Falcone Luigi ,
Auctor respondit:,
in
Antonianum, 80/3 (2005) p.
.
In risposta aduna recensione al volume "Vita, morte e miracoli maravigliasi", del P. Giacomo da Bisignano, apparsa su «Antonianum», LXXVIII (2003), fase. 4, a firma di Marco Paggiossi.
La recensione al volume da me curato Vita, morte e miracoli maravigliasi, del P. Giacomo da Bisignano, recentemente apparsa su «Antonianum», LXXVIII (2003), fase. 4, a firma di Marco Paggiossi, ha suscitato in me non poche perplessità, a tal punto che più volte ho pensato se fosse il caso di dare risposta oppure se fosse stato meglio, secondo il consiglio dantesco, non curarmi di lui ma guardare e passare oltre.
I toni accesi con cui l'autore si è scagliato contro l'edizione del testo, che aveva la semplice aspirazione di far conoscere un interprete poco noto dell'età della Controriforma, mi hanno tuttavia indotto alla prima soluzione.
Se proprio vogliamo discutere di inesattezze o disattenzioni (tali sembrano essere le accuse del Paggiossi quando dice che il sottoscritto "non sembra avere le idee abbastanza chiare su cosa sia un 'archetipo ' e un 'originale "'), è forse il caso che queste categorie vengano applicate anche all'autore della recensione che, probabilmente, non ha letto attentamente o forse non ha compreso bene lo spirito della pubblicazione, che voleva essere ed è essenzialmente una testimonianza di fede da parte dei contemporanei verso la grande e bella figura di un mistico del periodo della Controriforma in Calabria. Infatti, è soprattutto con tale intento che il manoscritto è stato disseppellito dall'oblio dei secoli e reso noto al grande pubblico dei lettori.
II Paggiossi ricorda quanto è detto a p. XVIII a proposito della pubblicazione di Anversa del 1886, relativa alla vicenda storica di Umile da Bisignano e Cado da Sezze. Innanzi tutto si dovrebbe tenere conto del contesto nel quale si colloca la mia espressione: dopo aver ricordato alcune notizie essenziali della vita di fra' Umile, l'evento della sua beatificazione e Vattualità del suo messag gio, ho creduto opportuno soffermarmi rapidamente sui biografi del Santo, e ho fatto riferimento anche alla pubblicazione di Anversa, che ha accomunato i due francescani proprio perché beatificati nello stesso giorno, e durante la stessa
celebrazione liturgica. Altri motivi non se ne ravvedono, se non il fatto che entrambi siano vissuti nel convento di San Francesco a Ripa in Roma, e che abbiano fatto parte della stessa famiglia francescana. Eventuali altre motivazioni, qualora il recensore potesse indicarle, sarebbero certamente benvenute.
Sarei poi curioso di sapere perché il recensore non è d'accordo sull'ipotesi avanzata, secondo cui la vita di P. Giacomo possa essere stata scritta in vista di un Processo diocesano per la beatificazione; se quanto è detto nell'introduzione al testo critico "non è certo provato, come pretende il curatore", dimostri il contrario il recensore, e riceverà sicuramente l'espressione della mia gratitudine. Fatto sta che P. Giacomo scrive nel 1646, nove anni dopo la morte del Servo di Dio; nel 1648, e dunque solo dopo due anni dalla "Vita" di P. Giacomo, viene celebrato un primo Processo diocesano.
Si tratta pur sempre di una ipotesi, in mancanza di una documentazione archivistica coeva più abbondante. Del resto, se Paggiossi avesse letto attentamente quanto riportato a p. XXI, avrebbe avuto modo di comprendere con quanta cautela l'ipotesi veniva avanzata: "che egli scrivesse in vista di un processo di beatificazione, non è certo provato". Tuttavia, non è casuale la celebrazione del Processo diocesano nel 1648 ed il fatto che la "Vita" di P. Giacomo non fu mai data alle stampe, proprio perché probabilmente si trattava di una fase preparatoria all'istruttoria.
A questo punto, è lecito dubitare anche che, visti i giudizi certamente affrettati, il Paggiossi abbia letto attentamente non solo la pagina in questione, ma, addirittura, il testo stesso della "Vita" di P. Giacomo; infatti:
- a p. 81 dell'edizione si comprende chiaramente che siamo in presenza di una raccolta ài fatti miracolosi, quando l'autore riporta: "Altri miraculi: vedi il Misceli. N. 7 et 8, cap. 9";
- a p. 156 si dice: "Maraviglioso avvenimento accademmi a me, fra' Giacomo da Bisignano a dì 30 di giugno dell'anno 1647, giorno della domenica 3 dopo Pentecoste, che essendo stato chiamato in Cosenza dal padre fra ' Antonio della Motta...acciò assieme formassimo processo sopra la vita, morte e miracoli della buona e santa memoria del nostro fra ' Umile da Bisignano... ed andati in casa d'un nobile dottore di detta città di Cosenza, chiamato Giovanne Buonvicino, per ricevere consulta, come dovessimo portarne in formar'il detto processo ...ci certificò che con la sola facoltà del padre reverendissimo nostro Generale non possiamo farlo, stante il Decreto della sacra Congregazione de' Riti, dato sotto li 12 di marzo 1631";
- a p. 158 è scritto: "ci risolsimo di lasciar di formare il processo in Cosenza e venire in Bisignano, dove principiassimo il detto Processo con la delegazione del vicario apostolico, finché venisse la facoltà et altro modo di formar il Processo... Tengo a memoria che dalle 23 ore di detta domenica per sin ali 'ore otto del seguente lunedì stavo tutto sopito et estratto dalle sopra dette cose, ma bensì mi trovavo inverso dentro un abisso di confusione di negotìj del nostro sudetto fra' Umile e con lo quale sempre trattavo, senza che avesse ottenuto risolutione prima come mi dovesse incaminare e dar principio nelle cose, che per lui doveva fare, circa lo epilogatione del suo Processo";
- ed infine, sempre a p. 158: "Atteso che, stando presenti alcuni decreti della felice memoria d'Urbano ottavo, che si devono osservare nella canoniza-tione e beatificatione de' santi, mandati in luce in Roma l'anno 1642, e tutti questi proibivano noi, come allora eravamo risoluti formar il detto processo, et anco l'esperienza ad esso ci lo dimostra, poiché il vicario apostolico Annibale Sillano di questa città ave cominciato a formar il sudetto Processo altrimente di quello, volevo far io assieme con detto padre fra' Antonio in Cosenza, e questo è quanto con giuramento affermo".
