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Rivista Antonianum
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Foto Etzi Priamo , Recensione: ANDREA BONI, Regole religiose di ieri e di oggi , in Antonianum, 76/4 (2001) p. 752-754 .

Le grandi “regole religiose” di ieri e di oggi sono la testimonianza dell’esperienza di uomini spirituali che attraverso i secoli hanno voluto conformare la loro esistenza con la vita casta, povera ed obbediente di Cristo. In quanto proiezio­ni di vita evangelica, dunque le regole religiose partecipano della perennità del Vangelo. Attraverso la storia la volontà umana di seguire Cristo e di non anteporgli nessuna altra cosa al mondo, nella partecipazione alla sua crocifissione e alla sua risurrezione, ha assunto dimensioni titaniche: le regole religiose di tutti i tempi sono la documentazione vissuta di un amore appassionato per Cristo. In esse vengono codificate le esperienze di vita evangelica degli eremiti, dei monaci, dei canonici regolari e dei religiosi apostolici. Si tratta di esperienze diversificate, ma senza confronti di merito, ed in quanto tali le regole religiose sono ugualmente evangeliche e sono accolte con venerazione da parte della Chiesa. La vita religiosa ricupera tutto lo splendore della propria istituzione evangelica attraverso la santità della regola basiliana, agostiniana, benedettina e francescana: esse costituiscono l’asse portante di tutta l’organizza­zione comunitaria della vita religiosa.

Le involuzioni di ordine dottrinale che si sono avu­te sul concetto della professione religiosa, non più di isti­tuzione evangelica, ma di pretesa istituzione ecclesiastica, non sono dovute all’organizzazione comunitaria della vita re­ligiosa codificata da queste grandi regole religiose, ma so­no dovute alle elucubrazioni delle scuole teologiche che hanno preteso di condizionare il concetto evangelico di professione religiosa alle esigenze del vincolo associativo dell’organizza­zione comunitaria della vita religiosa. Per il ricupero dottri­nale dell’istituzione evangelica della professione religiosa (distribuisci ai poveri tutto ciò che hai e vieni) si impone decisamente tanto il rifiuto del concetto analogico di professione religiosa, concepita come matrimonio spirituale (tra il religioso e Dio) alla stessa stregua del matrimo­nio naturale tra l’uomo e la donna, con una propria traditio corporis, di cui avrebbe beneficiato l’ordine religioso, quan­to il rifiuto del concetto di professione religiosa, conce­pita come contratto di stretta giustizia (do ut des) tra il religioso ed il proprio ordine. Non si deve dimen­ticare che l’organizzazione comunitaria della vita religiosa è una conseguenza della vita religiosa, ma non la costituisce. La vita religiosa, in quanto espressione di un patto di amicizia contratto personalmente con Cristo, è prima e al di sopra di qualsiasi organizzazione comunitaria non diversamente dalla vita umana che nella sua identità è prima e al di sopra di qualsiasi organizzazione sociologica.

L’Autore di quest’opera non è per reinventare la vita religiosa, ma per «ricuperare» la vita religiosa come Cristo l’ha istituita. Quello che Cristo ha operato lo ha realizzato «perfectissimo modo» e non ha bisogno di essere «riveduto e corretto» dagli uomini. Conoscere la vita religiosa come Cristo l’ha istituita, significa «restituire Cristo alla vita religiosa e la vita religiosa a Cristo»: questo intento, quasi un pio assillo, pervade tut­ti gli scritti di A. Boni, da prima del Concilio Ecumenico Vaticano II fino ai nostri giorni. Non si è trattato di una impresa facile, ma neppure si è trattato di una impresa senza risultati. Il criterio fondamentale di questa ricerca è dato dal fatto che è Cristo il fondatore della vita religiosa (essa non è di istituzione ecclesiastica). La vita religiosa nella sua istituzione cristologica si configura come una proiezione di vertice della vita cristiana (e non va ricercata al di fuori del Vangelo). Nessuno è religioso per se stesso, ma è religioso per rispondere ad una preordinazione di Dio. Per prendere coscienza della propria identità sopran­naturale, il religioso deve entrare nel mistero di Dio. Egli è religioso per una risposta di pienezza alle attese di Dio: per essere compiutamente se stesso come Dio lo ha pensato da tutta l’eternità (si vis perfectus esse). Il religioso deve proclamare al mondo l’accettazione del «progetto» di Dio nella sua vita non con un gesto qualsiasi, ma con il gesto indica­to da Cristo: «Va’ e distribuisci ai poveri tutto quello che hai e vieni» (Mt 19, 21). L’accettazione del progetto di Dio è espresso con questo «patto di amicizia» contratto personalmente con Cristo dinanzi alla comunità ecclesiale.

Nell’indagine condotta dall’A. sull’origine evangelica della vita religiosa acquista capitale importanza la distin­zione tra l’istituzione cristologica della vita religiosa e l’organizzazione comunitaria di essa: l’istitu­zione appartiene a Cristo, l’organizzazione comunitaria appar­tiene alla Chiesa. Nell’ottica di questa grande affermazione di principio le grandi regole religiose si qualificano come la codificazioni delle «istituzioni di religione» (eremitica, monastica, canonicale ed apostolica). Le istituzioni di reli­gione, di cui sopra, con la loro rispettiva regola, vengono riqualificate come specifiche «religioni». La regola benedet­tina è l’optimum per l’organizzazione comunitaria della «reli­gione monastica», la regola agostiniana è l’optimum per l’organizzazione comunitaria della «religione canonicale» e la regola francescana è l’optimum per l’organizzazione comunitaria della «religione apostolica».

Le tesi dell’Autore sono pienamente confermate dalla verifica di confronto con gli interventi legislativi del diritto comune della Chiesa, particolarmente nella legisla­zione del Concilio Ecumenico Lateranense IV del 1215 e nella legislazione del Concilio di Trento (1545-1563). La stessa dot­trina sulla vita religiosa del Concilio Ecumenico Vaticano II rifulge in tutto il suo splendore nell’ottica di questa impostazione evangelica della vita religiosa.

 


 
 
 
 
 
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