Inizio > Rivista Antonianum > Articoli > Nobile Giovedì 21 novembre 2024
 

Rivista Antonianum
Informazione sulla pubblicazione

 
 
 
 
Foto Nobile Marco , Recensione: A. MATTIOLI, Dio e l'uomo nella Bibbia d'Israele. Teologia dell'Antico Testamento, in Antonianum, 58/2-3 (1983) p. 488-489 .

Come riferisce l'Autore nella prefazione del libro, la sua grande fatica letteraria e scientifica è il primo tentativo di una teologia dell'A.T. in Italia. Finora si avevano solo delle teologie, anche classiche se si vuole, ma tradotte. Ciò non toglie niente al valore di esse né esime l'opera in questione dal sottoporsi alla costruttiva critica della criteriologia per una teologia veterotestamentaria problematizzata da una di esse (si veda J.L. Me Kenzie, Teologia dell'Antico Testamento Queriniana, Brescia 1978, 11-22).

Uno dei rischi che si corrono quando si vuol comporre una teologia riguardante un territorio così vasto, complesso e non facilmente ricon­ducibile alle nostre armonizzazioni come l'A.T., è quello appunto di piegare la troppo estesa quantità di materiali e problemi negli spazi angusti di nostre categorie teologiche precostituite. D'altra parte bisogna pure padroneggiare la congerie del materiale veterotestamentario, ed è quanto ha tentato di fare l'A., imbrigliando l'A.T. in quattro parti, moti­vate da una base di partenza prettamente teologica: Dio e l'uomo nel loro reciproco rapporto sul piano della creazione e su quello della redenzione.

Nella prima parte, quindi, si comincia con il considerare Dio e l'uomo nel loro rapporto di creatore e creatura. E' una ricca escursione nella storia culturale e di fede d'Israele e dei popoli limitrofi. Particolarmente interessante è il III capitolo, riguardante l'origine e l'assoluta dipendenza di tutte le cose da Jahwè  (pp.  113-158).

Nella seconda parte, l'A. passa a trattare della conseguenza sconvol­gente della creaturalità umana, ma anche della sua grandezza: l'origine del male e il peccato.  E' da sottolineare il faticoso quanto stimolante  sviluppo del tema del peccato originale, nella seconda sezione del VI ca­pitolo (pp. 269-291).

Le altre due parti del libro continuano la trattazione sul piano della « grazia », cioè, rispettivamente, dei doni salvifici con i quali lo stesso Dio della creazione interviene a favore della storia alterna d'Israele (III parte) e dei modi attraverso i quali Israele risponde a tali doni: il culto (IV parte).

L'apparato bibliografico dell'opera è ben curato. Alla bibliografia generale, posta all'inizio del libro, si aggiunge una bibliografia specifica alla fine di ognuna delle quattro parti.

Alcune osservazioni critiche finali per un'auspicabile nuova edizione dell'opera. Dovrebbe essere curata maggiormente l'espressione italiana del testo, sia sul piano morfologico che su quello sintattico: è inevitabile una tale osservazione per la prima edizione di un lavoro di così grande mole (700 pagine).

Andrebbe, poi, aggiornato qua e là l'approccio con l'antropologia religiosa e con la storia delle religioni.

La teoria di W. Schmidt circa l'evoluzione del concetto di Dio nei popoli, presentata come « la meglio accreditata e seguita » (p. 41), è in realtà datata: la problematica è molto più complessa. Inoltre, l'A. identi­fica almeno un paio di volte il mazdeismo « tout court » con la riforma religiosa di Zaratustra (cfr. p. 247). Zaratustra si è inserito, probabil­mente all'inizio del I millennio, in una grande religione preesistente in modo originale e la sua riforma religiosa ha avuto uno sviluppo, ancora nuovo, in quello che si può chiamare lo zoroastrismo (cfr., ad es., J. Duchesne-Guillemin, « L'Iran antico e Zoroastro » Storia delle Religioni a cura di H.-C. Puech, Bari 1977, 109-175).


 
 
 
 
 
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