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Rivista Antonianum
Informazione sulla pubblicazione

 
 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: Lucan Freppert, The basis of morality according to William Ockham , in Antonianum, 64/4 (1989) p. 615-617 .

Questo lavoro è la dissertazione dottorale dell'autore elaborata sotto la direzione del noto studioso francescano Alan B. Wolter alla St. Bona-venture's University (USA) l'anno 1961.

In mancanza dell'edizione critica delle opere di Ockham, l'autore ha dovuto utilizzare l'edizione degli « incunabula » del Commentario alle Sentenze. Tuttavia, nella stesura attuale le citazioni corrispondono al testo dell'edizione critica pubblicata recentemente.

Già nel 1952 P. Boehner aveva rilevato che una seria investigazione sull'etica di Ockham non era ancora stata fatta da nessuno. Si può affer­mare, quindi, che il compito assunto da Freppert rappresenta un grande contributo scientifico in questo campo della filosofia occamista.

L'autore è del parere che nel campo dell'etica Ockham abbia seguito, almeno nelle linee generali, la posizione del Duns Scotus, traendo alle logiche conclusioni le idee fondamentali di questo.

Freppert propone di fare uno studio della teoria etica di Ockham come appare nel suo Commentario alle Sentenze e i Quodlibeta, allo scopo di stabilire la norma o il criterio della moralità. Ockham ci pre­senta due norme: a) soggettiva e prossima: la rettitudine della ragione e della volontà umana, e b) oggettiva e ultima: la volontà di Dio. Si po­trebbe, allora, parlare di due sistemi di moralità — l'uno fondato sulla volontà dell'uomo e l'altro fondato sulla volontà di Dio —. Secondo l'au­tore i due sistemi stanno in mutua relazione; inoltre, esiste una stretta e intima dipendenza dell'uno dall'altro.

Fedele alla tradizione francescana in favore del volontarismo, Ockham ritiene che il campo della moralità appartiene esclusivamente al dominio della volontà. Soltanto l'atto della volontà è virtuoso o vizioso. Ogni atto che non soggiace  immediatamente  al  dominio  della  volontà  può chiamarsi morale solo parzialmente o per pura denominazione estrin­seca. Il ruolo della ragione consiste nella prudenza richiesta per l'emis­sione di un atto moralmente buono. Questo è il significato preciso del­l'afférmazione: « l'atto deve essere emesso in conformità alla retta ra­gione ». La ragione, però, per essere retta deve essere regolata dalla volontà di Dio manifestata attraverso i suoi divini precetti. L'obbedienza alla volontà di Dio deve essere intesa nei termini equivalenti di amore di Dio: « Ama Dio e fa ciò che Egli vuole ». L'atto di amare Dio è, quindi, secondo Ockham, il primo principio e la fonte di ogni atto buono.

L'autore rileva che la dottrina dell'onnipotenza divina è un punto importante nel pensiero filosofico di Ockham. La controversia sorge, però, quando si chiede se tale dottrina possa anche considerarsi come il punto di partenza dell'attività filosofica di Ockham. Dio può fare tutto — tutto ciò che può essere fatto (omne factibile) senza contraddizione. A questo punto è di massima rilevanza la distinzione tra potere assoluto di Dio (che cosa può fare Dio?) e potere ordinario di Dio (che cosa fa Dio?).

In disaccordo con Scoto, Ockham sostiene che l'atto esteriore non possiede una moralità distinta da quella dell'atto interiore. Mentre se­condo il Sottile, la prudenza attuale è la sola causa efficiente dell'atto virtuoso, Ockham insiste nell'affermazione che la prudenza attuale è una causa parziale, siccome c'è anche l'attività della volontà coinvolta nell'atto virtuoso.

In quanto alle condizioni richieste per l'atto virtuoso, Ockham ri­tiene che l'atto deve essere voluto liberamente, deve essere voluto in conformità alla retta ragione, e deve essere motivato dall'amore di Dio e in ossequio al suo volere.

Per quanto concerne la natura della moralità, l'autore osserva giu­stamente un'altra divergenza tra Scoto e Ockham. Secondo Scoto, la sostanza dell'atto virtuoso e la sostanza dell'atto vizioso può essere la stessa: l'atto è virtuoso o vizioso dipendentemente dalla conformità alle circostanze richieste, quindi la rettitudine aggiunge qualcosa di più alla sostanza dell'atto. Ockham, invece, ritiene che la sostanza dell'atto è iden­tica con la rettitudine dell'atto. Ammettendo che la deformità morale consiste nella mancanza di rettitudine, tuttavia, secondo Scoto, tale man­canza sta nell'atto, mentre secondo Ockham, la stessa mancanza sta nella volontà del peccatore.

Merita una considerazione particolare la soluzione che Ockham pro­pone a quattro distinti problemi: a) la relazione che esiste tra amore di Dio e obbedienza a Dio; b) può Dio comandare l'uomo ad operare il male?; e) può Dio causare l'odio di Se stesso nella volontà creata?; d) può Dio comandare che Egli non sia amato e anche che sia odiato?... Nel ri­spondere a tutti questi interrogativi Ockham introduce delle distinzioni abbastanza sottili che esigerebbero molta riflessione logica e ontologica per essere adeguatamente comprese.

A nostro giudizio, l'autore, concentrandosi direttamente sul pensiero di Ockham, ci fornisce una critica assai positiva della teoria etica di questo grande pensatore francescano.


 


 
 
 
 
 
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