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Rivista Antonianum
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Foto Herman Z.I. , Recensione: HANS CONZELMANN, Heiden — Juden — Christen. Auseinandersetzungen in der Literatur der hellenistisch-rómischen Zeit , in Antonianum, 59/3-4 (1984) p. 572-575 .

E' da diverso tempo che il famoso esegeta-storico non si fa vivo con un libro di spicco. Per i suoi studi sul Vangelo di Luca, sulla 1 Cor e sulla   storia   del   cristianesimo   delle   origini,   la   platea   esegetica   gli  ha

tributato, decenni addietro, meritato e quasi unanime plauso. Rieccolo ora alle prese con un problema tutto particolare: l'antisemitismo antico così come venne registrato dalla letteratura del periodo ellenistico-romano, che abbraccia grosso modo cinque secoli, dall'anno 300 a.C. al 200 d.C.

Conzelmann definisce il suo tentativo: « streng historische, unmittelbar aus den Quellen geschopfte Arbeit » (p. 1). Aggiunge subito che lo studio non è stato scritto « aus musealem historischen Interesse », ma sempre con lo sguardo rivolto alla situazione presente, soprattutto alla situazione « der derzeitigen Kirche (quale?), die durch lautstarke Kundgebungen die eigene Selbstauflòsung mit Emsigkeit betreibt », facendo programmi di potere « die eine Ermachtigung der Welt zum Heilsreich als moglich vorgaukeln, wenn nur den Parolen der christlichen Kirchenfuktionàre gehorcht wird — im 20. Jahrhundert » (p. 1). Segue una severa critica dell'attuale kerygma ecclesiale dove la « teologia della Parola » viene sop­piantata « durch lauthalsiges Vertreten zeitgefàlliger weltanschaulicher Pa­rolen ... Ersatz des Glaubens durch ein weltanschauliches Gesetz, das ins Unheil fuhrt » (p. 2). Questa « perversione », come la definisce l'autore, sarebbe oggi teologicamente camuffata nella dottrina sulla « Heilsge-schichte », che per Conzelmann risulta assurda: « Welches Heil ist derni gemeint, wenn es eine "Geschichte" hat? » (p. 2). Chi in questa domanda potrebbe riconoscere l'autore che trent'anni fa scrisse « Die Mitte der Zeit »?! Nell'impeto polemico Conzelmann sembra poi voglia sfondare le porte aperte, ordinando: « die unertràglichen, theologisch unmoglichen Streitereien iiber die Sehuld des Tode Jesu miissen aufhoren ... Spricht man aber von einem "Gottesmord", so ist jeder Mensch als Sùnder vor Gott gleich schuldig, auch der heutige » (p. 4). Questo desiderio-ordine, ci sembra, sia stato da tempo esaudito, almeno per quanto riguarda la teologia cattolica (senza ignorare molte nefaste pagine del passato). Si può essere concordi invece con un altro imperativo di Conzelmann: « Die Christen, Kirchen, sollten ihre Finger von einer religiosen Politik lassen, von der sie ohnehin nichts verstehen » (p. 5).

Leggendo queste cinque pagine, che l'autore ha premesso al suo libro, definendole « Zur Einfiihrung », si rimane delusi, non solo per il tono da pamphlet, ma soprattutto perché non si vede in che modo possano servire da introduzione ad uno studio qualificato « als streng historische, unmittelbar aus den Quellen geschopfte Arbeit » (p. 1). Se ne è reso conto, forse in ritardo, lo stesso Conzelmann, visto che nel Vorwort (p. Ili), nota di sfuggita, che lo scopo dello studio viene esplicitato nell'introduzione alla prima parte (una metodologia che forse solo i grandi maestri si possono permettere). Veniamo così a sapere che l'autore vorrebbe col­mare una lacuna nella recente letteratura tedesca, dove manca « einiger-mafien zusammenfassende Darstellung des antiken "Antisemitismus" ... Ziel ist das geschichtliche Verstehen als solches » (p. 9). Si vuol vedere direttamente dalle fonti stesse come l'ebraismo — in quanto caratterizzato dalla Legge — fu accettato o meno dall'ambiente circostante. L'autore pun­tualizza ancor di più: « der — gesetzlich konzipierte — Monotheismus als politisches Problem » (p. 9). Conzelmann è cosciente dei limiti dell'impresa: in base alla documentazione non si può scrivere una storia continua dell'antisemitismo antico per il semplice stato di fatto: « es gibt keinen kontinuierlichen, zu einer "Bewegung" zusammengeschlossenen antiken Antijudaismus », per cui si è costretti a limitarsi a registrarne solo « ein-zelne Stimmungen, Eruptionen, Kulminationspunkte » (p. 11).

