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Rivista Antonianum
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Foto Barbagallo Salvatore , Recensione: PASSARELLI GAETANO (a cura di ), Le iconostasi di Livorno patrimonio iconografico post-bizantino , in Antonianum, 77/1 (2002) p. 187-191 .

Questo volume ha accompagnato il percorso espositivo di una affascinante mostra: Le iconostasi di Livorno, tenuta dal 7 aprile al 24 giugno 2001 presso la “Chiesa della SS.ma Annunziata” o dei “Greci Uniti” a Livorno.

La raccolta completa del patrimonio iconografico, una volta di proprietà della comunità greca di Livorno ed ora conservato, in parte, dal Comune di Livorno presso il Museo Civico “Giovanni Fattori” e, in parte, nella “Chiesa della SS.ma Annunziata”, per la prima volta è stato messo alla visione del pubblico.

L’interesse storico – artistico di questo patrimonio è dato dal fatto che si tratta di opere datate e firmate, prodotte tra i secoli XVII e XIX (da qui il sottotitolo “patrimonio iconografico post-bizantino”), attraverso le quali è possibile ripercorrere l’evoluzione dello stile  e del gusto delle scuole e dei committenti.

L’originalità di questa esposizione è stata la ricostruzione delle iconostasi e la loro collocazione originaria nei luoghi propri. Ciò ha permesso ai visitatori di comprendere a pieno il complesso significato storico, artistico e religioso di questo patrimonio che si presenta unico nel suo genere e che viene classificato per importanza secondo in Italia dopo quello della Chiesa e dell’Istituto Ellenico di Venezia.

Il volume, che ripropone il percorso espositivo di quattro iconostasi e di diverse icone votive, è arricchito dagli studi di Doriana Dell’Agata Popova, di Antonia D’Aniello, di Lucia Frattarelli Fischer e di Gaetano Passarelli che è stato il curatore e della mostra e dell’opera in esame.

Apre la serie dei contributi lo studio di Doriana Dell’Agata Popova, Il templon bizantino e la sua trasformazione in iconostasi, pp. 13-38. L’iconostasi così come esiste oggi nelle Chiese di rito bizantino, dividendo il presbiterio dalla navata, è una soluzione architettonica del periodo post-bizantino, frutto di un lungo processo di trasformazione cui è stato oggetto il divisorio del bema, il templon. L’A. in questo suo lavoro, ricco di riferimenti iconografici, traccia l’evoluzione che lungo la storia condusse il templon  alla sua trasformazione in iconostasi. Sia in Occidente come in Oriente nel periodo paleocristiano coesistevano due tipi di templa: quello basso, costituito da un “parapetto con cancello”, che prevarrà poi in Occidente, e il templon alto a “forma di porticato” che in seguito si imporrà come l’unico a Bisanzio. In questo periodo nei templa marmorei la decorazione presenta motivi zoomorfi, geometrici o simbolico astratti. Accanto a questi esempi con decorazione aniconica, vi sono altri divisori ornati di icone di Cristo, della Vergine e dei Santi, eseguite in un materiale identico al divisorio e incorporate nella zona dell’architrave. Sarà proprio  questa zona “dell’architrave il nucleo originario, dal quale, attraverso un processo graduale, nascerà in seguito l’iconostasi” (p.15). Con la fine del periodo iconoclasta (VIII-IX sec.) e il ritorno al culto delle immagini, ricompaiono gli architravi marmorei dei templa decorati con icone che convivono con motivi zoomorfi e geometrici non legati alla simbologia cristiana e che sono retaggio dell’arte iconoclasta. La raffigurazione preferita è la Deesis, sia trimorphon che quella sviluppata con l’aggiunta di arcangeli e/o apostoli. Una evoluzione ed un cambiamento del templon si constata all’epoca dei Commeni (XI-XII sec.). Il divisorio, come nel passato, si presenta sotto forma di portico con l’architrave marmoreo sostenuto da colonne. La novità è data dalla presenza di icone mobili al posto di quelle incorporate l’architrave del divisorio. “Sostituendosi alla più lenta e faticosa lavorazione lapidea dell’epoca precedente, l’epistilio dipinto conserva e allarga il repertorio tematico del passato” (p. 17). Altra novità è la presenza delle icone festive, che potevano essere collocate o accanto alla Deesis o potevano costituire un registro autonomo. Inoltre quando lo spazio del bema lo permetteva alle icone delle Dodici feste “despotiche” se ne aggiungevano delle altre: feste mariane e scene della passione di Cristo. All’epoca dei Paleologi (XIII-XIV sec.) la presenza di icone mobili negli intercolumni della zona mediana del templon è un fatto ormai diffuso. Sono icone di grandi dimensioni raffiguranti Cristo, la Madonna o/e il Santo patrono. L’influenza della dottrina esicasta aprirà la strada nel periodo tardo – paleologo alla definitiva e irreversibile trasformazione del divisorio del bema in iconostasi. Cosa che si compie definitivamente nell’epoca post-bizantina (XVI sec). “L’impiego prevalente del legno rinforzerà la tendenza di autonomia rispetto allo spazio architettonico e offrirà allo stesso tempo (…) una cornice decorativa organicamente fusa con le icone in essa incastonate” (p. 25). Il divisorio ormai si configura come una grande parete. Ancora al XVI sec., in Grecia e presso gli Slavi, il divisorio così strutturato non arriva a nascondere completamente l’architrave. Invece in Russia, già dal XV sec., il templon originario “si trasforma in un grandioso insieme, spinto verso l’alto fino a riempire l’intero spazio dell’arco trionfale” (p. 26). In questa iconostasi  monumentale ai tre ordini canonici: delle icone “dispotiche”, delle Feste e della Deesis, si aggiungono, in file sovrapposte, quelli dei Profeti, dei Padri e dei cherubini.

