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Revista Antonianum
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Foto Fiorentino Francesco , Recensione: R. CROSS, John Duns Scot on God, in Antonianum, 81/3 (2006) p. 565-567 .

Forte delle sue brillanti pubblicazioni scotiste, Richard Cross dà alle stampe un nuovo volume sulla concezione che Giovanni Duns Scoto ha di Dio.

Come spiega acutamente l'autore nell'introduzione, tale concezione intende Dio come prima causa (assolutamente incondizionata, incausata e causante) e viene esaminata in due parti distinte, a cui segue un'appendice sul linguaggio religioso e sull'ineffabilità di Dio.

Le due parti sono simili e si completano l'una con l'altra; ma differiscono leggermente, in quanto esse hanno una diversa valenza sia tematica che epistemica. Dal lato tematico, esse trattano rispettivamente dell'esistenza e natura dell'unico Dio e della Trinità delle persone. Dal lato epistemico, le due parti investigano il campo della metafisica e quello della teologia rispetto al problema di Dio.

La metafisica ha per oggetto l'ens in quantum ens (con le sue proprietà trascendentali, semplici e disgiunte) e mira a mostrare che l'in-finità assolutamente in-finita di grado in-finito, ossia Dio esiste. Invece, la teologia ha per oggetto Dio o la rivelazione e mira a mostrare l'essenza trinitaria di Dio. Ma sia la metafisica che la teologia, pur non seguendo il perfetto ideale aristotelico della scienza dimostrativa e deduttiva, formulano argomentazioni persuasive, basate sulle relazioni di causazione.

La prima parte si apre con l'esame della nozione scotiana di causazione (cap. 1) e con l'applicazione di tale nozione alla prova della prima causa (cap. 2). Dato um insieme di cause, essenzialmente ordinate (in cui la causa inferiore dipende dalla causa superiore sia nell'essere che nel causare), non si può risalire all'infinito nella successione delle cause o ammettere un circolo di cause, ma occorre giungere ad una causa prima, che non é causa sui nec ab alio, ma che causa aliud a se secondo i quattro tipi di cause aristoteliche. Si ottiene il Dio, efficiens et ineffettuabilis, finalis et infinabilis, materialis et immateriabilis, formalis et informabilis.

Il capitolo 3 esplora la coloratio scotiana dell'una ratio di Anselmo (coloratio che nella filosofia moderna passerà come 'argomento ontologico' e avrà grande importanza fino alla scolastica tedesca).

La considerazione di Dio come ens perfectum, plenitudo realitatum, si combina con l'argomento del melius, per cui é meglio possedere che essere privati di ogni perfectio (intesa come attributo divino al grado più intenso). Questa combinazione consente la deduzione di tutte le perfectiones divine, compresa l'esistenza come correlato ontologico, non ripugnante, della natura più intensa. 

I capitoli 4-8 indagano le strategie alternative, che Scoto mette in gioco per mostrare l'esistenza della causa prima. Se la contingenza esiste come per-se-notum nel mondo empirico, deve esistere anche la libertà di Dio. Si pensi alla teoria dei quattro istanti metafisici secundum naturam.

Ab aeterno, Dio nel secondo istante, pensa con il suo intelletto e - nel terzo istante - sceglie con la sua volontà tra indefiniti scenari incompossibili, creando il mondo attuale. La primigenia scelta di Dio contrassegna il mondo di un duplice carattere, contingente - per la libertà della scelta - e necessario - per l'onnipotenza e l'inimpedibilità della scelta. Perciò, come conclude Cross, Dio ha un intelletto (cap. 4).

Se Dio è prima causa di tutto, la sua conoscenza deve essere infinita ed Egli stesso deve essere infinito (cap. 5). L'ente infinitamente perfetto deve essere assolutamente semplice (cap. 6). Tale semplicità non ripugna alla presenza delle relazioni intradivine; ad esse Scoto assegna una distinzione più che razionale, ossia quella formale, diversamente dai teologi a lui contemporanei. L'infinità comporta l'unicità di Dio (cap. 7). La semplicità implica l'immutabilità di Dio (cap. 8).

A partire dal grado di probabilità della dottrina (cap. 9), la seconda parte espone le prove (cap. 9-10). In quanto agente intellettivo e volitivo, Dio deve avere almeno due produzioni interne rispetto agli atti di conoscenza e di amore (cap. 10). Le due produzioni sono prodotte da un unico ente, che produce e non é prodotto (cap. 11). Questo produttore non produce se stesso, ma cose formalmente distinte da sè, le persone (cap. 12). Ciascuna delle tre persone é Dio (cap. 13). Ciascuna persona divina include due componenti, ossia la natura divina e una proprietà personale in quanto relazione causale, con la quale ogni persona si distingue dall'altra. A dispetto dell'argomento del Filioque, il Figlio e lo Spirito Santo si distinguono reciprocamente per la relazione che ciascuno ha con il Padre. Questa relazione é differente in specie da ogni altra (cap. 14). A vantaggio dell'argomento del Filioque, se il Figlio possiede l'essenza divina prima della produzione dello Spirito, il Figlio, con il Padre, é dotato di un potere, sufficiente alla produzione dello Spirito (cap. 15). Se tutte le persone divine hanno intelletto e volontà, esse godono di una vita cosciente e - come l'essenza - sono pienamente reali (cap. 16). La distinctio formalis delle persone si armonizza perfettamente con la semplicità dell'essenza divina (cap. 17). L'ultimo capitolo discute il subordinazionismo, suggerito dal trattamento causale.

Così, appare leggittimo affermare che Scoto riesce a disegnare la figura del Dio assolutamente libero ed imprescrutabile, onnisciente ed onnipotente, personale e tripersonale, infinitamente eccedente e perfetto, a cui nessuna perfezione può mancare, così ontologicamente intenso da non poter essere senza esistere, fine ultimo di ogni atto umano, amore sovrabbondante, che orienta la prassi dell'uomo.

Scoto media tra Aristotele ed Agostino; dialoga soprattutto con Tommaso d'Aquino, Enrico di Gand, Goffredo di Fontaines; riceve parecchie critiche fin dal tempo del suo insegnamento parigino, in ambito teologico, anche tra gli stessi Minori, sia a Parigi che ad Oxford; viene difeso dalla prima generazione di scotisti, ossia a Parigi da Francesco di Meyronnes, Princeps Scotistarum, ed ad Oxford da Giovanni di Reading, Defensor Scoti.


 
 
 
 
 
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