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Revista Antonianum
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Foto Nobile Marco , Recensione: A. Deutschmann, Synagogue und Gemeindebildung, in Antonianum, 79/2 (2004) p. 375-376 .

Il libro è una dissertazione inaugurale che l’autore ha scritto nel quadro di quell’orientamento contemporaneo di studi che desidera indagare sulla continuità che lega il cristianesimo al giudaismo, piuttosto che sulla distinzione che in passato ha costituito fonte di equivoci, trasformandosi talora in discriminazione, la cui degenerazione finale è stata l’antisemitismo. Quel che è paradossale è che certe convinzioni di fondo da parte cristiana, erano basate su una non corretta interpretazione dei testi neotestamentari, letti piuttosto sotto l’influsso di una pregiudiziale dogmatica che oggi, grazie a Dio, ha fatto il suo tempo.

A questo fine, D. ha compiuto un’operazione scientifica e teologica di pregio, che va salutata con ampia condivisione.

Lo studio si suddivide in quattro parti, precedute da un’introduzione e chiuse da un consuntivo. L’introduzione chiarisce come l’autore voglia mettere in discussione la tesi secondo la quale, nel Luca degli Atti degli Apostoli sarebbe presente un atteggiamento antigiudaico, espresso principalmente nella presunta convinzione di Luca che il nuovo popolo d’Israele sarebbe stato costituito dai Gentili, sostituitisi ai Giudei. Il D. fa anche un excursus della letteratura in materia e nota che, sulla pericope che egli ha scelto come campione d’indagine, At 13,42-52, non si è soffermata in modo sufficiente l’attenzione degli studiosi, non rilevando così l’importanza cruciale che essa riveste.

D. passa ad affrontare un’analisi filologica e contestuale dei gruppi nominati da Luca in At 13,14-51, cioè nell’intera pericope che tratta del soggiorno di Paolo e Barnaba ad Antiochia di Pisidia. Egli considera attentamente sia i gruppi citati nel primo sabato, in cui Paolo pronunzia la sua “omelia”, sia quelli del secondo sabato, cioè quelli dell’unità testuale che dà il titolo al libro e che vengono chiamati Ioudaioi = “Giudei”. D. mostra chiaramente che termini come “timorati di Dio” e “proseliti” hanno una valenza meno tecnica di quanto si possa supporre, e che il primo è applicabile anche agli ebrei stessi, mentre il secondo poteva benissimo riferirsi o a coloro che seguivano senza totale impegno la religione giudaica (il non farsi circoncidere) o a quelli che semplicemente simpatizzavano per essa. A loro volta, i “Giudei” di cui si parla nella pericope non sono l’intero popolo giudaico, ma solo alcuni gruppi, com’era proprio della realtà giudaica del tempo; d’altra parte, l’opposizione all’annuncio di Paolo non è stata mostrata solo dagli ebrei, bensì anche da parte di gentili, soprattutto di maggiorenti o di gente in vista. Senza parlare poi del fatto che, alla fine del discorso tenuto da Paolo nella sinagoga il primo sabato, il testo afferma che molti Giudei e proseliti credettero e seguirono l’apostolo (13,43). In breve, il carattere fluttuante delle categorie citate da Luca e l’attenzione al disegno teologico che l’evangelista persegue, cioè delineare iterativamente uno schema di missione, vietano qualsiasi interpretazione antigiudaica del testo, particolarmente in rapporto al tema “nuovo Israele”. Del nuovo Israele fanno parte anche gli Ebrei, come primi destinatari dell’annuncio; ne vengono estromessi solo coloro che non accettano l’interpretazione cristiana delle Scritture ebraiche.

Allo stesso risultato mira la dettagliata analisi della pericope, che costituisce l’oggetto della seconda parte. La terza parte, invece, cerca di convalidare la tesi dello schema di missione presente nella suddetta pericope, facendo una sinossi ragionata con Lc 4,16-30 e At 28,17-31. Anche in questa operazione il D. si mostra acuto e convincente. Nella quarta parte l’A. si chiede se – dalle notizie lucane circa le comunità cristiane primitive – possiamo ricavare qualche idea sulla formazione storica di esse. In realtà, avendo Luca un ben preciso e delimitato scopo nel suo progetto storico-teologico, quello cioè di presentare lo svolgimento della primitiva missione apostolica, non possiamo ricavare granché dalle sue informazioni, dato che talora siamo messi di fronte a realtà come la comunità ben strutturata e gerarchicamente costituita di Antiochia di 13,1 e a dati come la costituzione di presbiteri da parte di Paolo e Barnaba nelle comunità visitate (14,23), che sono difficilmente comprensibili: ad es., in che rapporto erano tali nuove comunità, se erano delle realtà strutturate, con la comunità giudaica locale? Non potrebbe trattarsi piuttosto di dati che anticipano l’istituzione ecclesiale venuta dopo, e comprensibile ai tempi di Luca?

La sintesi finale dell’A. ricompone il quadro di questa bella dissertazione, che contribuisce a dimostrare come il lavoro della ragione e dell’intelletto serva meglio al dialogo che la fedeltà a pregiudiziali indiscusse e indiscutibili.


 
 
 
 
 
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