 Il contributo di Antonia d’Aniello, La chiesa della SS. Trinità e i teleri di Spiridone Romas, pp. 39-66, traccia la storia del ritrovamento di quattro teleri di Spiridone Romas eseguiti per la chiesa della “SS.ma Trinità” che è stata demolita nel 1942 in attuazione del “piano di risanamento” della città.

Invece, Lucia Frattarelli Fischer, Alle radici di una identità composita. La “nazione” greca a Livorno, pp. 47-61, delinea la storia dell’insediamento e dello sviluppo della presenza dei greci a Livorno che ha portato alla costruzione, all’inizio del Seicento, della chiesa greco unita della “SS.ma Annunziata” e, poi, alla metà del Settecento, della chiesa greco ortodossa della “SS.ma Trinità”.

Gaetano Passarelli, Le iconostasi e le icone di Livorno, pp. 145-217 (tavole a colori pp. 63-144), propone il percorso espositivo che inizia con l’iconostasi della “SS.ma Annunziata”, prosegue per quella della “SS.ma Trinità”, dell’iconostasi Russa e della Cappella dei Santi Apostoli nel Vecchio Cimitero, e termina con la descrizione di alcune icone “sciolte” o votive.

Iconostasi della SS.ma Annunziata (pp. 146-163; tavv. pp. 65-85), realizzata tra il 1640 e il 1643 e in parte distrutta durante l’ultimo conflitto mondiale, è stata ricostruita (tavv. p. 85 e 67) grazie alla documentazione che di essa danno alcune stampe del ‘700 – ‘800 e alcune fotografie. La struttura originaria (tav. p. 147), legno intagliato e ricoperto d’oro nel 1647, prevedeva tre registri. Il primo registro, despotico o locale (tav. p. 67), risulta il più rimaneggiato. Di esso rimangono, oltre alle tre porte, solo le icone di Cristo (pp. 148-149; tav. p. 65) e della Madre di Dio (pp. 149-150; tav. p. 66), dipinte nel 1610 da Anthimos Kolas di Zante, appartenente alla “scuola macedone”. Sono andate disperse le icone dei Santi Spiridione, Giacomo, Nicola e Giorgio. Le porte dell’iconostasi, come anche le pitture che compaiono su di esse, sono state eseguite nel 1750 dal pittore tedesco Agostino Wanonbrachen. Esse presentano una similarità di impianto decorativo: sono costituite da due battenti, decorati con sei formelle, di cui due lavorate a traforo, e le altre quattro effigiate con delle immagini: i santi Padri Basilio il Grande, Gregorio il Teologo, Giovanni Crisostomo e Atanasio Alessandrino sulla Porta “bella”; otto Apostoli rispettivamente quattro sulla Porta del Diakonikòn e quattro su quella della Pròthesis. Sull’epistilio, secondo registro, sono disposte, come da tradizione, le icone delle dodici Feste: Dodekaerton (pp. 152-161; tavv. pp. 68-81), risalenti al 1640, di autore anonimo e appartenenti alla “scuola cretese”. La struttura in esame prevede la sequenza di quindici icone. I tre riquadri eccedenti, per motivi ignoti, furono colmati da icone che non hanno attinenza con questo registro: “Vergine annunziata”, “Cristo Emmanuel” (p. 151; tavv. p. 68) e l’icona di Cristo (p. 150; tav. p. 75). Il terzo registro è costituito dal Golgota (pp. 161-163; tavv. pp. 82-84) intagliato nel 1643 ad opera di Thomas Benetos detto Frabenetos e dipinto da anonino cretese nello stesso periodo. Al centro vi è il Crocifisso, a sinistra la Madre di Dio e Pietro, a destra Giovanni Evangelista e Paolo.

