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Rivista Antonianum
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Foto Messa Pietro , I Protomartiri Francescani e Chiara d’Assisi tra storia e agiografia, Incontro di studio, Terni 14 gennaio 2012, in Antonianum, 87/2 (2012) p. 403-409 .

Presso il monastero SS. Annunziata delle clarisse di Terni, sabato 14 gennaio 2012 si è svolto un incontro di studio dal tema I Protomartiri Francescani e Chiara d’Assisi tra storia e agiografia. Tale iniziativa, organizzata dal medesimo

Monastero in collaborazione con la Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma e l’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della Diocesi di Terni-Narni-Amelia, si pone all’interno delle celebrazioni dell’Anno Clariano che ricorda l’VIII Centenario da quando Chiara d’Assisi lasciò la propria casa per vivere il Vangelo sull’esempio di Frate Francesco, dando inizio a quella forma di vita che diverrà l’ordine delle Clarisse.

Il tema dell’incontro è stato illustrato dal Prof. Marco Guida. Innanzitutto egli ha esposto le fonti che espressamente parlano del desiderio del martirio inSanta Chiara, e precisamente dal Processo di canonizzazione la testimonianza di “sora Cecilia de messere Gualtieri Cacciaguerra da Spello” (Test. VI,6):

Anche disse che la preditta madonna Chiara era in tanto fervore de spirito, che volentieri voleva sostenere el martirio per amore del Signore: e questo lo dimostrò quando, avendo inteso che nel Marocco erano stati martirizzati certi frati, essa diceva che ce voleva andare. Onde per questo essa testimonia pianse: e questo fu prima che così se infermasse. Adomandata chi era stato presente a questo, respose che quelle che furono presenti, erano morte.

La testimonianza di “sora Balvina de messere Martino da Coccorano” (Test. VII,2):

Imperò che essa madonna stette vergine da la sua natività; intra le sore essa era la più umile de tutte et aveva tanto fervore de spirito, che volentieri, per lo amore de Dio, averia portato el martirio per la defensione de la fede e de l’Ordine suo. E prima che essa se infermasse, desiderava de andare alle parti del Marocco, dove se diceva che erano menati li frati al martirio. Adomandata come sapesse le dette cose, respose che essa testimonia stette con essa per tutto lo preditto tempo, e vedeva et udiva lo amore de la fede e de l’Ordine che aveva la preditta madonna.

La testimonianza di “sora Beatrice de messere Favarone de Assisi” (Test. XII, 6), ossia la sorella di Chiara, entrata nella comunità di San Damiano nel 1229, nove anni dopo la morte dei frati in Marocco, i quali non vengono ricordati, mentre è menzionato unicamente il desiderio di martirio:

[…] Adomandata in che era la santità de essa madonna Chiara, respose: che era nella verginità, nella umiltà, nella pazienzia e benignità, nella correzione necessaria, nelle dolci ammonizioni alle sore, nella assiduità della orazione e contemplazione, nella astinenza e degiuni, nelle asperità del letto e del vestire, nel desprezzo de sé medesima, nel fervore de lo amore de Dio, nel desiderio del martirio; e massimamente nello amore del Privilegio di povertà.

Di seguito Guida rinvia alla Vita et Leggenda scritta da suor Battista Alfani:

Non·volse mai perdonare al·corpo suo, ma tanta fu austerità della vita sua et tanta la stretteçça in vestire e mangiare, che le·suore molto si maravigliavano come epsa potessi vivere di·sì poco cibo. Fu ancho questa benedetta madre di maravigliosa patientia e constantia nelle tribulatione. Et sempre dispreççava se medesima, faccendosi più vile et inferiore di tutte; et tanto era acciesa nel fervore dell·amore d·Iddio, che con·grande affetto desiderava sostenere el martirio per·amore del Signiore.

