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Foto Oviedo Lluis - Canteras Manuel, Disputationes: Un istruttivo dibattito attorno alla profilassi dell'Aids, in Antonianum, 84/1 (2009) p. 223-233 .

La questione dell'Aids in Africa e l'opportunità o meno di ricorrere ai preservativi come mezzo di profilassi ha alimentato un accesso dibattito in diversi ambienti e a diversi livelli. A seguito delle opinioni espresse in me­rito da Papa Benedetto XVI, alcuni dirigenti politici, giornalisti e scienziati hanno voluto intervenire con toni molto critici e una virulenza talvolta spro­porzionata, in una questione minore e forse non degna di tanta attenzione, almeno se si tiene conto del cumulo di problemi ben più urgenti che grava su quell'area geografica.

Sotto un certo profilo, sembra che si sia scatenata una nuova "guerra culturale", che segue il classico copione: i cattolici, con la loro posizione tradizionalista e intransigente, contro i liberali e gli amanti del progres­so. Diverse sono le considerazioni da fare al riguardo: come mai, in una cultura fortemente secolarizzata, le parole del Papa hanno ancora tanto peso da scatenare un così gran numero di reazioni? Perché mai ora siamo diventati così sensibili ai problemi di salute che affliggono milioni di persone nel continente più povero? Come mai una questione su cui si è già discusso a lungo sembra adesso trovare espressioni tanto dogmatiche e intolleranti?

Non possiamo trattenerci sull'analisi delle diverse dimensioni del pro­blema, in specie per quanto concerne l'ambito politico e le reazioni di diri­genti politici e corpi legislativi alle parole del Papa. Ritengo che ciò costitui­sca un altro capitolo e che meriti considerazioni a parte. Il nostro proposito, nel presente breve articolo, consiste nel presentare evidenze su due delle af­fermazioni contenute nella risposta di Benedetto XVI alla domanda di un giornalista durante il volo diretto in Africa il 17 Marzo 2009:

• "[...] non si può superare questo problema dell'Aids solo con sol­di, pur necessari, ma se non c'è l'anima, se gli africani non aiutano (impegnando la responsabilità personale), non si può superarlo con la distribuzione di preservativi: al contrario, aumentano il problema";

• " [...] penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l'Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movi­menti, con le sue diverse realtà"1.

Nel primo caso, presenteremo un resoconto degli studi pubblicati in merito, sullo sfondo del duro editoriale critico apparso sulla nota rivista me­dica inglese The Lancet, nel secondo, uno studio statistico potrà forse for­nirci qualche orientamento sul rapporto tra presenza cattolica e diffusione dell'Aids. Nel riportare questi dati, vorremmo spostare la discussione dal campo ideologico a quello dell'analisi di documenti e situazioni concrete; in tal modo riteniamo che si possa riuscire meglio a far luce su problemi del genere, ma da una prospettiva più "scientifica", al di là dei pregiudizi e delle scelte di parte.

1. Complessità e problemi dell'uso profilattico dei preservativi

Lo scorso 28 Marzo 2009 la prestigiosa rivista medica The Lancet pub­blicava un duro editoriale contro le parole del Papa, dal titolo Redemption for the Pope?1. In sintesi, il Direttore della rivista inizia definendo le affer­mazioni del Pontefice "scandalose e estremamente inesatte" {outrageous and ivildly inaccurate). Inoltre, nell'affermare che l'uso di preservativi esacerba il problema dell'Aids, "il Papa distorce pubblicamente l'evidenza scientifica" per difendere i propri interessi dottrinali. Il testo ribadisce che le diverse au­torità in materia stabiliscono con chiarezza che il preservativo è il mezzo più effettivo nella lotta contro l'Aids. Egli insiste poi sul fatto che il Papa ha fatto in questo caso "un'affermazione scientificamente falsa", che potrebbe avere conseguenze devastanti per milioni di persone e dovrebbe essere dunque ri­trattata, correggendo tale posizione, dal momento che altrimenti renderebbe un cattivo servizio alle migliaia di operatori cattolici impegnati nella lotta contro la diffusione della malattia.