Iconostasi della SS.ma Trinità (pp. 164-189; tavv. pp. 86-98) è fondamentalmente opera di Spiridon Romas, “un agiografo di Corfù”, “esponente di un “naturalismo” che aveva come obbiettivo l’innesto con l’arte occidentale”, e che venne preferito a Mosé di Creta, considerato “rappresentante di un tradizionalismo di impronta monastica”. Con Spiridon la comunità greco “ortodossa” stilò un contratto molto dettagliato di due anni (testo pp. 164-165) e che poi prorogò di un anno ancora (testo p. 166). Di Mosé di Creta vengono riportate le due icone “despotiche” che egli, tra la fine del 1761 e l’inizio del 1762, consegnò come saggio: quella della “SS.ma Trinità del Nuovo Testamento” (pp. 168-169; tav. p. 86) e quella della “Madre di Dio in trono” (p. 170; tav. p. 88). La presenza di queste icone risulta interessante per “analizzare e comparare la stessa tematica espressa da due iconografi, esponenti delle due maggiori correnti stilistiche allora di moda nel bacino mediterraneo”. La novità di quest’iconostasi è data dalla presenza nell’epistilio (secondo registro), luogo tradizionale del ciclo delle dodici Feste, della grande Deesis. Al centro dell’epistilio vi è l’icona di Cristo in trono con la Vergine e il Battista, a destra e a sinistra le icone degli Apostoli seduti in trono, sei per lato. Il motivo che spieghi questa scelta sembra essere la “necessità di differenziarsi”. Sul terzo registro (Golgota) accanto al Crocifisso, i due ovali con le immagini della Madre di Dio addolorata e di san Giovanni Evangelista (p.178; tavv. p. 97), sono opera di Benedetto Lulis.

Iconostasi Russa (pp. 181-189; tavv. pp. 102-103), è una ipotetica ricostruzione dell’iconostasi della chiesa ortodossa di Porto Mahon nelle Baleari, dedicata forse a san Nicola Taumaturgo. Le icone sono parte della donazione temporanea (arredi sacri, oggetti) che l’imperatrice Caterina II di Russia aveva fatto probabilmente nell’inverno 1769-70. Sciolta la comunità ortodossa di Porto Mahon, il patrimonio è stato prima affidato (1782) e poi donato definitivamente (1787) alla comunità greco ortodossa facente capo alla chiesa della SS.ma Trinità di Livorno. Le icone sono elaborate alla maniera tipica della cosiddetta “Scuola del Palazzo delle Armi” sviluppatesi ad opera di Simon Uyakov (1626-86) presso la corte imperiale di Mosca. Lo stile delle icone (“volti arrotondati, forme plastiche”) “costituisce uno squarcio significativo di uno stile post-bizantino russo molto raffinato ancora tale alla metà del secolo XVIII”.

Iconostasi dei Santi Apostoli nel vecchio cimitero (pp. 190-195; tavv. pp. 114-127). Si tratta di una ricostruzione parziale in base ai dipinti delle tre porte e ad alcune icone prevenute dell’iconostasi della Cappella del cimitero dei greci “ortodossi” che a Livorno sorgeva nell’area attualmente occupata dal Palazzo degli Uffici Finanziari. Le icone, della fine del ‘700 e gli inizi dell’800, presentano, in alcuni casi, uno stile tipicamente occidentale, secondo i dettami della scuola ionica.

Le icone “sciolte” (pp. 196-210; tavv. pp. 120.128-144). Con il termine “sciolte” vengono indicate le icone votive: icone non riconducibili ad un insieme organico e che vengono esposte sopra il proskynitarion in occasione di una festa o vengono utilizzate per la devozione privata. Sono 29 icone appartenenti sia alla comunità greco “unita” della chiesa della “SS.ma Annunziata”, sia alla comunità greco “ortodossa” della chiesa della “SS.ma Trinità”. Si tratta di opere pregevoli per stile e per lo più datate e firmate o databili con approssimazione. Rappresentano l’espressione della realtà post-bizantina greca tra il XVII e il XIX secolo.

Alla fine del percorso espositivo le icone presentate risultano essere oltre cento. Il Passarelli di ognuna di esse puntualmente, oltre alle notizie d’inventario (nome, autore, datazione, misure, ecc.) e all’analisi, ne presenta una lettura teologica.

In un’opera di tal genere è doveroso evidenziare la riproduzione fotografica di ottima fattura e completa.

 


 
 
 
 
 
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