A questo punto le riserve, accennate sopra, cedono il posto alla sincera ammirazione per l'opera svolta. Il lettore si addentra in una foresta senza confini, sentendosi tuttavia a proprio agio sotto la guida esperta dell'autore, che con dovizia accorcia le distanze scegliendo i sentieri sicuri e ben riconoscibili: vi sono rarissimi periodi del libro che non siano accompagnati da una nota esplicativa (l'apparato critico ne contiene ben 1462), senza contare i continui rimandi alle fonti nel testo stesso.

Lo studio si articola in tre parti. La prima (pp. 9-120) esamina la situa­zione dei Giudei in Egitto (soprattutto in Alessandria) e nell'impero romano (nei primi due secoli d.c, da Tiberio ad Adriano). Segue una minuziosa indagine del giudizio dato sul giudaismo nella letteratura greca (da Erodoto a Porfirio) e quella romana (da Orazio a Tacito). Il risultato: il punto cruciale della polemica « antisemita » è sempre la Legge giudaica, parti­colarmente il primo comandamento del Decalogo (= monoteismo) al quale sono, grosso modo, riducibili tutti gli altri. Da notare: « eine antijiidische "Bewegung" bleibt in der Antike jeweìls lokal begrenzt » (p. 119). Anche qui, però, l'autore guarda al presente, concludendo in modo parenetico che i cristiani non potranno mai accettare Israele come un popolo santo (sinceramente non ne vediamo il perché!), ma dovranno limitarsi ad una pura comprensione umana, non-religiosa, « da die Christen in der Welt unter dem Liebesgebot, des Gesetzes Ende, stehen » (p. 120).

Nella seconda parte il procedimento è rovesciato: si vuol studiare l'atteggiamento del giudaismo ellenistico (di quello palestinese mancano le fonti) rispetto al mondo greco-romano (pp. 121-218). Si parte dai LXX per finire con gli Oracoli sibillini. L'autore conclude che il periodo di questa apologetica giudaica è troppo breve per poter essere « fiir das Judentum iiberhaupt charakteristisch» (p. 217). Il rabbinismo, fino ad oggi, non sarebbe mai sceso a toni apologetici: « die Wahrheit der jiidischen Lehre und der judischen Lebensform ist fiir das Judentum kein Gegenstand von Disputation ». Parenesi: «Das ist fiir "Religionsgesprache" zu beachten » (p. 217).

La terza parte (pp. 219-322) indaga sui rapporti tra i cristiani e i Giudei fino ad Origene. Si incomincia dagli stessi scritti del NT, per passare tramite i padri apostolici, apocrifi, letteratura gnostica, ai grandi apologeti (da Giustino ad Origene). Alla fine ci si ritrova di nuovo all'inizio: «wir stehen wieder am Ausgangspunkt » (p. 322), ossia occorre tirare le somme per I presente. Quello che interessa oggi nel dialogo giudeo-cristiano « ist nur die Glaubensfrage ». La chiesa non è un popolo nel senso etnico (ma « congregatio sanctorum in qua evangelium pure docetur et recte administrantur sacramenta », p. 322), e i Giudei non possono essere consi­derati « besondere eschatologische Kalegorie », perché in questa categoria entrano tutti gli uomini, in quanto peccatori, « die vor Gott des Ruhmes mangeln, auch des christlichen, da der Glaube der Verzicht auf diesen einschliefit, alle in gleicher Weise allein durch Glauben gerechtfertigt, was Paulus Ròm 3,30 in den Bekenntnis fundiert, dal? ein Gott ist » (p. 322). Con questa constatazione Conzelmann chiude il libro.

Il volume è provvisto di abbondante bibliografia e di tre indici, di materie, dei nomi di persone e luoghi, nonché degli autori e scritti «soweit nicht durch das Inhaltsverzeichnis zuganglich » (p. 350).

Lo studio di Conzelmann è una vera miniera per ulteriori ricerche. Si rimane meravigliati come un uomo da solo possa aver raccolto tanti dati, sfogliando un mare di letteratura, e poi sistemarli con precisione quasi da computer. Abbiamo visto che l'autore non ha svolto l'indagine con freddo distacco da storico-archeologo. E' partito con una precisa « precompren­sione » sull'attuale situazione nel dialogo giudeo-cristiano, volendo dare il colpo di grazia ad ogni forma di antisemitismo. Un'impresa encomiabile e generosa. Rimane tuttavia la domanda-dubbio se questo interesse per la situazione contemporanea (un interesse spesso viscerale, come si vede dal « Zur Einfuhrung » e dalle conclusioni, brevi e taglienti, delle singole parti), non abbia condizionato in maniera troppo forte e riduttiva la stessa ricerca storica.


 
 
 
 
 
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