Nobile Marco ,
Recensione: CHRISTOPHER BEGG, Josephus' account ofthe early divided monarchy (AJ 8,212-420). Rewrìting the Bible ,
in
Antonianum, 73/1 (1998) p. 160-162
.
Quello del Begg è un interessante studio che egli da tempo preparava con articoli pubblicati in varie riviste specialistiche internazionali, tra le quali la nostra, e che ha visto finalmente la luce come libro che ne raccoglie le fatiche.
L'indagine si muove nell'ambito di quelle ricerche attorno a quella che viene chiamata «rewritten Bible», cioè la «Bibbia riscritta» e che conta opere come il Libro dei Giubilei, il Testamento dei XII Patriarchi e appunto le Antiquitates Judaicae di Giuseppe Flavio, lo storico ebreo del I sec. d.C. Di quest'opera grandiosa, molto importante per sapere lo stato delle fonti bibliche di quel lontano periodo storico, il B. ha scelto solo la parte che tratta degl'inizi della monarchia divisa in due stati, Israele e Giuda, dall'inizio dello scisma alla morte del re Acab (AJ 212-420). Lo storico ebreo, come richiede il genere della Bibbia riscritta, ha riproposto con parole proprie la storia d'Israele, così com'è stata fissata nei testi biblici, nel nostro caso in 1 Re 12-22 e nel parallelo 2 Cr 10-18.
Per condurre la sua indagine, volta a comprendere il che cosa, il perché e il come della riscrittura di Giuseppe, il B. non esamina solo l'ebraico TM, bensì anche il testo greco dei LXX nella lezione dei codici B (=Vaticano) e L (=Laurenziano); vi aggiunge inoltre un'incursione nell'aramaico Targum di Jonatan e nel Targum delle Cronache. Il senso della ricerca, infatti, sta nel riuscire a capire come in quell'epoca si ri-raccontasse ad un pubblico probabilmente ellenistico la propria storia biblica e sulla base di quali fonti, dato che non è pacifico né che usassero solo il testo ebraico né il TM. Da qui l'accurata e minuziosa analisi del B. su 18 pericopi (in tal numero egli suddivide il materiale flaviano), che articolano la narrazione dello scrittore ebreo. Alla fine di ogni analisi, puntigliosa e documentata, sia per l'uso delle fonti che per l'impiego di letteratura secondaria, il B. appone un sommario, molto utile per chi non voglia annegare in un mare di dati e nelle circonvoluzioni di una disamina serrata, fatta anche a suon di sigle e di cifre.
Il lavoro conduce a quattro tipi di conclusione: 1) Giuseppe segue abbastanza fedelmente la sequenza di 1 Re, senza esitare a riempire gli spazi vuoti con il materiale di 2 Cr: un'opera d'integrazione, quindi, talvolta fatta in modo personale; 2) circa i tipi di testi che egli adopera, si può affermare che si attenga perlopiù alla lezione dei LXX, spesso nella lezione B, contro il TM e L, senza disdegnare però di impiegare un testo ebraico «proto-masoretico»; il modo poi di cambiare certe espressioni, come «profeta» al posto di «uomo di Dio», fa pensare al B. che Giuseppe abbia potuto attingere ai Targum succitati, ricevendone una conferma anche nei futuri Talmud (quest'ultimo genere di argomentazione, in verità, come riconosce lo stesso autore, ci sembra un pò debole); 3) Giuseppe compie la sua opera di ri-scrittura adottando una tecnica che consiste in omissioni, dovute a motivi stilistici o di contenuto, a rimaneggiamenti che sistemano il materiale narrativo in modo diverso rispetto alla fonte, a modificazioni terminologiche, stilistiche e di contenuto ed infine ad aggiunte che lo storico opera per rendere il discorso più fluido e più confacente al pubblico greco. In realtà, come spiega lo stesso B., questi quattro tipi di espedienti spesso coincidono, per cui è difficile distinguere l'uno dall'altro. 4) Il quarto punto porta piuttosto ad una conclusione globale. L'operazione di Giuseppe Flavio è valutata dal B. come positiva e sostanzialmente fedele alla fonte biblica: non si può quindi dire che egli abbia fatto una riscrittura ideologica, anche se voleva accreditare la propria storia nazionale presso un pubblico di gentili. A questo fine, gli è stato sufficiente rimodellare stilisticamente il testo, sostituendo l'ipotassi greca alla paratassi ebraica, eliminando ripetizioni o dati troppo ebraici e inserendo chiarificazioni nella trama originale, talora spezzata o criptica. Certo, l'operazione ha smorzato in qualche modo la vivacità e il fascino dell'ambiguità letteraria dell'af-fabulazione originaria, ma era il prezzo che Giuseppe doveva pagare per trovare accoglienza presso altri gusti che non quello ebraico.
Per quanto attiene al lavoro fatto dal B., bisogna salutarne la pubblicazione, sollecitando sia lui che altri studiosi a proseguirlo, soprattutto per un motivo: la particolare incidenza che esso viene ad avere in un momento nel quale si desidererebbe conoscere meglio il processo precanonico di sviluppo e di trasmissione dei testi biblici, che tradizionalmente vengono concepiti per quell'epoca secondo l'ordine e la forma del punto di vista canonico, cioè quello dell'arrivo, quindi in una prospettiva anacronistica. L'indagine minuziosa del B. incoraggia invece a familiarizzarsi con una situazione testuale complessa e fluida, nella quale si dovrebbe vedere se e fino a qual punto la «ri-scrittura della Bibbia» fosse una libera composizione o si attenesse allo stato di un tipo di testi.
Il presente libro, ben curato anche nell'edizione, che si arricchisce alla fine dell'originale greco, è un buon avvio.
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