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Foto Oviedo Lluis , Recensione: Kevin S. Seybold, Explorations in Neuroscience, Psychology and Religion, in Antonianum, 84/1 (2009) p. 163-166 .

Il libro di Kevin S. Seybold e – come esprime il suo titolo – un insieme di “esplorazioni” nei nuovi scenari aperti da scienze emergenti, quali la neurologia e gli studi cognitivi. La maggior parte del libro e un sommario informativo sui nuovi approcci e sui risultati attinenti per il dialogo tra scienza e religione.

Nella prima meta del libro, l’autore introduce i lettori nello sviluppo delle nuove discipline e la loro incidenza sulla religione. Questi capitoli sono molto istruttivi per chiarificare il campo. La presentazione e raggruppata nei titoli: Neuroscienza, Psicologia, Religione, e Filosofia della Scienza. L’autore ripercorre lo sviluppo in queste aree per mostrare il costante progresso delle idee e dei paradigmi. Nella sua opinione dovremmo osservare le dinamiche che presiedono sia alla filosofia della scienza che alla religione, che aprono nuove porte e offrono delle opportunità nuove relative ai due ambiti.

In un modo più specifico, il quinto capitolo confronta i “Problemi di integrazione”. Dopo una breve ricostruzione della agitata storia della relazione tra scienza e religione, Seybold punta a una nuova divisione del lavoro, conseguenza dell’accettazione del luogo specifico di ogni disciplina e della relazione tra di loro. Il capitolo include un riassunto della nota tipologia di Barbour. L’Autore presenta gli approcci positivi di John Haught, che prova a connettere la visione darwiniana a una teologia più conseguente della creazione; e Alister McGrath, col suo tentativo di costruire una teologia scientifica in grado di prendere in considerazione i contributi di scienza.

I prossimi capitoli offrono un sommario dei problemi concreti nelle presenti discussioni tra scienza e religione. “Cervello e religione” pone la prima sfida. Seybold offre un panorama del funzionamento del sistema nervoso, il nostro modo di percepire il mondo e la complessa relazione tra cognizione ed emozione. Il ruolo delle emozioni nell’esperienza religiosa viene accentuato, e autori classici e nuovi, come W. James e Pyysiainen, sono riportati a testimonianza del ruolo delle emozioni come contesto e prodotto della percezione religiosa.

Un paragrafo in questo capitolo e dedicato alla Neurotheology. Persinger è la scelta ovvia per cominciare. Altri studiosi hanno tentato questo percorso per collegare la religione e le strutture e funzioni del cervello. R. Joseph localizza la religione nel sistema limbico, collegata ad altre funzioni di quell’area: la sessualità e l’ira. Questo collegamento spiegherebbe il rapporto di forme religiose e tendenze alla violenza e alla sessualità, la paura e il potere. Comunque, questo centro neurologico religioso può svilupparsi per coinvolgere altre aree del cervello, per assumere una posizione più positiva nel gestire il “mondo spirituale”. Un approccio diverso e offerto da C. Albright e J. Ashbrook, che tentano di andare oltre il modello riduttivo, verso un modello più olistico, dove l’esperienza religiosa coinvolge tutto il cervello, e può essere riferito alle tre aree che lo distinguono (rettile, mammifero, e neocortex). P. McNamara riferisce piuttosto la religione all’area del cortex prefrontale, zona della funzione cognitiva ed esecutiva. Il collegamento punta a certe caratteristiche della religione: “elaborazione emotiva, comportamento pro-sociale, l’empatia e auto-coscienza” (82). Un particolare ruolo e attribuito alla “teoria della mente”, in linea con altri ricercatori: tale abilita cognitiva contribuisce decisamente allo sviluppo di un “concetto di Dio”. Un ulteriore nome da aggiungere a questo elenco e A. Damasio, e la sua teoria di “marcatori somatici”, un meccanismo che collega emozioni e cognizione, a modo di feedback positivo o negativo che guida le ulteriori decisioni. “Le credenze religiose, atteggiamenti e pratiche sono parte di questo sistema di marcatori somatici, e sono adattativi in senso evoluzionista perche offrono dei mezzi per valutare situazioni e prendere decisioni” (83). Gli esperimenti di Newberg e d’Aquili chiudono l’elenco. L’autore ricorda dei punti critici che riguardano tale approccio e le loro qual volta troppo affrettate conclusioni. La relazione tra stati soggettivi e reazioni neuronali appare come la questione piu difficile.