Riterrei che ce ne sia più che a sufficienza perché l'osservazione del recensore possa venir contraddetta.
Nella recensione, inoltre, si afferma: "Nulla o quasi nulla è detto del manoscritto". Probabilmente l'autore non ha letto con sufficiente attenzione quanto è scritto alle pp. XX-XXII, dove si riportano, sia pure brevemente, "storia e vicende' del manoscritto.
Avendo indicato il mio lavoro come "testo critico" e non come "edizione critica", penso di aver dimostrato sufficientemente di "avere le idee abbastanza chiare" su cosa sia un "archetipo" e cosa sia un "originale". Ad ogni modo ringrazio per l'osservazione e, nella speranza di facilitare il lettore, provo ad essere più chiaro per chi potrebbe avere qualche difficoltà di comprensione. Quando parlo di "archetipo" mi riferisco ovviamente al testo non più esistente, e che starebbe a monte di quello tuttora custodito presso la Postulazione Generale, che invece definisco manoscritto "originale". Ho anche avanzato l'ipotesi che questo "originale" possa essere una copia sei-settecentesca, per alcune evidenti lacune presenti nel testo. In verità pensavo, evidentemente illudendomi, che il lettore comune - ma non è certo il caso del Paggiossi - potesse cogliere la sottigliezza della mia affermazione, e che parlando di "archetipo" nel senso su precisato non rischiassi di generare confusioni di sorta: siamo, del resto, in presenza di un solo manoscritto che ci ha trasmesso la Vita di P. Giacomo e, dunque, siamo impossibilitati a classificare manoscritti inesistenti in famiglie, secondo le norme della critica testuale, tali da poter risalire all'archetipo, quello vero.
"Il manoscritto così come si presenta oggi", è dunque quello che io definisco "originale", quello che invece ho chiamato "originale perduto", di cui il testo in nostro possesso è "copia" (p. XXI), è quello stesso che altrove ho chiamato "archetipo", tenendo conto ovviamente delle precisazioni sopra riportate.
Circa il riferimento ai puntini che, nella mia ricostruzione, indicano una evidente lacuna o una incomprensione del testo da parte del copista, si veda la nota n. 14 a p. 36, dove chiaramente si dice che la lacuna fa supporre "che il testo sia stato copiato da un manoscritto originale scomparso"; da qui anche l'introduzione delle parentesi quadre che integrano la parola mancante, ma solo per supposizione, non avendo altri manoscritti che riportino la "Vita" di P. Giacomo.
Discutibile, a mio modesto parere, è anche il giudizio formulato dal recensore sulla "punteggiatura introdotta liberamente dal curatore". Essa, infatti, qualora fosse stata riportata fedelmente al manoscritto, non avrebbe aiutato affatto il lettore nella comprensione del testo. Sono costretto, dunque, a ribadire -cosa che credevo sufficientemente esplicato a p. XXV dell'Introduzione - che è stata introdotta soltanto una minima punteggiatura, cercando di mantenere, fin dove è stato possibile, quella originale, che è stata, quindi, solo normalizzata e resa maggiormente attuale; del resto, non avendo certamente avuto occasione di visionare il manoscritto (lo si desume chiaramente da questa e da altre affermazioni), mi chiedo come il recensore abbia potuto rilevare tale imperfezione.
Altra osservazione mi viene mossa per non avere introdotto "uno straccio, non si dice di commento, ma di elementare spiegazione" riguardo ai "non pochi termini rari taluni praticamente sconosciuti che si incontrano nel testo, gli usi e tradizioni locali". A parte l'ineleganza dell'espressione, in nota, come si può osservare, ed in maniera sobria, ovviamente per non appesantire il testo, si è data spiegazione di ogni elemento particolare. La maggior parte dei termini, del resto, pur essendo talvolta rari o poco conosciuti, sono tuttavia decisamente comprensibili ai più. Ho, piuttosto, cercato di chiarire i riferimenti a fatti o persone ricordati nell'opera. Scopo del lavoro era quello di portare a conoscenza di un pubblico più vasto la "narrazione agiografica" e non le questioni linguistiche che, chi vuole, può approfondire e studiare in altra sede.
Con l'augurio che queste brevi precisazioni possano in qualche modo aver fugato tutti i dubbi del recensore - alcuni dei quali, mi sia consentito dire, e-spressi con arroganza dilettantistica e superficialità eccessive - nella correttezza professionale e nella buona educazione che dovrebbero essere compagne ad ogni valido studioso che voglia dirsi tale, lo saluto e lo ringrazio.
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