Anche sappiendo el sancto padre Francesco chome quelle sancte donne di Sancto Damiano dal principio della loro conversione sempre havevano tenuto molta stretta povertà di vita, et così sequitavano, et per questo epso sempre inverso di·loro si moveva ad pietà e compassione; onde in quelle parole di admunitione che·mandò loro per·gli suoi compagni le exortava e preghava con paternale affetto, che si come el Signiore di molte parte del mondo l·aveva conghreghate in n·uno a la·sancta povertà e hobedientia, così in observantia di epse dovessino sempre vivere e morire. Et spetialmente le admuniva che di·quelle elemosine, le·quale dava loro el Signiore, con allegreçça e rendimento di gratie volessino discretamente provedere alli corpi loro. Et maximamente exortava e confortava quelle le·quale erano sane, ap·portare volentieri le fatiche per·le loro sorelle inferme, et quelle suore che sono inferme nelle loro infermità per·amore del Signiore si studino patientemente portarle. Ma la suora posta in qualche nesciessità, humilmente chiegha el bisognio suo alla sua sorella e alla sua prelata per l·amore d·Iddio, et se·non·gli sarà dato quello che domanda, porti patientemente per·amore del suo Signiore; el quale in quanto alla sua humanità portò et sostenne molte nesciessità, et cierchò chi el·consolassi e nonl·lo trovò. Et sappi che questa neciessità gli·sarà reputata dal Signiore per martirio; inperò che havendo lei fatto quello che al·lei s·apartiene, ciò è domandato humilmente la sua neciessità, è excusata poi dal pecchato, sebene per questo el·corpo gravemente si infermassi. Et anche questa sanctissima vergine Chiara, ad·exempro del suo padre, sancto Francesco, fu perfetta çelatricie et amatricie della sancta povertà, la quale sempre con·gran diligientia observò et con·exenpli et dottrina con·ogni efficacia al·lei possibile lasciò e racchomandò doversi sempre observare da tutte quelle le·quali per·gli tempi advenire la vorrano sequitare.

Pervenendo adunque la sanctissima vergine Chiara all’extremo della vita corporale stette più dì in·transito, nelli quali sopra modo adcrebbe la fede e devotione delle gienti: et molti signiori chardinali e altri degni prelati la visitavano spesso, honorandola ciasquno di·loro come persona molto degnia e veramente sancta. Ma quello che è cosa mirabile pure a·udire è questo: che con ciò sia cosa che per diciassette dì continui stette che non potette mai pigliare né ghustare alquno cibo materiale, niente dimeno di tanta forteçça e vighore fu dal Signiore fortificata, che tutti quelli che venivono ad lei gli confortava nel servitio di Dio.

Onde el benignio huomo frate Rainaldo confortandola ad patientia in così lungho martirio di tante varie e grave infermità, epsa con·libera voce rispendendo gli dixe: Da·poi che io cogniobbi la gratia del mio Signiore Yesu Cristo per·el suo servo Francesco mio padre sanctissimo, nessuna pena mi è stata mai molesta, nessuna penitentia grave, nessuna infermità, fratello mio carissimo, m·è stata dura.

Infine rinvia alla Legenda sanctae Clarae virginis di Tommaso da Celano, in cui parlando De finali transitu eius et de his quae in eo visa vel acta sunt, afferma:

Videtur tandem in extremis plurimis laborare diebus, quibus fides gentium et devotio populorum excrescit; cardinalium quoque et praelatorum visitatione frequenti, ut vere sancta, cotidie honoratur. Quod vero est auditu mirabile: cum decem et septem diebus nullum cibum sumere posset, tanta est a Dominom fortitudine vigorata, ut omnes ad se venientes, in Christi servitio confortaret.

Nam cum vir benignus, frater Rainaldus in tantarum infirmitatum longo martyrio eam ad patientiam hortaretur, liberrima ei voce respondit: Postquam Domini mei Iesu Christi gratiam per illum servum suum sanctum Franciscum agnovi, nulla poena molesta, nulla paenitentia gravis, nulla mihi, frater carissime, infirmitas dura fuit.

Posti questi rimandi alle fonti che espressamente menzionano il martirio in merito alla vicenda di Chiara d’Assisi, Guida passa ad alcune considerazioni in merito, rinviando anzitutto all’esperienza di frate Francesco: «Mi sembra che sia importante, per comprendere il desiderio di martirio di Chiara, tenere presente l’esperienza di Francesco. Le sorelle al Processo di canonizzazione affermano che tale desiderio emerge in Chiara quando riceve la notizia del martirio dei primi frati in Marocco: è il 1220. Francesco aveva cercato più volte di recarsi in terre lontane in cerca del martirio Si era poi recato in Terra Santa nel 1219, ma ritorna sano e salvo ed è in un certo senso “costretto” a “ricomprendere” questa dimensione in modo molto diverso: il suo vero “martirio” (non va dimenticata la radice della parola greca: “testimonianza”!) sarà la guida faticosa dell’Ordine, il dover rinunciare al suo modo di comprendere la volontà del Signore sul cammino della fraternitas, il dover accettare di scrivere una nuova Regola… Sembra che più volte nel percorso di Francesco il Signore provveda a distoglierlo dal desiderio del martirio in senso stretto per condurlo su una via differente. Ma l’esito finale non cambia: la piena conformazione a Cristo crocifisso viene sigillata con il dono delle stimmate! Forse occorre anche tenere presente quanto Francesco afferma nell’Ammonizione VI (FF 155): “È grande vergogna per noi, servi di Dio, che i santi hanno compiuto le opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il solo raccontarle”. O, ancora, nella Cronaca di Giordano da Giano (n. 8), proprio in merito ai martiri del Marocco:

“Ognuno si glori del proprio martirio e non di quello degli altri”. Chiara non può essere rimasta estranea a questo vissuto di Francesco. Che cosa si saranno detti, che cosa le avrà raccontato Francesco dei suoi tentativi di partenza, del suo viaggio oltremare, della diversa volontà del Signore? È proprio nel 1220 che pure per Chiara emerge forte il desiderio di partire e di consegnare anche materialmente la sua vita al Signore. Forse proprio mentre Francesco era assente lei matura questa sensibilità.