Fin qui le critiche della nota rivista medica, che parla assumendo tutta la propria autorità entro l'ambito scientifico. Se la discussione deve svolgersi in quell'ambiente, allora ciò che conta sono gli argomenti scientifici, non i pregiudizi o le ideologie. Avviare una indagine su questo tema risulta relati­vamente facile, giacché su Internet esistono diversi database elettronici ad ac­cesso libero. Abbiamo intrapreso due semplici indagini utilizzando il motore di ricerca Google Scholar, nel quale abbiamo inserito i termini "Aids, Africa, condoms", e inoltre nel database medico PubMed, con le parole "condoms effectiveness Aids" (362 riferimenti). Dopo una revisione dei titoli e degli ab­stract dei cento primi articoli citati in ogni caso, abbiamo selezionato quelli che ritenevamo più rilevanti per la discussione; inoltre, la lettura di alcuni di questi articoli ci ha indicato altri titoli pertinenti. In un secondo momento, offriremo una sintesi dei principali punti in discussione. E evidente che si registra un grande pluralismo e che molti articoli difendono risolutamente l'uso dei preservativi come mezzo più adeguato per combattere la diffusio­ne dellAids. La nostra selezione mira piuttosto a evidenziare gli interventi scientifici che rilevano i problemi e i limiti di tale strategia.

Gli argomenti raccolti mediante la nostra selezione possono essere orga­nizzati nel modo seguente:

a.  L'uso di preservativi potrebbe indurre una sensazione di sicurezza, che favorisce comportamenti più rischiosi; l'esempio lo fornisce l'ob­bligo dell'uso della cintura di sicurezza nelle automobili. Esse salvano
certamente molte vite ma inducono nel contempo l'assunzione di un nuovo comportamento, che incrementa il rischio e provoca dunque conseguenze negative, nel senso contrario all'obiettivo previsto. Un processo analogo ha luogo quando si punta troppo sull'uso del pre­servativo per ridurre i livelli di contagio. Curiosamente, l'articolo in esame è stato pubblicato proprio su The Lancet nel 20003. Altri studi più recenti apportano nuovi dati a conferma di tali tesi4.

b.  Non esistono evidenze statistiche che mostrino una correlazione po­sitiva tra la distribuzione di preservativi a una determinata popola­zione e una significativa diminuzione dell'incidenza dell'Aids. Come
affermano esplicitamente gli autori di un articolo: "Thepublic health benefit of condoni promotion in settings with widespread heterosexual transmission, however, remains unestablished"^. Spesso si suggerisce che le strategie volte a diminuire il numero di partner siano più efficaci di quelle che promuovono l'uso dei contraccettivi esterni. Altre ci­fre mostrano che l'impegno di distribuire milioni di preservativi in Africa non ha contribuito a migliorare le cose. Parte del problema, afferma l'antropologo Steven Mosher6, riguarda le stime che indica­no tra l'85 e l'87% l'efficacia dell'uso del preservativo per evitare il contagio7; di conseguenza, un uso massiccio di preservativi potrebbe esporre a gravi rischi il restante 15%.

e. Un argomento simile riguarda gli alti indici di "fallimento del pre­servativo" che si registrano in Africa. Disponiamo di diverse analisi in merito che indicano proporzioni preoccupanti al riguardo, che salgono addirittura al 34-41% in due studi empirici8. E ovvio che, di fronte a simili cifre, non è prudente investire su strategie per la diffusione del preservativo, per quanto il suo uso inadeguato pone maggiori problemi di quanti non ne risolva. Gli studi citati richie­dono comunque politiche educative mirate a promuovere un uso più adeguato e costante del preservativo.

d. Altri studi ricorrono all'esempio dell'Uganda per mostrare le pecu­liarità di uno dei pochi casi in cui si sia riusciti a capovolgere la dif­fusione dell'AIDS. Una prima analisi mette a confronto il caso del Botswana e quello dell'Uganda; in termini non equivoci gli autori affermano: " the promotion of condoms at an early stage proved to be counter-productive in Botswana, whereas the lack of condom promotion during the 1980s and early 1990s contributed to the relative success of behaviour change strategies in Uganda"9. Tale confronto rivela quanto sia sbagliato applicare certe politiche senza tener conto dei contesti locali. Altre analisi danno risalto al successo riportato, soprattutto nel caso ugandese, dall'applicazione della strategia chiamata "ABC": astinenza, fedeltà e uso mirato di preservativi, specialmente negli ambienti della prostituzione. Il dato importante è che il fattore che avrebbe reso possibile il declino effettivo dell'Aids in Uganda non è tanto la distribuzione di preservativi, quanto le altre due misure. Questo punto è stato verificato nel confronto con altri paesi, che han­no attuato programmi di distribuzione di preservativi, ma non le altre due misure, e non hanno ottenuto gli stessi risultati positivi10. Infat­ti, gli autori dell'articolo, pubblicato sulla prestigiosa rivista Science, ritengono che i preservativi fossero "una componente minima nella strategia originale" di lotta contro l'Aids, volta piuttosto a intimorire la popolazione riguardo al possibile contagio legato a comportamenti sessuali a rischio.

