Nobile Marco ,
Recensione: ,
in
Antonianum, 73/1 (1998) p. 157-158
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Questo libretto è un «excerptum», tratto dal Grande Lessico del Nuovo Testamento del Kittel, pubblicato dalla stessa Paideia. L'operazione editoriale ha un suo senso, che conferma il valore di un'opera qual'è il GLNT: una raccolta talora di autentiche monografie classiche, oppure un «museo» (nel senso più bello del termine) dei risultati più maturi della ricerca esegetica di questo secolo. Il lemma della fede è una di tali monografie, scritta da due maestri dell'esegesi trascorsa: R. Bultmann e A. Weiser, il quale ultimo ha curato l'aspetto veterotestamentario della questione.
Certo, il libro va letto come un'opera classica, fruendone la profondità teologica, oltre che l'acribia scientifica, piuttosto che come informazione aggiornata sul tema. Il motivo è presto detto. Entrambi gli studiosi, specialmente il Bultmann, sono rappresentativi di un modo di fare esegesi, che ci ha dato appunto dei classici, ma che ormai è superato dai moderni orientamenti critici e dagli attuali risultati esegetici. Forse gli epigoni non raggiungono la statura dei padri, ma ciò nonostante sono altrettanto importanti per la storia dell'esegesi, anzi, dal punto di vista prettamente scientifico, sono più importanti, perché contemporanei allo stato delle ricerche. Quello che invece costituisce il limite dell'operetta in questione. Sia il Weiser che il Bultmann sono testimoni del cosiddetto circolo ermeneutico dell'esegesi. La loro trattazione parte dalla doppia pregiudiziale di tipo scientifico e di tipo teologico, e in base ad essa conduce un'analisi serrata e magistrale, per giungere a confermare i dati acquisiti dall'esegesi dei decenni scorsi. Per il Weiser vale il concetto evolutivo di fede, che egli applica ad Israele, affermando che essa sarebbe stata in un primo momento di tipo collettivo, dopo sarebbe diventata una fede maggiormente individuale. La fede israelitica avrebbe trovato il suo ambiente d'origine nella liturgia del rinnovamento dell'alleanza, punto forte delle teorie del Weiser, e sarebbe stata sempre il portato delle tradizioni più antiche delle tribù, com'è attestato da quanto vogliono accreditare i testi. Il Bultmann, a sua volta, pur presentando un saggio affascinante (oltre che scientificamente condotto), ripropone tutta la sua «filosofia» esistenzialista, di marca heideggeriana e, prima ancora, di fede luterana. Se ne possono vedere così tutti gli aspetti positivi, ma anche quelli che lasciano perplessi o che addirittura vanno abbandonati, come la concezione datata e pericolosa del giudaismo, inteso senza mediazioni critiche, come la religione del formalismo legalista, a fronte della pura fede richiesta al cristiano dall'evento di Cristo. Il godimento spirituale provato nella lettura di alcune pagine, va dunque completato da un sano aggiornamento sulla storia e sulla vera natura del giudaismo, secondo le correnti acquisizioni della scienza.
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