tra i quali san Giovanni da Capestrano. Questo però non è il solo segno di ulte­riore conferma della committenza francescana, che viene avallata anche dal­l'inserimento di altri simboli, come il monogramma bernardiniano, l'emble­ma della Custodia a cinque croci, lo stemma francescano delle braccia incro­ciate, e così via. Al signor Contarini Bailo di Venezia, il Custode di Terra Santa, p. Francesco Serino, aveva inviato tramite pellegrini dalla Bosnia un modellino del Santissimo presepio, con la chiesa maggiore di Betlemme «del­le più belle che per anche li fossero uscite dalle mani». La notizia viene tra­mandata dalle Cronache della Custodia di Terra Santa, che riportano anche il nome dell'artigiano, «Giorgio nostro Turcimanno». Nel XIX secolo i fran­cescani presero le distanze dall'attività artigianale intesa nel suo aspetto commerciale, riservandosi però il ruolo di formatori tramite l'istituzione di una scuola di disegno tecnico.

L'aspetto artistico-architettonico del libro è stato presentato dal prof. Lorenzo Bartolini Salimbeni che, dopo aver evidenziato, oltre alla splen­dida veste grafica del volume, il rigore scientifico e l'imponente lavoro di ricerca che ha portato alla schedatura degli oggetti ancora esistenti, ha esami­nato la questione dal punto di vista dello storico dell'architettura. Premesso che non si può non scorgere una affinità fra il magistero delle maestranze palestinesi ispirate e dirette dai frati, che ha prodotto oggetti in alcuni casi di altissima qualità, e l'attività di alcuni laboratori-scuola di ebanisteria, che sempre in ambito francescano — in questo caso cappuccini — nello stesso periodo si specializzavano nella lavorazione dei tabernacoli ed altri arredi devozionali, occorre rilevare che, nel caso dei modellini di Terra Santa, si ha come "una inversione del ruolo" rispetto ai modelli totali o parziali di architettura, usati fino dal Rinascimento come elaborato di progetto. Infatti, questi ultimi erano utilizzati per comunicare al committente e agli esecutori l'idea di un edificio ancora da realizzare; mentre le versioni in miniatura dei Luoghi Santi, oltre ad essere oggetto di commercio, avevano valore di memoria e sostituivano, per cosi dire, la visione diretta degli edifici a chi ne fosse impedito. Se le prime, rozze riproduzioni dei sacri edifici sono note fin dal XIV secolo, è solo a partire dagli ultimi anni del XVI secolo, con gli accurati rilievi eseguiti dal frate Bernardino Amico, che gli artigiani possono realizzare modelli in scala, attendibili fino nei dettagli. Le suggestive tavole di Amico, pubblicate e divulgate nel 1609 ed ancora nel 1620, mostrano gli organismi architettonici in pianta, prospetto e sezione, nonché come "corpi trasparenti", ossia visioni prospettiche ed assonometriche composte solo dalle linee di costruzione: una tecnica, per l'epoca, notevolmente avanzata, che te­stimonia la formazione specialistica dell'autore. I modellini che conosciamo raffigurano dunque i Luoghi Santi, in specie le basiliche del Santo Sepolcro e della Natività, in uno stato che non è né quello originario né quello attuale; hanno quindi, oltre tutto, valore di documento storico. Non si vuole qui riassumere le vicende edilizie durate oltre dieci secoli ed ormai ampiamente ricostruite dagli studi, ma solo accennare ad alcuni spunti che emergono da una riflessione di ordine tipologico. Entrambi questi grandi edifici sono stati concepiti come l'unione di un martyrium o luogo di testimonianza a pianta centrale con un corpo basilicale a più navate riservato ai fedeli. Nella Basilica del Sepolcro era ed è preminente la rotonda àzWAnastasis, che i modellini mostrano sormontata da una singolare copertura tronco-conica, in alcuni casi aperta alla sommità, in altri conclusa con una cupoletta o lanterna. Fra le tante derivazioni in area occidentale, la più prossima sembra essere il Bat­tistero di Pisa, coperto in origine (1153) con una forma conica assai acuta, in seguito modificata. Le trasformazioni subite dall'edificio negli ultimi tempi

- ricordiamo fra le altre l'incendio del 1808 e il successivo restauro — non consentono di avere maggiori dati su questo interessante problema. Nella Chiesa della Natività il primitivo corpo centrico, probabilmente ottagonale -forma di cui è ben nota la connessione con il culto mariano — fu sostituito già in antico da una terminazione più complessa, cruciforme e triconca; non era dunque più visibile all'epoca in cui si cominciò a riprodurre la chiesa nei modellini e nei disegni. Ma l'idea della connessione del corpo centrale con l'aula basilicale, dopo aver originato numerose derivazioni nel tardo Me­dioevo — di cui l'esempio più celebre, ma non il primo in ordine di tempo, è dato dalla Cattedrale fiorentina — è rimasta come suggestione costante nella mente degli architetti, che almeno per altri due secoli si sono esercitati alla ricerca di una soluzione che conciliasse gli aspetti formali e simbolici con quelli funzionali e distributivi. I risultati di questa ricerca sono ben conosciu­ti, ma un accenno anche sommario porterebbe la discussione su temi ormai troppo lontani dall'argomento particolare ed affascinante dell'opera che oggi si intende presentare.

Al termine della presentazione, p. Vincenzo Battaglia ha ringraziato tutti per la presenza, augurandosi che l'auspicio formulato da p. Michele Piccirillo di una riconciliazione tra i popoli del Medio Oriente possa presto realizzarsi. A soli quattro giorni da questo incontro di studio - il 25 ottobre 2008 - p. Michele Piccirillo "ci ha preceduto nel segno della fede e ora dor­me il sonno della pace", e la sua salma riposa nel Santuario del Monte Nebo in Giordania, perché, come fece Mosè in quel luogo, possa contemplare la Terra Santa da lui tanto amata.