Ciò andrebbe ancora una volta a confermare il ruolo centrale di Francesco quale “guida” e testimone per Chiara…».

Passando direttamente alla vicenda di Chiara d’Assisi, il Prof. Marco Guida sostiene che quello del martirio è «un desiderio che cresce e si trasforma nel tempo... Nelle prime due testimonianze – Cecilia e Balvina sono due compagne della “prima ora”, rispettivamente accanto a Chiara in monastero da circa 40 e 36 anni – delle sorelle al Processo di canonizzazione sembra emergere uno slancio un po’ ingenuo, sbarazzino, avventuriero. Forse Chiara ha in mente mamma Ortolana, che aveva osato oltrepassare il mare per andare in Terra Santa e non le pareva poi così impossibile partire per terre lontane! O forse davvero non ha ancora molto chiaro cosa il Signore andava disegnando lungo il cammino delle prime sorelle, ed ogni input poteva essere uno stimolo importante, sulla scia di Francesco. Ma poi qualcosa cambia. Beatrice, che entra a San Damiano nel 1229 (quindi è già morto anche Francesco!), pone il desiderio del martirio di Chiara all’interno del lungo elenco delle sue virtù di santità, non cita più i protomartiri dell’Ordine, ma ha comunque ben presente che questa dimensione per Chiara era molto importante, tanto da non tralasciarla nella sua testimonianza. Forse poteva anche solo averne sentito parlare dalle altre… ma sta di fatto che c’è, e, se ne parla nel 1253, vuol dire che non se ne è affatto sbiadita la memoria!».

Traendo delle riflessioni, che rimangono come punti da sviluppare, Guida conclude: «A me pare, ancora rileggendo tutti i testi qua sopra un po’ in parallelo, e tenendo conto del costante intreccio con il vissuto di Francesco, che per Chiara il desiderio del martirio, si sia andato dispiegando e maturando almeno in tre direzioni, dopo quel primo slancio giovanile:

1. Nella vita fraterna. Già nella testimonianza di Beatrice, questa dimensione viene citata insieme ad altre virtù di Chiara, che riguardano soprattutto il mondo delle relazioni fraterne e del servizio di Chiara come madre della comunità…

Se pensiamo poi agli Scritti, si può percepire spesso come per Chiara la più alta testimonianza di amore per il Signore si vada declinando nell’amore fattivo per e tra le sorelle. Anche la dimensione della perseveranza rappresenta secondo me una forma di “martirio quotidiano” (cf. soprattutto la parte finale del Testamento). È l’amore vissuto con fedeltà che si fa martirio, non lo slancio generoso di un momento! Mi sembra questo il passaggio che avviene sempre più profondamente in lei. Sempre in questa direzione penso si possano rileggere i ripetuti inviti ad Agnese di Boemia a non recedere dal cammino intrapreso con coraggio: Chiara diventa una testimone capace di “trascinare” nella sua esperienza anche una sorella che abita a migliaia di chilometri di distanza!

Interessante la ri-lettura dell’Alfani circa il fatto che non ottenere qualcosa che si è chiesta e di cui si ha bisogno sia una forma di martirio.

2. Nella malattia. Se è vero che Tommaso da Celano non usa “a caso” le parole, forse non è davvero fortuito che la parola “martirio” compaia una sola volta in tutto il testo della Legenda di Chiara, e venga messa sulla bocca di un personaggio tanto importante come è il cardinal Rainaldo. È lui che, visitando Chiara ormai prossima alla morte, vede in lei l’esperienza del martirio (cioè, se ancora stiamo alla radice della parola, la testimonianza estrema!). Non è più Chiara a parlarne, come poteva aver fatto da giovane, raccontando i suoi “sogni” alle sorelle o a Francesco, ma sono gli altri a “vedere” realizzata in lei concretamente l’esperienza del martirio. In fondo si compie qui per Chiara la stessa conformazione a Cristo crocifisso che aveva vissuto Francesco. La sua infermità “conferma” in un certo senso la scelta del “non fare” per “poter essere”… Chiara, che da inferma non può più “fare” nulla, arriva ad “essere” in pienezza…

