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Revista Antonianum
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Foto Nobile Marco , Recensione: Giovanni Garbini, Scrivere la storia d’Israele. Vicende e memorie ebraiche, in Antonianum, 84/4 (2009) p. 768-771 .

Giovanni Garbini, professore emerito di filologia semitica dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, offre con questo libro la sua ultima fatica, frutto di annose ricerche e della lunga esperienza scientifica maturata nell’ambito di sua competenza, la semitistica comparata. A fianco della sua ingente produzione nel campo strettamente filologico, egli non ha mai mancato di curare nel tempo l’impiego delle sue acquisizioni in materia, al fine di una ricostruzione della storia d’Israele che non dipendesse soltanto dalla sua fonte principale: la Bibbia. Ora, con quest’opera, abbiamo una narrazione sistematica della storia d’Israele, che parte dalle origini, attorno al secondo millennio a.C., e giunge fino all’epoca romana.

Com’e avvenuto per altre opere simili scritte dal G., anche questa non mancherà di suscitare discussioni accese, dato che il suo racconto fa, pur se in uno stile accattivante (a proposito, dobbiamo riconoscere che stavolta il G. ha rinunciato ad essere troppo “cattivo” con i biblisti…), delle affermazioni spiazzanti rispetto alla tradizionale presentazione degli eventi storici relativi all’antico Israele. In realtà, l’opera in questione si situa con una sua indubitabile originalità nel quadro delle attuali ricerche storiografiche riguardanti l’Israele biblico, ricerche che stanno mettendo in rilievo sempre più i silenzi e le manipolazioni presenti nel testo biblico. Questo non vuol dire che dietro la Bibbia vi sia una frode ideologica: a volte si tratta piuttosto di una richiesta agli studiosi di cambiare prospettiva, cioè di de-modernizzarla e di contestualizzarla maggiormente nel quadro della storia del Vicino Oriente antico in generale e in quella del popolo ebraico in particolare, specialmente di quell’Israele che ci ha dato le Scritture. In tal modo, la presentazione dei fatti che il G. ci offre, risulterà meno sconvolgente, anche se la sua “storia” rimane ugualmente una trattazione imbarazzante.

Poichè non e possibile esaminare in dettaglio tutte le affermazioni del libro, mettiamo in rilievo solo alcuni dei dati più sorprendenti. Per il G. l’origine del popolo israelitico non va ricercato in oriente, bensì nel territorio siriano, meglio in quella parte che si collocava tra il Tigri e l’Eufrate, a ovest dei monti Kashiari, e che prendeva il nome di Musri, qua e la volutamente manomesso in Misraim=Egitto da parte dei masoreti. La prima gens del futuro popolo ebraico sarebbe stata costituita da tribù aramaiche stanziatesi nel territorio di Damasco prima e scese verso il sud poi, lungo il territorio palestinese (Abramo sarebbe provenuto da Damasco e non da Ur dei Caldei). Il popolo aramaico stanziato in Palestina avrebbe via via costituito, evolvendosi, il regno d’Israele che sarebbe cominciato nel IX sec. con la dinastia degli Omridi (il regno unito davidico-salomonico sarebbe quindi una creazione leggendaria, come leggendari sono David e Salomone). Durante il regno di Acab, figlio di Omri, un certo Saul, beniaminita, si sarebbe ribellato al re israelita e avrebbe costituito un suo regno piu tardi fallito. La storia della monarchia israelitica avrebbe poi proceduto sempre in modo unitario, finchè l’israelita Amazia, dal testo biblico (2Re 14) ritenuto l’ottavo re di Giuda, si sarebbe fatto primo re a Gerusalemme. Tuttavia, la rivolta non avrebbe avuto successo, che arrise invece più tardi ad Amazia, primo re del regno di Giuda e suo fondatore. Tale regno avrebbe avuto sempre più il sopravvento, tanto più, quanto più gli eventi internazionali avrebbero concorso a decretare la fine del regno del nord. Un altro dato importante da segnalare nella ricostruzione del G. e il lungo regno del dominio ammonita a Gerusalemme: tra Ezechia e Giosia, avrebbe regnato un certo Hananel di Ammon, cancellato dagli scribi ebrei. Dopo la caduta anche del regno di Giuda, i cui eventi finali si sarebbero verificati nel 582 e non 587 a.C., e dopo il rientro degli esiliati, un fatto notevole sarebbe stato l’uccisione di Zorobabele, di famiglia reale, da parte del sacerdote Giosuè, probabile emissario di un partito anti-monarchico che in seguito, nonostante la grave macchia, sarebbe stato assolto nella tradizione scritturistica. Durante la dominazione persiana avrebbero cominciato a formarsi le ricostruzioni storiche che oggi abbiamo nella Bibbia e che sono il frutto di gruppi talvolta in reciproco contrasto, talaltra in equilibrato armistizio. Vogliamo fermarci qui, anche se come si è detto il racconto del G. arriva fino all’era romana. Quanto si e presentato finora può bastare per dare un’idea della fisionomia della ricerca in questione. Naturalmente, i dati da noi semplicisticamente elencati, sono in realtà dal G. offerti col supporto di documenti, prove e ragionamenti che sono, soprattutto questi ultimi, tutti da godere. Ma vi e una debolezza in tale ricostruzione? E se c’e qual e? A mio parere, la debolezza di fondo è nell’ordine della metodologia, che spesso consiste nel non essere una vera e propria metodologia. Come in altri studi dello stesso autore, prevalgono le scelte puramente soggettive: se è vero, come egli dice, che il testo biblico vada smontato perchè da non ritenersi attendibile, dev’essere pero anche vero che il materiale archeologico ed epigrafico, spesso scarso ed enigmatico (da non trasformare pero in “enigmistico”) non possa assumersi a sua volta il carico canonico dell’inappellabilità. Il prof. G. è un maestro nel suo campo di competenza, ma forse talvolta procede in modo cosi sicuro e convinto da dare alla sua ricostruzione un aspetto “not accurate”, come direbbero gl’inglesi. Solo un piccolissimo esempio. A p. 67 egli afferma che il re Zimri fu ucciso da Omri, il che non e vero, perche Zimri si suicidò: 1Re 16,18. L’uso disinvolto poi che egli fa della pur nota e interessante ipotesi dell’istituto del dawidum come capo militare dal destino rituale, ponendolo in testi biblici (p. 73) come sostitutivo di governatore, al fine di controbattere la tesi dell’esistenza del nome proprio David, lascia metodologicamente parlando perplessi. La stessa impressione si ricava dalla scomparsa o eliminazione della figura di Salomone, per poi ritrovarla come figlio di Geroboamo II (che sarebbe il primo, dato che il contemporaneo di Salomone non sarebbe esistito nemmeno lui), col supporto di Am 1,6 e con l’emendamento della vocalizzazione masoretica di šelēma.

Queste osservazioni critiche non tolgono per niente valore all’immenso sforzo creativo intrapreso dal G., il quale, forte della sua annosa competenza, sa offrire agli studiosi una serie di sfide con cui confrontarsi per amore della verità scientifica.


 
 
 
 
 
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