Il carattere innato della spiritualità attira pure l’attenzione di Seybold.

Alcuni autori hanno puntato a questa caratteristica istintivamente umana, come A. Hardy, D. Hay, e il piu notorio, D. Hamer, autore del libro The God Gene. Diversi approcci mostrano delle tendenze innate nel comportamento religioso: studi genetici e su gemelli sono i piu noti. Anche se l’evidenza non è grande, questi risultati suscitano domande interessanti su tale tesi. Due risposte vengono alla mente: l’adattativa, cioè, la religione è un meccanismo per affrontare l’angoscia collegata alla consapevolezza della morte; e la teologica, che spiega come quella tendenza innata corrisponderebbe a un’abilità umana di comunicare con Dio.

L’ultimo paragrafo pone la domanda: “E Dio nel cervello?”, che suggerisce l’idea di un “punto o zona divina” (God spot). L’autore offre una risposta convincente: l’esperienza religiosa non può essere un’esperienza “al di fuori” del cervello, per quanto si tratta dell’organo che media la nostra esperienza della realtà in tutti i suoi aspetti. Comunque questo fatto non riduce quelle esperienze ai suoi substrati neuronali; piuttosto punta a una struttura duplice: neurologica, e cosciente o di senso. La spiegazione a livello neurologico non rende inutile la seconda.

L’altro aspetto centrale dell’interfaccia tra neuroscienze e teologia e il io o l’identità personale, insieme al problema spinoso del dualismo, o, in altre parole, il concetto di anima. Seybold presenta questo capitolo con dei casi clinici che mettono in dubbio le idee tradizionali. Nella sua opinione certe idee alternative dovrebbero essere aggiunte al dualismo classico, e lo studio del collegamento tra mente e corpo offre buone opportunità in merito. Il cosiddetto“fisicalismo non riduttivo” sembra un modo promettente di trattare il problema, evitando nello stesso tempo i pericoli del dualismo e del monismo riduttivo. Applicando visioni sviluppate da N. Murphy e W. Brown, l’Autore punta all’incremento della complessità in processi mentali, come la memoria, il linguaggio, e la “teoria della mente”. Tutti questi elementi suscitano l’emergere di un livello superiore, o di proprietà che potrebbero essere identificate con l’anima. Studi neurologici (Damasio) aiutano a capire meglio il ruolo che regola la mente o il io personale. Ciononostante, la ricerca su persone con funzioni cerebrali danneggiate, come nel caso della malattia di Alzheimer, e schizofrenia, mostra la complessità della percezione di se stessi, e come questi danni danno luogo a forme diminuite di auto-consapevolezza e di altre funzioni.

L’ultimo paragrafo in questo capitolo rivelatore tenta di mostrare le implicazioni per la fede cristiana di tutti quei sviluppi. Il fisicalismo appare come la sfida principale per le chiese, nel ridurre la portata della missione cristiana.

Preoccupazione speciale emerge circa credenze sulla vita ultraterrena,quando si cerca di affrontare posizioni più moniste. Seybold punta piuttosto a una risposta teologica oltre i limiti della scienza e la filosofia.

Gli ultimi due capitoli tematici trattano della Psicologia Evolutiva, e gli effetti della religione sulla salute. Entrambi costituiscono campi che incidono sulla visione religiosa, e qualche volta le loro conseguenze sfidano la dottrina cristiana, ma in altri casi aiutano a rinnovare la nostra conoscenza tradizionale di temi dottrinali. La dimensione terapeutica della religione e stata sottolineata ripetutamente negli ultimi anni dagli studi sulla capacità religiosa di affrontare crisi e stress (religious coping). Seybold sottolinea le dimensioni salutari del perdono e i suoi meccanismi neuropsicologici (133).

Il capitolo conclusivo risponde domande sul futuro dell’umanità, morali, e prospetta un incontro positivo tra neuroscienze e teologia, dopo riconoscere la caratteristica della realtà come pluri-livellata (multilevel), una percezione che esige approcci decisi di collaborazione.

Il libro e un’introduzione eccellente ai problemi principali coinvolti nella relazione tra scienze cognitive e religione. La mia unica critica e che l’Autore poteva dedicare più spazio ai problemi specifici neurologici, quelli che sembrarono più centrali al suo progetto (giudicando almeno dal titolo).

In ogni modo, questo lavoro e molto accessibile, e presenta una sintesi molto ben ordinata delle scoperte, le sfide e delle risposte teologiche dinanzi le presenti questioni.


 
 
 
 
 
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