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Rivista Antonianum
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Foto Auletta Gennaro , Recensione: TOBIAS HOFFMANN, Creatura Intellecta, Die Ideen und Possibilien bei Duns Scotus mit Ausblick auf Franz von Mayronis, Poncius und Mastrius, in Antonianum, 78/4 (2003) p. 721-723 .

Il testo di Hoffmann presenta un notevole interesse essenzialmente per tre motivi: per l’accurata ricostruzione delle posizioni di Scoto su questo punto capitale per la comprensione delle sue posizioni e del dibattito tardo-medievale, per il confronto intenso con una serie di altri teologi e filosofi medievali, per l’attenzione alle controversie nella scuola di Scoto. Per quanto riguarda il secondo punto, l’autore ha posto l’accento, e spesso utilmente, su un confronto tra le teorie di Scoto e quelle di Enrico di Gand. Qui di seguito, per motivi di brevità, intendo soffermarmi in particolare su alcuni punti della dottrina di Scoto in relazione ad altri pensatori medievali.

La differenze tra Duns Scoto ed Enrico si manifestano sin dalla definizione del primo oggetto dell’intelletto divino, che per Enrico è l’ens commune, per Scoto l’essenza propria di Dio. In questo, Scoto è maggiormente fedele ad Aristotele. Tuttavia, come può Dio poi muovere alla conoscenza delle cose finite? Il motivo secondo Scoto, risiede nel fatto che le restrizioni che normalmente si applicano all’intelletto non possono limitare l’azione dell’intelletto divino, e perciò questo si estende a tutto ciò che è conoscibile. Inoltre, tutto ciò che contiene virtualmente nel suo essere altro essente, contiene anche l’essere intelligibile di quest’ultimo.

La scienza di Dio degli esseri possibili è, secondo Scoto, una scienza teoretica, e questo contro l’opinione di Alberto Magno, che la considerava come subordinata alla scienza pratica. D’altra parte, e contrariamente al parere di altri, come ad esempio Egidio Romano, tale conoscenza teorica non determina in alcun modo le scelte pratiche di Dio, ossia cosa Dio deciderà di fare ad extra.  Se le cose non stessero così, l’azione divina sarebbe determinata da necessità e quindi non ci sarebbe né scelta, né libertà divina. Perciò la contingenza delle creature (e del mondo) ha la sua radice nella libera volontà di Dio. Infatti, la volontà (di Dio) è assolutamente libera rispetto a possibili alternative contradditore (ad esempio, che io possa essere vestito così o meno oggi) che caratterizzano gli enti contingenti. Sarebbe stato utile che, a questo punto, l’autore avesse approfondito maggiormente il discorso dei mondi possibili. Le alternative concernono i predicati accidentali in generale e le relazioni in particolare, come riteneva S. Tommaso (Sth I, q. 25, a. 5-6), oppure su questo le posizioni di Scoto divergono?

Circa il problema di come ci possa essere in Dio una relazione con una molteplicità di idee senza introdurre una molteplicità in Dio stesso (un rischio che evidentemente corre la teologia di Scoto Eriugena e che rappresenta il pericolo di un vero e proprio panteismo), Scoto riporta due posizioni principali. S. Bonaventura respinge decisamente la possibilità di una moltiplicazione secundum rem di enti intelligibili in Dio stesso. Egli interpreta le idee come rappresentanti ciascuna un diverso punto di vista sicché ciascuna è una specifica espressione della verità divina. In sostanza, le idee vengono interpretate come significanti l’essenza divina in relazione alle creature. Secondo Enrico di Gand, invece, Dio arriverebbe alla conoscenza di cose extradivine concependo i diversi modi in cui la divinità può essere imitata.

Duns Scoto critica la prima opinione perché comporterebbe un regresso infinito dato che le relazioni intelligibili con le idee presuppongono a loro volta, per poter essere conosciute, altre relazioni intelligibili, e così via.  Inoltre, seguendo il proprio maestro, Guglielmo di Ware, Scoto ritiene che la facoltà cognitiva di Dio sia del tutto sufficiente a conoscere qualsiasi cosa e pertanto considera le idee superflue. Contro l’opinione di Enrico, Scoto fa valere il fatto che un oggetto conosciuto ha soltanto un esse in intellectu e può pertanto anche essere privo di vera esistenza (ossia restare un puro possibile). Per Scoto vale in generale che non c’è relazione possibile se non ci sono entrambi i relati (in caso di relazione diadica).

Per Scoto Dio conosce le creature come qualcosa di assoluto e non di relativo. Una relazione si istituisce soltanto dopo che Dio ha conosciuto la creatura. Pertanto la relazione che Dio istituisce con la creatura al momento di conoscerla è una relazione unilaterale (gli oggetti intelligibili dipendono, nella loro struttura eidetica, dalla conoscenza di Dio e non viceversa).

Le idee vengono prodotte nel momento in cui Dio le conosce. Più specificamente, dopo il momento dell’autocoscienza di Dio, Dio prima produce la creatura come essere intelligibile e la conosce (e qui la creatura intelligibile dipende dall’intelletto divino). Soltanto in un terzo momento si istituisce una relazione dal creatore alla creatura, allorché Dio compara il suo conoscere con la creatura intelligibile.

Si noti che per Scoto le creature sono intelligibili perché Dio le conosce e non viceversa. Pertanto la conoscenza divina è produttiva, a differenza di quella umana che è ricettiva. Si tratta di una produzione diminuita (quasi-productio) rispetto alla creazione vera e propria.

Per quanto riguarda la natura e lo statuto delle idee, Scoto rifiuta decisamente la posizione di Enrico di Gand, in base alla quale alle idee andrebbe ascritto un eterno esse essentiae. Al massimo le idee godrebbero soltanto di un essere derivante dal loro essere oggetti della conoscenza divina. Tra i motivi principali della posizione di Scoto c’è la tesi che, se le idee avessero un essere eterno, la relazione che Dio intratterrebbe con  la creatura su un piano cognitivo e quella che intratterrebbe come creatore in senso proprio sarebbero la stessa cosa e quindi la creazione della creatura (nell’esistenza reale) non aggiungerebbe nulla alla prima relazione. Pertanto per Scoto essere intelligibile ed essere possibile si corrispondono pienamente e il possibile viene pensato in completa indipendenza dall’esistenza: la volontà di Dio sceglie di far esistere dei possibili soltanto dopo che l’intelletto divino li ha prodotti su un piano intelligibile. In tale caso Dio sceglie tra possibili predicati contraddittori e ne realizza uno in particolare.

La filosofia e la teologia medievali sono attraversate da alcune grandi questioni, quali: quale è lo statuto delle idee? Quale è lo statuto del mondo (in particolare del mondo materiale)? In che modo Dio crea il mondo (in particolare quale relazione c’è tra l’intelletto e la volontà divini)? Rispetto a queste tre questioni cruciali il pensiero di Scoto rappresenta una posizione non soltanto originale ma classica già nel momento in cui viene prodotta (e così viene recepita dai suoi discepoli). La sua classicità deriva da un equilibrio quasi naturale nelle soluzioni offerte, e questo è il vero segno di un grande sistema filosofico.


 
 
 
 
 
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