e. Una linea diversa mette in rilievo le caratteristiche antropologiche e culturali che presiedono ai comportamenti sessuali in Africa e che rendono il ricorso al preservativo scarsamente efficace nel combattere l'Aids. Uno studio di campo avviato in Togo dimostra i limiti di tale tattica: "condoni access is inadequate to change risky sexual behavior that spreads HIV. It must be supplemented with adequate empowermenfu. Il problema di fondo - sostengono i conoscitori delle culture africane - è l'orientamento fortemente riproduttivo della sessualità in quella zona, che si traduce in un rifiuto del preservativo. Il problema prin­cipale sembra essere quello dei comportamenti sessuali a rischio. Ciò rende necessaria una formazione diversa, che certamente non può esaurirsi nella distribuzione di preservativi, che contribuisca piutto­sto a creare una cultura nella quale le donne possano difendersi e svolgere un loro ruolo nelle scelte in materia di salute.

Oltre ai punti citati, esistono diversi studi e analisi sugli articoli pub­blicati da riviste specializzate, che mostrano una certa complessità riguardo all'efficienza dei preservativi; in molti casi si insiste sulla loro promozione, ma più sovente si richiede piuttosto la combinazione con misure alternative. Tali studi mostrano da una parte un effetto positivo del ricorso al preservati­vo come misura profilattica ma, nello stesso tempo, l'efficacia del preservati­vo viene messa in dubbio qualora esso non venga utilizzato in modo coerente e corretto12. Abbiamo la sensazione che chi propone simili condizioni miri troppo in alto, se si tiene conto del contesto africano, dove in molte zone presupporre la disponibilità e l'accesso a basso costo ai preservativi risulta alquanto idealista. Le conclusioni degli studi che puntano a quelle condi­zioni si pongono su un piano di norma scarsamente realistico, che riduce inevitabilmente la credibilità dei modelli matematici elaborati. In altri casi, si dichiara apertamente la mancanza di evidenze in rapporto agli investimen­ti orientati a prevenire l'Aids: " The largest investments in AIDS prevention targeted to the general population are being made in interventions where the evidencefor large-scale impact is uncertain. Questo articolo, pubblicato su Science nel 2008, mostra la limitata incidenza dei preservativi nel combatte­re l'Aids, malgrado la loro distribuzione sia stata sovvenzionata da generosi programmi, e suggerisce piuttosto la circoncisione e di "ridurre il numero di partner".

Il nostro intervento è partito dall'editoriale di The Lancet in cui si lancia­vano gravi accuse contro Benedetto XVI in nome della precisione scientifica e del rispetto per la ricerca. Riteniamo che, a seguito della revisione degli articoli scientifici pubblicati dopo l'anno 2000, non sia possibile sostenere tali accuse, visto che la situazione è molto più complessa di quanto si possa supporre nelle versioni semplificate del problema in esame. Lo stesso argo­mento è sostenuto dai numerosi lettori che hanno inviato lettere di protesta al Direttore della rivista. The Lancet ha recentemente pubblicato quattro delle molte lettere ricevute nel numero del 9 Maggio 200914. Restano due con­siderazioni da aggiungere prima di passare al prossimo punto, una di stampo sociologico e una di carattere epistemologico.

La prima riguarda l'attuale situazione di libero accesso alle ricerche scientifiche: l'uso di Internet e la quantità di database bibliografici dispo­nibili in campo medico rendono estremamente facile avviare indagini che consentano di verificare in tempi brevi lo stato della ricerca in un dato do­minio. Non esiste più un monopolio dei dati e dei risultati delle ricerche. Di conseguenza, tutti dovrebbero essere un po' più cauti nel fare affermazioni troppo categoriche o frettolose in nome della "scienza", dal momento che oggi tale scienza esiste in un formato molto più plurale e accessibile.