3. Nel rapporto con la Chiesa che è madre e con l’Ordine dopo la morte di Francesco.

Chiara “lotta” per tutta la vita per “dare testimonianza” alla Chiesa stessa della sua speciale chiamata. Mi sembra proprio un martirio, nel senso che deve continuamente restare fedele, con grande determinazione, a quanto il Signore le chiede, senza paura di contrapporsi in qualche momento anche alla Chiesa che pure accoglie sempre come madre. Anche nei confronti del Primo Ordine Chiara resta una grandissima testimone, anche se forse non sappiamo davvero bene come siano andate le cose… Ma se un gruppo di frati si stringe attorno a lei dopo la morte di Francesco per poter continuare ad attingere “alla fonte”, ci sarà ben un motivo …».

Quanto Marco Guida ha espresso nella sua relazione apre scenari innovativi nella ricerca inerente alla vicenda e spiritualità di Chiara d’Assisi e c’è solo da augurarsi di veder presto un suo studio in merito.

A seguire il Dottor Giuseppe Cassio ha illustrato la Iconografia di santa Chiara nell’Umbria meridionale; collegandosi al tema del martirio, egli ha ricordato che «alcune immagini umbre che ritraggono la “Povera di San Damiano” con l’attributo della palma sono rintracciabili nelle vele della Basilica di Santa Chiara in Assisi (ante 1334) e nella pala attribuita a Palmerino di Guido, dove addirittura sia Chiara che Agnese recano la palma in segno devozionale nei confronti della comune martire prediletta romana. Santa Chiara con la palma si trova anche nella predella della pala di Fiorenzo di Lorenzo presso la Galleria Nazionale dell’Umbria (1500 ca.) e nel coro ligneo della Basilica Superiore di San Francesco, prodotto dallo straordinario talento di Domenico

Indivini (1501). In quest’ultimo troviamo raffigurati i Protomartiri, chi nell’atto di leggere, chi nell’atto di pregare, ma solo Sant’Accursio esibisce un sottile ramoscello di palma, che è il segno simbolico proprio di Santa Chiara nello stesso contesto». Dopo aver illustrato le diverse immagini della Santa presenti sul territorio, il Dott. Cassio ha concluso «con un’immagine tratta dalle Icones Sanctae Clarae di Enrico Sedulius, riproposte nel 1989 dall’illuminato padre Servus Gieben. Si tratta della tav. 31, relativa ai miracoli compiuti da Chiara sulla sua tomba, dove “gli ossessi sono liberati, e sono sanati i pazzi furiosi, gli epilettici, gli zoppi, i ciechi, i rattrappiti e altri affetti da altre malattie”. Mi piace immaginare tra costoro anche Giacomello, il cieco costretto da anni a camminare con una guida. La Legenda Sanctae Clarae Virginis riporta che mentre una notte dormiva presso il ponte di Narni, gli apparve in sogno una

Donna, che gli disse: “Giacomello, perché non vieni da me ad Assisi, e sarai liberato?”. Alzatosi, al mattino racconta tremante ad altri due ciechi la visione.

Gli rispondono: “Abbiamo sentito che ad Assisi è morta da poco una Donna, e si dice che la mano del Signore onori il suo sepolcro con grazie di guarigioni e molti miracoli”. Sentito questo, si affretta senza indugio a mettersi in viaggio; e la notte, ospitato vicino a Spoleto, ha di nuovo la medesima visione. Ancora più in fretta allora, come volando, si dà a correre per amore della vista. Ma, giunto ad Assisi, trova così grande folla assembrata davanti al mausoleo della vergine, che non può assolutamente entrare fino alla tomba. Si mette una pietra sotto il capo e con grande fede, ma addolorato per non essere riuscito ad entrare, si addormenta davanti alla porta. Ed ecco che, per la terza volta, la voce gli dice:

“Ti benedirà il Signore, Giacomo, se riuscirai ad entrare!”. Svegliandosi supplica perciò con lacrime la folla, gridando e raddoppiando le invocazioni, che per amore di Dio gli lascino il passaggio. Ottenutolo, getta via le calzature, si spoglia delle vesti, si cinge il collo con una correggia e così, toccando con umiltà il sepolcro, si addormenta di un sonno leggero. “Alzati – gli dice la beata Chiara – alzati, che sei liberato!”. Subito alzatosi in piedi, scossa ogni cecità, dissipata ogni caligine dagli occhi, mentre chiaramente per intervento di Chiara vede la chiarità della luce, lodando Dio rende gloria ed invita tutta la gente a benedire Dio per la meraviglia di così grande portento.


 
 
 
 
 
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