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Foto , Libri nostri: ADRIANO GARUTTI, Primato del Vescovo di Roma e dialogo ecumenico , in Antonianum, 75/2 (2000) p. 408-409 .

Alla vasta letteratura apparsa in seguito all'invito di Giovanni Paolo II a cercare nuove forme di esercizio del primato (Ut unum sint, 95) viene ad aggiungersi l'opera di Adriano Garuti, OFM, Primato del Vescovo di Roma e dialogo ecumenico (Spicilegium Pontificii Athenaei Antoniani, 35, Roma 2000).

Come sottolinea  Umberto Betti nella Presentazione, insieme con i due lavori precedenti, Il Papa Patriarca d'Occidente? Studio storico dottrinale (Edizioni francescane, Bologna 1990) e S. Pietro unico titolare del primato. A proposito del decreto del S. Uffizio del 24 gennaio 1647 (Edizioni francescane, Bologna 1993), il nuovo libro completa una specie di trilogia, in cui sotto diversi aspetti viene appunto approfondito il problema molto attuale del ministero universale del Successore di Pietro.         

Nel presente volume il tema è considerato sotto l'aspetto, ancora più delicato, del dialogo ecumenico, mediante una analisi e una valutazione dei testi pubblicati dalle Commissioni costituite dalla Chiesa cattolica rispettivamente con gli Ortodossi, i Luterani e gli Anglicani.

Il piano dell'opera prevede lo sviluppo di un approccio generale al tema e di tre analisi specifiche. Ad una presenta­zione generale della problematica connessa con il tema del primato e delle proposte avanzate, in campo sia cattolico che ortodosso e protestante, per superarla (capitolo I), segue infatti una analisi dei testi e una valutazione dei risultati emersi dai dialoghi ecumenici cattolico/ortodosso (capitolo II), cattolico/luterano (capitolo III) e cattolico/anglicano (capitolo IV).

Nel primo capitolo viene offerta una presentazione del primato come problema ecumenico - nella consapevolezza degli stessi Romani Pontefici e dei teologi più recenti - e delle principali proposte di rinnovamento, tra le quali emergono quelle di un esercizio effettivo della collegialità e di un ritorno alla Pentarchia.

Nei capitoli successivi (II-IV) l'autore affronta direttamente il problema del primato in riferimento ai rispettivi dialoghi. Ciascuno capitolo è impostato più o meno nella stessa struttura: visione del primato nelle rispettive Chiese o comunità non cattoliche, analisi dei testi del dialogo e valutazione critica dei risultati stessi. I diversi aspetti vengono esaminati nel contesto dell'ecclesiologia soggiacente sia alla visione tradizionale dei partner circa il primato sia ai testi dei singoli dialoghi.                          

La visione ecclesiologica è particolarmente significativa nel dialogo cattolico/ortodosso (capitolo II), i cui documenti sembrano redatti in chiave prevalentemente - se non esclusivamente - ortodossa. L' insistenza unilaterale, riscontrabile in essi, sulla realtà della Chiesa locale, fondata sull'ecclesiologia eucaristica, comporta una frammentazione dell'unità della Chiesa universale, concepita come una realtà "successiva", quasi risultante da una confederazione di Chiese locali. Nonostante il suo valore tradizionale, riconosciuto dal Vaticano II, l'ecclesiologia eucaristica nell'accentuazione che trova nel dialogo cattolico/ortodosso, comporta il rischio di autosufficienza della Chiesa locale, perché in essa è interamente presente la Chiesa. Ne consegue che essa rappresenta - almeno nella concezione di Afanassief - un contraltare alla ecclesiologia cattolica centrata sulla figura del Papa, il cui primato universale (inteso come potere di un vescovo su tutta la Chiesa) è quindi escluso e, in ogni caso, non è di carattere giuridico, ma onorifico nel contesto della sinodalità (primus inter pares).

Anche il dialogo cattolico/luterano (capitolo III) è fortemente condizionato dalla visione ecclesiologica degli iniziatori della Riforma, attuale anche ai nostri giorni. Infatti il pensiero di Lutero circa il primato risente della sua dottrina sulla natura e sul ruolo ministeriale della Chiesa. Anche nel dialogo il problema centrale continua ad essere la sacramentalità della Chiesa in rapporto alla questione dell'unicità mediatrice di Cristo, in merito alla quale le due ecclesiologie sono ancora contrapposte.

Si comprende pertanto perché il dialogo si sia incentrato soprattutto sulla sacramentalità della Chiesa, sulla successione apostolica e sul ministero, quali tappe obbligatorie per risolvere il problema del primato universale, che però non è ancora stato affrontato a fondo, almeno a livello internazionale. Non essendo ancora superate dette problematiche, è ovvio che non sia stato raggiunto un consenso sul primato: sono scomparsi i toni stridenti della critica papale dei tempi della Riforma e della Controriforma, ma nonostante la tanto proclamata disponibilità del luteranesimo ad accettare un servizio alla Chiesa universale, permangono tuttora fondamentali punti di controversia (ius divinum e pienezza della potestà del Vescovo di Roma).

Risultati più promettenti sembra invece aver raggiunto il dialogo cattolico/anglicano (capitolo IV), anche perché, almeno alle origini della Riforma anglicana, la questione del primato non rivestiva un carattere specificamente dottrinale, e soprattutto perché la Commissione vi ha prestato una attenzione ampia e diretta, e valendosi delle valutazioni ufficiali dei risultati della prima fase da parte delle rispettive autorità ecclesiali. Frutto di tale attenzione è il recente documento Il dono dell'autorità, nel quale si riconosce espressamente l'esigenza di un ministero universale, di fatto trasmesso al Vescovo di Roma, anche se restano aperte le questioni del ius divinum e del concreto esercizio di tale primato, nel contesto della collegialità e della sinodalità.

In appendice viene pubblicato un precedente studio dell'autore su "Le Chiese sorelle" (Antonianum, 1996), nel quale dopo la descrizione dell'origine e lo sviluppo dell'espressione e del suo fondamento  teologico, alla luce di alcune considerazioni dottrinali vengono richiamate le implicazioni ecumeniche soggiacenti all'espressione. In particolare sono interessanti le puntualizzazioni circa le ambiguità ed errori dottrinali che un suo uso improprio comporta soprattutto in riferimento alla unicità della Chiesa.

 


 
 
 
 
 
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