La seconda considerazione riguarda la nostra attuale concezione dello statuto della scienza, e segnatamente delle cosiddette "scienze speciali", un termine coniato da Jerry Fodor per designare le discipline che hanno a che fare con un livello più elevato di complessità e hanno uno statuto diverso da quello della fisica classica. Sta di fatto che la biologia e le scienze terapeutiche appartengono decisamente a questo gruppo "speciale", e il loro sviluppo pro­cede dunque in modo meno lineare; le loro teorie si fondano su osservazioni che cercano di stabilire probabilità elevate e di costruire modelli molto vicini ai processi reali. Ne risulta spesso una visione complessiva in cui non una sola teoria, ma un insieme di osservazioni e costruzioni teoriche contribu­iscono a capire meglio processi reali in campo biologico e medico. Sarebbe un grave errore voler semplificare questo panorama, che si presenta ricco e diverso, nell'ambito del quale i progressi devono fare i conti con una plurali­tà di fattori che intervengono nei processi studiati. La situazione si presenta come molto più plurale, e allora diventa più difficile usare la "scienza" come strumento di esclusione e di condanna di posizioni non condivise; i suoi contorni sono divenuti meno precisi e le linee da tracciare meno decise. Poi­ché tale è lo statuto delle scienze mediche e per ora non esiste una evidenza forte riguardo alla distribuzione di preservativi come mezzo appropriato per combattere l'Aids, sarebbe preferibile astenersi da giudizi sommari15 e dedi­care più tempo e risorse alla ricerca di campo sui sistemi che meglio possono contribuire a frenare l'epidemia. D'altronde, non ci sembra giusto fare della scienza "un termine retorico, che incorpora prestigio e potere, che serve a rinforzare una propria posizione"16. Piuttosto, la scienza farebbe bene a man­tenere uno status neutrale e descrittivo, se non vuole screditarsi.

2. La presenza dei cattolici incide sulla diffusione dell'Aids?

La seconda questione che ci poniamo è quanto sia verificabile l'affer­mazione di Papa Benedetto XVI sull'impegno dei cattolici nell'affrontare l'Aids. Le indagini possono sicuramente rilevare le molteplici organizzazioni e istituzioni cattoliche impegnate direttamente sul campo. Dal nostro punto di vista abbiamo tentato un approccio diverso, facendo ricorso alle statistiche sulla diffusione della malattia nei paesi africani, per poi confrontarle con il tasso di presenza dei cattolici nei rispettivi paesi, ed eventualmente dimo­strare quanto possano incidere sulla diffusione dell'Aids altri indicatori di attività dei cattolici.

In primo luogo, abbiamo dovuto cercare dati affidabili sulle variabili che volevamo mettere in rapporto. Tali variabili sono liberamente disponibili su Internet, il che facilita le indagini. La fonte principale di stime accurate sull'incidenza della malattia in Africa è l'UNAIDS, l'agenzia delle Nazioni Unite per la lotta contro l'Aids. Siamo riusciti a trovare i dati relativi alle stime per la fine del 2005 e per la fine del 200717.

I dati di quelle due risorse offrono una lista di 44 paesi sub-sahariani, ma si è deciso di fissare uno sbarramento di più di 100.000 casi di persone infette; ne risultavano 26 paesi di quell'area (si veda la tabella).

Inoltre abbiamo cercato indicatori sulla presenza dei cattolici. I dati più affidabili e aggiornati sembrano trovarsi nello Statistical Yearbook ofthe Church 200618. Abbiamo preso in considerazione diversi fattori e variabi­li per dimostrare i livelli di correlazione con le cifre relative all'incidenza dell'Aids.

Dopo alcune considerazioni si è deciso di escludere l'Etiopia, dove i casi registrati sono 980.000, e la stima di contagio è pari al 2,1% della popolazio­ne, ma la composizione religiosa maggioritaria è ortodossa etiopica (50,6%), mentre la minoranza cattolica è pari solo allo 0,9%. Esclusivamente nel caso dell'Etiopia, sembra che tale orientamento religioso possa essere inteso come un fattore di freno dell'Aids; comunque, la grande maggioranza di cristiani ortodossi sposta la posizione cattolica e distorce i risultati.

