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Revista Antonianum
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Foto Nobile Marco , Recensione: Doron Mendels, The rise and the fall of jewish nationalism. Jewish and christian ethnicity in ancient Palestine , in Antonianum, 74/2 (1999) p. 344-345 .

Il presente saggio, alla sua seconda edizione, è, per usare le parole dell'autore, "un tentativo di comprendere il nazionalismo giudaico all'interno del contesto del nazionalismo del mondo ellenistico"(p.1). Due sono gli elementi che in tale affermazione sono da porre in rilievo:1) il nazionalismo giudaico e 2) il mondo ellenistico. Il M., uno storico israeliano già segnalatosi per studi sulla stessa fascia epocale (cf. The Land of Israel as political concept in Hasmonean literature. Recourse to history in second century B.C..Claims to the Holy Land [Tübingen 1987], pure da noi recensito in "Antonianum"), ritorna a focalizzare la sua attenzione sul periodo storico che va dal II sec.a.C. al I d.C., cioè dal periodo della dinastia asmonea fino alla seconda grande guerra contro Roma (132-135 d.C.). Stavolta, il tema che egli svolge è quello del "nazionalismo", cioè dell'autoconsapevolezza che il popolo giudaico del tempo, in esso compresi Cristo e i suoi primi seguaci che di esso facevano parte, nutriva nei riguardi di se stesso come nazione, sia dal punto di vista politico che da quello socio-culturale e religioso. Il termine di nazionalismo, scelto dall'autore, deve aver provocato alla prima edizione del saggio qualche reazione critica, se egli sente il bisogno nella prefazione alla seconda edizione, di spiegarne la sua semplice valenza etnica, cioè il modo con il quale gli ebrei del tempo guardavano a sé appunto come nazione.

Il modo più adeguato per venire a capo della questione, è quello d'inquadrarla nella più vasta cornice della cultura ellenistica, sia sotto il punto di vista prettamente storico che sotto quello storiografico o letterario. Così il M. esamina dapprima la società ellenistica presente all'epoca nel Vicino Oriente secondo quattro istituti-chiave, il tempio, il territorio, la regalità e l'esercito: quattro elementi costitutivi della strutturazione sociale dei regni ellenistici; indi, passa ad analizzare ciascuno di questi istituti nella società giudaica del tempo, servendosi sia di fonti storico-archeologiche che di fonti letterarie, classiche e giudaiche.

La disamina dell'autore risulta molto interessante ed arricchente, specialmente per il fatto che viene a confermare dal suo punto di vista di storico quanto già sta diventando patrimonio comune nell'ambito degli studi biblici e giudaistici. Il pianeta "giudaismo" del secondo tempio si rivela sempre più come un territorio da esplorare in tutte le sue implicazioni, solo adesso adeguatamente illuminabili, grazie soprattutto alla scoperta o riscoperta di una quantità notevole di fonti (Qumran e letteratura intertestamentaria in genere).

Il M. fa scorrere la sua analisi lungo lo svolgimento storico che parte dall'insediarsi della dinastia asmonea (quella dei Maccabei), ancora in atmosfera "greca", e va giù giù verso l'instaurarsi del potere romano nel 63 a.C. (Pompeo) e verso il passaggio della regalità ad Erode il Grande e alla sua dinastia (ultimo erede Agrippa II), fino all'esplosione delle due grandi guerre antiromane (66-70 d.C. e 132-135 d.C.). Ogni volta, l'autore esamina la concezione di turno degli ebrei di Palestina attorno ai quattro elementi suddetti. L'analisi è lucida e stimolante e mostra come, a seconda del momento politico, le convinzioni si caricassero di sfumature semantiche diverse, che andavano da un'autoconsapevolezza politico-religiosa ben salda e monolitica (periodo strettamente maccabaico) ad un ventaglio di soluzioni che ondeggiavano tra il pacifismo sociale e religioso (nutrito da ellenizzanti o gruppi spiritualisti) e l'interventismo di tipo militare, che caratterizzerà però solo alcuni momenti climactici, nei quali si faranno protagonisti gruppi come quello degli zeloti-sicarii (dal M. ridimensionati rispetto all'opinione di M. Hengel) al tempo delle guerre antiromane.

In tale quadro storico complesso è da sottolineare quell'atteggiamento che il M. chiama "schizofrenico", iniziato dalla dinastia asmonea (di origine sacerdotale non sadochita) e portato al suo culmine da Erode il Grande (un semi-ebreo, di origine idumea).Tale schizofrenia consisteva nel voler da un lato rappresentare la nazione giudaica secondo quella quadruplice modulazione di cui sopra, e dall'altro di voler soddisfare ai canoni della "grecità"ellenistica, ora per motivi di scelta personale, ora per la composizione eterogenea della popolazione ("greci" non ebrei, ebrei simpatizzanti ed ebrei contrari all'ellenismo) e ora soprattutto per compiacere il potere romano di cui si era cliente (Erode). Ad ogni modo, il M. registra la progressiva spiritualizzazione dei quattro fondamenti della società giudaica, man mano che la popolazione non si sentiva adeguatamente rappresentata dal potere politico. In questo quadro sono da considerare la figura di Gesù e dei suoi seguaci, i cristiani, dei quali l'autore utilizza pienamente le fonti, cioè il Nuovo Testamento, conferendo ad esse una buona dose di affidabilità storica.

Come si diceva prima, il libro del M. non si presenta come nuovo a chi conosce già la problematica ivi dibattuta, tuttavia esso ha il pregio dell'apporto di uno storico di professione, il quale ci offre una magistrale analisi di un periodo che ha una vitale importanza sia per gli ebrei che per i cristiani, perché è il momento dell'emergenza della loro identificazione prima e della loro distinzione dopo.


 
 
 
 
 
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