I risultati delle analisi volte a rilevare le correlazioni tra variabili su que­sto campione di 25 paesi sub-sahariani offrono indicazioni di grande interes­se. Tenendo conto della variabile di densità di cattolici e delle due variabili di stime di livelli di contagio HIV/AIDS (2005 e 2007), i risultati mostrano una correlazione negativa R = -0,398 (significatività p = 0,049) riguardo alle stime del 2005. La correlazione si riduce leggermente, passando a -0,385 (p = 0,057) quando le cifre si riferiscono al 2007. Il risultato migliora sensibil­mente quando si assume l'Etiopia come un caso assimilabile ai cattolici (R = -0,4225; p = 0,03, per il 2005). In termini di regressione, tenendo come pun­to di tiferimento le stime effettuate per la fine del 2005, si ottiene B = -0,189 ossia, assumendo il coefficiente di contagio come variabile dipendente, per ogni punto di incremento della percentuale di cattolici si potrebbe attendere una diminuzione quasi dello 0,2% dell'incidenza di contagio dell'Aids.

Curiosamente sono emerse correlazioni significative riguardo al numero totale di sacerdoti cattolici in ciascuno dei 25 paesi considerati (R = -0,42), e di confermazioni (R = -0,43). Infatti ambedue le cifre sono molto correlate tra di loro (R = 0,842). Si può dunque affermare che ad una maggiore pre­senza di preti e a un maggiore numero di cresime corrisponde una minore incidenza dell'Aids.

D'altra parte, la regressione multipla del tasso di Aids 2005 (con trasfor­mazione logit) in funzione del tasso di sacerdoti e del tasso di cattolici (am­bedue con ttasformazione logaritmica), dà un coefficiente di correlazione R = 0,75 (p <0,0005), con coefficienti di regressione negativi, il che indica che quanti più sacerdoti e cattolici sono presenti minore sarà l'incidenza dell'Aids. La regressione multipla del tasso di AIDS 2007 (con trasformazione logit), in funzione del tasso di sacerdoti e del tasso di cattolici (ambedue con trasformazione logaritmica) offre un coefficiente di correlazione R = 0,713 (p <0,0005). In ambedue i casi le correlazioni sono elevate e la significatività molto alta; interpretando le analisi si può affermare che la percentuale di cattolici poten­ziata con la presenza sacerdotale, sono i fattori che fanno realmente diminu­ire le percentuali di Aids. Pertanto, un trattamento preventivo, non curativo, dell'Aids passa per incrementare la percentuali di cattolici e un aumento del numero totale di sacerdoti e di cresime. Questi dati rivelano l'incidenza di un trattamento di tipo eziologico, orientato ad intervenire sulle cause, e non sinto­matico, diretto a eliminare i sintomi; il primo è quello davvero effettivo.

Inoltre, conviene prendere in considerazione il fatto che le percentuali di cristiani (cattolici e altri confessioni insieme) nei paesi del nostro campio­ne non offrono correlazioni significative con la variabile di livelli di contagio (R = 0,16). Di conseguenza, è la presenza di cattolici, ciò che incide negati­vamente sull'estensione della malattia.

Le analisi offrono risultati significativi o molto significativi, a seconda delle variabili prese in considerazione. Tuttavia, la situazione reale sembra un po' più complessa; dobbiamo tener conto, ad esempio, della radicale diffi­coltà di ottenere dati precisi su una variabile o l'altra, specialmente quando si cerca di controllare l'estensione di una epidemia in zone molto dispersive e dotate di scarsi mezzi di comunicazione. Tuttavia, le analisi effettuate mo­strano una tendenza assai interessante: in genere, la presenza di cattolici è correlata con una incidenza minore dei livelli di Aids nei paesi sub-sahariani, il che può servire come argomento a favore delle parole di Papa Benedetto XVT sull'influsso benefico dei cattolici per affrontare l'espansione dell'Aids. Non conosciamo nessun altro indicatore sociale o di altro genere la cui pre­senza preveda una diminuzione significativa della malattia in quella zona geografica; siamo tuttavia aperti a nuovi dati che possano evidenziare fattori in grado di frenare l'espansione della piaga.

Lluis Oviedo, ofm

Pont. Università "Antonianum" Dipartimento di Antropologia Teologica

Manuel Canteras

Università di Murcia (Spagna) Dipartimento di Biostatistica

BONIFACE N'GUESSAN KoUASSI, OFM

Pont. Università "Antonianum"

Teologia Dogmatica.

 


 


 
 
 
 
 
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